rivista anarchica
anno 45 n. 404
febbraio 2016





Cose che capitano

testo e foto di Santo Barezini


”Essendo necessaria alla sicurezza di uno stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”
(Secondo emendamento della costituzione americana)

”L'unica cosa che può fermare un cattivo con la pistola è una brava persona con la pistola”
(Wayne La Pierre, National Rifle Association, dopo il massacro del 14 dicembre 2012 alla Sandy Hook Elementary School di Newton, Connecticut)

”Sono cose che capitano”
(L' ex governatore della Florida, Jeb Bush, a commento del massacro del primo ottobre 2015 all'Umpqua Community College di Roseburg, Oregon)

Signor Jeb Bush, mi consenta di indirizzare idealmente a lei la lettera di questo mese da New York. A lei e ai tanti politicanti che hanno a cuore il secondo emendamento della costituzione americana più della vita della gente. A lei e a tutti quei suoi concittadini che ritengono indispensabile avere una pistola sempre a portata di mano, in borsa di giorno, nel letto alla sera (si vendono persino pratiche fondine da materasso, sicuramente ne è al corrente). A quelli che trovano normale comprare un gelato in un'armeria o un fucile in una gelateria, come preferisce, e che mentre gustano un sorbetto ordinano il fucile che regaleranno al figlio per Natale. Ai tantissimi americani che tengono in casa un arsenale, per il caso in cui un malintenzionato violasse i sacri confini del loro giardino. A lei, ai lobbisti della National Rifle Association e a tutti quegli industriali che su questa storia da western americano, macchiata però di sangue vero e di genuino dolore, fanno affari d'oro.
Non mi capita spesso di rivolgermi a politici, imprenditori e lobbisti, mi creda, sono anzi categorie che evito accuratamente. Ma, vede, ho dei figli anch'io, che qui a New York frequentano una scuola pubblica. Una buona scuola, badi bene, a differenza delle tante che amate chiamare “failing schools”, quelle che non ricevono finanziamenti adeguati, tanto sono frequentate dai figli dei poveri, dagli etnici, dai neri, dai latinos, insomma da tutti quelli con poca speranza destinati a diventare, nel migliore dei casi, bassa manovalanza, servitù per la quale non vale la pena investire in cultura e conoscenza.
E guardi che non è cosa da poco: le vostre statistiche del 2001 raccontano di quarantaquattro milioni di semianalfabeti1. Micheal Moore, commentando questo dato impressionante, scriveva quell'anno2: “Se abiti in una nazione in cui quarantaquattro milioni di persone non sono in grado di leggere e circa altre duecento milioni potrebbero leggere, ma non lo fanno, vuol dire vivere in un luogo spaventoso. Una nazione così non dovrebbe guidare il mondo, almeno non fino a quando la maggioranza dei suoi cittadini non sarà in grado di individuare sulla carta geografica dove si trovino il Kosovo e tutte le altre nazioni che ha bombardato”.

Scuola, perquisizioni e metal detector

Ho un po' divagato, me ne rendo conto, ma le sto raccontando tutto questo perché, vede, c'è una cosa che mi angustia: la scuola dei miei figli è sempre presidiata dalla polizia. Gli studenti la trovano ogni mattina all'ingresso, divisa blu e pistola alla cintura. Anche a distanza di tempo non ci ho fatto l'abitudine e mi rabbuio al pensiero che, sfilando con gli occhi ancora assonnati davanti all'immancabile bandiera a stelle e strisce, quei ragazzi debbano accodarsi, poggiare lo zainetto sul tappeto mobile, passare sotto le forche caudine del metal detector, mostrare il documento di identità, alle volte subire una perquisizione. La scuola come un imbarco aeroportuale.
E pensare, guardi che ironia, che quel grande complesso scolastico, nel cuore di Manhattan, è dedicato a Martin Luther King Jr. Stringe il cuore vedere il volto del pastore nonviolento, scolpito nel bronzo, ammiccare proprio dietro le spalle dei poliziotti armati. Niente di cui preoccuparsi, mi disse la preside la prima volta che, sconcertati, varcammo quella porta, una semplice precauzione. Nel 2002 in quell'edificio ci fu una sparatoria, ma da allora non è accaduto più nulla. Nothing to worry about.
Stuff happens. “Sono cose che capitano”, ha detto lei dopo la strage di Roseburg. Ha ragione, le statistiche lo confermano: nel 2015 è accaduto più di cinquanta volte in università, scuole superiori, medie, elementari, materne, persino in uno scuolabus3. Una mattanza, con più di trenta morti e oltre cinquanta feriti, chissà quanti traumatizzati a vita.
Stuff happens, ma non si cambia il codice della strada dopo ogni incidente”. Sono sempre parole sue, dirette contro quelli che chiedono regole più severe sul possesso delle armi. Hanno scatenato forte indignazione, lo sa, lei le ha pronunciate quando il sangue non era stato ancora lavato dalle aule dove la vita di nove giovani era stata spenta senza motivo dalle “cose che capitano”.
Lei mi fa paura signor Bush, come mi fecero paura suo padre e suo fratello quando furono a capo dell'impero. Ma, per dirla tutta, mi fanno paura anche molti suoi concittadini, quella gente semplice che non è collusa col potere ma ne è così succube da prendere per oro colato le vostre assurde verità.
Pensi alla madre del giovane responsabile della strage di Roseburg: suo figlio aveva dei problemi mentali e ciò nonostante lei teneva in casa sedici armi cariche e pronte all'uso. Proprio come la madre del ventenne, affetto da autismo, che nel 2012 uccise venti bambini nella scuola elementare dove lei stessa insegnava, nel tranquillo Connecticut. Mi chiesi all'epoca perché una normale maestra di scuola avvertisse il bisogno di avere a casa un arsenale ed è una domanda alla quale ancora non so dare risposta.
E che dire di tutti quei bravi cittadini che, dopo ogni strage, ben incitati da interessati lobbisti, chiedono non meno ma più armi? Quelli che reclamano il diritto di portare le pistole fin dentro le scuole, per essere pronti a sparare sul prossimo folle che varcherà la soglia dell'aula impugnando un fucile. Professori e studenti a lezione col revolver: anche nel suo Texas, sarà presto realtà4. Dove appenderanno i cinturoni prima di entrare in campo per la partita di football o di baseball? Tutto inutile: gli studi in materia (che suppongo lei non si sia dato la pena di leggere) dimostrano che il più delle volte questi pistoleri dilettanti finiscono per farsi male da soli, per farsi ammazzare o per uccidere chi non c'entra nulla.

New York, Upper West Side (Stati Uniti) - Il volantino della
polizia appeso nella biblioteca di quartiere recita: “Contanti
in cambio di pistole. Garantito l'anonimato. 100 dollari per
ogni pistola, arma d'assalto, fucile a canne mozze
fino a un massimo di 300 dollari”
Il culto delle armi

Dovrebbe lasciare da parte il suo fatalismo da quattro soldi e provare a riflettere su tutto ciò. Delle armi avete fatto un culto, convinti che possano risolvere ogni problema; le usate con grande disinvoltura, che si tratti di bombardare civili inermi in un paese lontano o di abbattere un intruso nel giardino di casa. Avete incoraggiato milioni di cittadini a procurarsele, approvato leggi incivili che consentono a giustizieri improvvisati di cavarsela nelle aule dei tribunali5. Puntualmente la tragedia colpisce e vi ritrovate a piangere le vittime innocenti di questa rozza ideologia. La carta geografica della vostra grande nazione è fiorita di stelle rosse, una per ogni vittima di questa vostra ossessione6.
Cose che capitano. In che senso, signor Bush? Così come capita che le vostre bombe intelligenti colpiscano ospedali mietendo vittime innocenti? Cosa sono i giovani assassinati in Oregon, i bambini uccisi senza pietà in Connecticut, danni collaterali del secondo emendamento della vostra costituzione? Che poi è in realtà un testo criptico, mal formulato, sul quale generazioni di giuristi si sono scervellati senza venirne a capo.
Nella bacheca della biblioteca di quartiere, fra le offerte di lezioni private e le richieste di lavoro, ho trovato tempo fa un avviso della polizia, un foglietto dove si incoraggiava a consegnare armi detenute illegalmente: “Cash for guns, no questions asked7, cento dollari a pistola. Signor Bush, questo non è il suo Texas, questa è la civile, moderna, ricca New York, ma anche qui circolano armi fra ricchi e poveri e non è una sensazione piacevole.
Nel 2012 il lobbista della NRA Wayne La Pierre pronunciò quella frase sui “good guys” e “bad guys” divenuta famosa in tutto il mondo. Io non capisco dove corra la linea che separa i buoni dai cattivi. Questi vostri killer nelle scuole non sono i neri e i latinos dei quartieri poveri che riempiono le cronache rafforzando i vostri pregiudizi. Sono quasi sempre studenti, figli di cosiddetta buona famiglia. Ammazzano i loro compagni di studi, i professori che fino al giorno prima li avevano avuti in classe.
Non sono come quei giovani che ho conosciuto altrove, quelli che crescono nei campi profughi e nei ghetti del mondo, che vivono una gioventù senza speranza e imparano da piccoli il rancore. I vostri sono ragazzi coi soldi e l'automobile, hanno i loro sogni realizzabili, una vita buona davanti, un futuro possibile. In quale momento della loro vita è scattata la follia? Cosa li ha spinti? Chi ha innescato la miccia? Non so distinguere i buoni dai malvagi né farebbe differenza, visto che i buoni e il malvagio di turno ci rimettono sempre la vita, alla fine. So però che in Svezia o in Danimarca chiamerebbero gli psicologi, i sociologi, gli analisti sociali, per provare a capire, per aiutare una comunità traumatizzata ad avviare un processo di guarigione. Voi proponete invece la soppressione del “bad guy” di turno: il buono abbatte il malvagio, come nelle favole, ma poi la vita continua e non tutti vivono felici e contenti. C'è una catena di dolore infinita in tutto ciò.
Lo so, signor Bush, certi paragoni a voi politici americani non piacciono. “Questa non è la Danimarca, questi sono gli Stati Uniti”, ho sentito dire da una stizzita Hillary Clinton. I padroni dell'impero guardano sempre con sufficienza a quel che accade in periferia. Non amano prendere esempio dai sudditi.
Riflettendoci, comunque, su una cosa mi sento di darle ragione: la soluzione probabilmente non è nell'approvazione di leggi più restrittive. Neanche io credo ai divieti, che comunque, detto per inciso, nella vostra libera società sono tantissimi e soffocanti. Qui ci sarebbe piuttosto da costruire un paese nuovo, dove la gente non si debba sentire sotto assedio. Una cultura nuova, dove i cittadini non debbano identificare la libertà con il possesso delle armi, la difesa del proprio giardino come una guerra di confine. Che non debbano mettere nell'orizzonte del possibile l'uccisione del proprio simile. Signor Bush, a costo di sembrarle un ospite presuntuoso mi sento di dirle che qui c'è da ripensare tutto, perché siamo ancora alle guerre indiane, quando sopprimere un cheyenne era considerato un atto di progresso per la vostra civiltà di conquista. C'è bisogno di far funzionare quelle scuole che formano milioni di disadattati, affrontare il disagio sociale, combattere la crescita delle ideologie violente che percorrono questo paese come cicatrici sotterranee.

Front Royal (Virginia, Stati Uniti)
Negozio di gelati, armi e munizioni
Il sistema non funziona

Non parlo solo di dati e statistiche signor Bush, parlo di vita vissuta, di quotidianità. Sono andato a scuola nei nostri anni di piombo, cresciuto in una metropoli italiana sotto assedio, quando avevamo in casa il terrorismo nero, quello rosso e quello di stato, ma a nessuno venne in mente di far presidiare le scuole o di armare i professori. I miei figli hanno frequentato asili e scuole di tre continenti ma solo qui, nella vostra civile e moderna America, si sono ritrovati la polizia armata a sbarrare loro il passo ogni mattina. Che poi, guardi, i figli mi segnalano entrate secondarie non presidiate, mi dicono che, volendo, ci sarebbe modo di far entrare armi nella scuola di nascosto. Quindi il vostro sistema non funziona e a me resta questa speranza: che in quel grande complesso scolastico le armi non entreranno perché gli studenti che lo frequentano e i professori che vi lavorano rappresentano un corpo sano di questa società; sono giovani musicisti, poeti, compositori, scrittori e le loro armi nella vita saranno penne, libri, computer, pianoforti, violini, pentagrammi, pennelli, tele e colori.
Mia moglie, riflettendo su tutto questo, mi fece notare un giorno che nella costituzione italiana è scolpito il diritto alla salute, in quella americana il diritto a difendersi con le armi. I vostri poveri, signor Bush, muoiono spesso per non potersi permettere le cure giuste8. I benestanti si ammazzano invece ogni tanto senza motivo grazie alle armi che tengono ben oliate a casa. Sempre più spesso mi chiedo: è questo il sogno americano, il modello che volete esportare in tutto il mondo?
Lei difende il diritto ad avere a casa quei piccoli strumenti di morte. Noi, nel nostro piccolo, periferia dell'impero, preferiamo invece difendere a tutti i costi quel diritto alla salute che vogliono strapparci, magari per imitare il vostro folle sistema sanitario inginocchiato davanti all'industria e agli affari. Ma badi bene: scenderemo in piazza, protesteremo, grideremo slogan, ma non avremo pistole per difendere il nostro diritto a curarci. Sarebbe una contraddizione, non le pare? Le armi le lasciamo a voi, sperando che vi decidiate un giorno a capire che è meglio che arrugginiscano negli armadi della storia.

Santo Barezini

Note

  1. “Funcional illiterates”, con scolarizzazione massima equivalente alla quarta elementare.
  2. Stupid White Man, Reganbooks, 2001.
  3. Vari siti riportano i dati. Ad esempio: rt.com e shootingtracker.com.
  4. Dall'agosto 2016, nonstante le proteste degli studenti, il Texas si aggiungerà agli otto stati che già adesso consentono di portare armi negli istituti scolastici. Per approfondimenti si veda armedcampuses.org.
  5. Per un approfondimento si può consultare la voce “stand your ground laws” su Wikipedia.
  6. Si veda la mappa su everytownresearch.org/school-shootings.
  7. Contanti in cambio di pistole, garantito l'anonimato.
  8. Secondo dati del Dipartimento della Salute dell'ottobre 2015 nella città di New York la differenza nella speranza di vita fra poveri e benestanti è di ben undici anni!