rivista anarchica
anno 45 n. 404
febbraio 2016


manifesti

Quando i muri parlano

intervista di Chiara Gazzola a Roberta Conforti


Presso l'Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa di Reggio Emilia sono conservati numerosi manifesti anarchici e libertari, che segnano la storia del movimento. Una ricercatrice ne ha tratto un libro.


Il libro di Roberta Conforti, Comunicare l'utopia. Manifesti anarchici conservati presso l'Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa di Reggio Emilia (Mimesis edizioni, Sesto San Giovanni - Mi, 2015, pp. 360, € 28,00) esce a distanza di ben 13 anni da un altro catalogo di manifesti, quello curato dal Circolo culturale anarchico di Carrara (Gli anarchici non archiviano, a cura di Massimiliano Giorgi, Biblioteca del Germinal, Carrara, 2002, pp. 87) che testimonia l'instancabile attività di Goliardo Fiaschi.
Roberta Conforti ha dedicato tempo e passione all'argomento, non si è limitata a catalogare e a riprodurre nel volume il materiale internazionale visionato all'Archivio storico curato da Fiamma Chessa: ha voluto contestualizzare, suddividere tematiche e argomenti, approfondire l'approccio critico, scovare riferimenti e citazioni di questa sorprendente arte del comunicare.
Il suo lavoro è stato presentato alla Vetrina dell'editoria anarchica e libertaria di Firenze (ottobre 2015); Roberta è stata affiancata da Fiamma e Fabio Santin, disegnatore, grafico, pubblicista, appassionato conoscitore di arte espressiva a 360°.
Leggendo questo libro si può compiere, insieme all'autrice, un vero e proprio percorso storico attraverso le tecniche, i colori, i segni, i simboli che accompagnano le lotte, le rivendicazioni, i valori dell'anarchismo: più le circostanze si differenziano, più emerge in maniera costante l'istanza di libertà che si veste di essenzialità. Si comunica per essere, non per apparire! Il messaggio stesso condensa un sapere e un sentire condiviso.
La sottile differenza che corre fra immagine e immaginazione è la stessa che ci porta a coniugare ideali e utopia: il bisogno di esprimere una lettura altra dell'attualità, l'autodifesa quotidiana e l'esigenza di progettualità condensate in un messaggio.
Una sintesi indispensabile che prende forma nella metafora, nell'ossimoro o nel paradosso; la percezione visiva richiama con forza sensazioni sonore, olfattive, tattili o altre suggestioni ispirate dall'esperienza. Il manifesto ha una storia parallela ad altri strumenti di comunicazione: innanzitutto il fumetto, e poi il collage, il dipinto, la scultura.
Questo viaggio guidato dall'inchiostro messo su carta, diventando esso stesso simbolo di volontà e resistenza, testimonia le scelte antiautoritarie di un movimento che, nonostante le molteplici sfaccettature, rende omogenea la variabilità di temi e tecniche utilizzate. Le idee prendono forma e colore sia quando i manifesti sono composti soltanto di testo (una sorta di volantone leggibile soltanto da vicino), sia quando sono i disegni a sintetizzare tutto il messaggio con modalità spontanee o grazie al contributo di artisti di fama, a testimonianza di un dibattito sempre attuale sul senso di responsabilità degli autori di arte espressiva. Messaggi mirati, dirompenti, più o meno elaborati... del resto quando la militanza risente l'emergenza di un momento particolare è improbabile che si riesca a curare ogni particolare o a privilegiare la qualità del segno rispetto all'impatto comunicativo.
Ripercorrendo una memoria tracciata dal colore da affiggere ai muri, scopriamo quante emozioni avremmo potuto dimenticare senza la pazienza di chi si impegna a conservare i documenti della nostra storia.

Chiara Gazzola


1° Maggio 1970, 1970

Questa è la tua tesi di laurea, perché hai scelto di analizzare i manifesti del movimento anarchico e in particolare la collezione dell'Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa?
Roberta Conforti: Ho collaborato con la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, l'istituto presso il quale l'Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa è depositato dal 1999. In occasione di una giornata di studi su Camillo Berneri, organizzata dall'Archivio, ho conosciuto Fiamma Chessa e scoperto l'esistenza di una grande collezione di manifesti anarchici in attesa di essere catalogata: una raccolta straordinaria per valore storiografico, efficacia comunicativa e qualità artistica.
Catalogare i manifesti non significa soltanto registrare le informazioni riportate e descriverne le caratteristiche tecniche e materiali, ma inscrivere i documenti in un contesto storico, sociale e politico. Indispensabile è stata la collaborazione di Fiamma che, oltre ad essere al centro di una fitta rete di studiosi e militanti che ci ha aiutato nell'identificazione e datazione di numerosi manifesti, mi ha guidata all'interno dello sterminato patrimonio di documenti, libri, periodici, fotografie, manoscritti ed epistolari che Aurelio Chessa, immediatamente dopo la caduta del fascismo, inizia a raccogliere arricchendolo poi con l'acquisizione delle carte appartenute a Camillo Berneri e Giovanna Caleffi, grazie alla donazione ricevuta dalla figlia di Berneri. Il grande merito di Aurelio sta nell'aver intuito l'importanza di conservare la documentazione in maniera organica e strutturata, ma anche la necessità di divulgare e rendere i documenti accessibili al pubblico. [...] Dopo la sua morte, nel 1996, la figlia Fiamma garantisce la continuità di questo impegno, coadiuvata da un Comitato scientifico e dalla recente costituzione dell'Associazione Amici dell'Archivio Fam. Berneri - A. Chessa. (Per informazioni: amiciafbc@gmail.com - cell. 3381263779).

 
Radio Libertaire interdite par le pouvoir
socialiste et communiste,
1983
 
Dissociamoci dalle forze armate, 1986

A pag. 51 scrivi: “La strage di piazza Fontana segna nella storia italiana un momento di cesura drammatica e dilaniante”. Ricordi come la violenza statale inaugurò una vera e propria strategia per ristabilire quell'ordine che avrebbe significato mancanza di diritti e ingiustizia sociale: il depistaggio pianificò la repressione utilizzando anche l'arma di manifesti a firma anarchica, ma inequivocabilmente falsi, ritrovati vicino alla Banca dell'Agricoltura di Milano e in altri luoghi strategici; è una delle tante prove dell'obiettivo di creare confusione fra verità storica e quella che diventerà la verità giuridica. Ricordi quanto materiale venne prodotto dai circoli e dai collettivi per gridare l'ingiustizia degli arresti, delle perquisizioni e dell'assassinio di Pinelli. Pensi che quel momento di cesura segni tutt'oggi una ferita incolmabile?
Credo proprio di sì e, in ambito artistico, lo evidenzia l'attenzione che ancora oggi gli autori dedicano a questo avvenimento. Penso innanzitutto all'opera dell'artista e fotografo Paolo Ventura, Il funerale dell'anarchico, realizzata nel 2014 nel contesto di una ricerca che induce l'autore a superare un limite intrinseco della fotografia, orientandola verso la tridimensionalità.
Ventura ritaglia e dipinge le sue fotografie costruendo una composizione. Nell'opera citata, Ventura rievoca i funerali delle vittime di Piazza Fontana, un evento ben impresso nella memoria di chi come lui è nato e cresciuto a Milano. Le figurine, ritagliate e allestite in un corteo tridimensionale, ritraggono sempre il medesimo personaggio: l'autore stesso, parte integrante della folla e testimone. È un'opera evocativa che richiama un'epoca - densa di immagini di manifestazioni, funerali, processi, scontri - vissuta e subita dall'artista ancora bambino. Un momento simbolico reinterpretato secondo gli schemi del tradizionale funerale dell'anarchico, nelle opere di Carlo Carrà ed Enrico Baj, ma anche delle fotografie, pubblicate nei giornali di allora, in cui si radunavano folle di cittadini a celebrare le vittime della strage in un'atmosfera grigia e piovosa. [...]

 
Paolo Ventura, Il funerale dell'anarchico, 2014
 
1° Maggio, 1971

Il significato originario del Primo Maggio

Puoi aggiungere qualche considerazione sul Primo maggio, visto che gli esemplari più datati dell'Archivio si concentrano proprio su questa significativa giornata di lotta?
L'analisi dei manifesti dedicati al Primo maggio permette di osservare come si evolvono la concezione grafica e il linguaggio nel manifesto politico dal secondo Dopoguerra in avanti. Mentre tra la fine degli anni Quaranta e gli ultimi anni Cinquanta sono composti unicamente di testo e concepiti come giornali murali che riportano lunghi articoli, successivamente assistiamo al tentativo di impostare il layout in modo tale da conferire maggiore risalto ad alcune parti del testo, agevolando la lettura attraverso griglie compositive sempre più strutturate. Il Maggio francese mette in atto una rivoluzione comunicativa subito recepita nelle produzioni grafiche italiane.
All'interno della Ecole de Beaux Arts di Parigi nel 1968 nasce l'Atelier Populaire con il proposito di supportare le lotte di studenti e operai attraverso la produzione e diffusione di manifesti: nell'arco di due mesi ha ideato e stampato circa 250 esemplari differenti dalla straordinaria sintesi grafica ed efficacia comunicativa.
Le tematiche di fondo rimangono sostanzialmente invariate: la rivendicazione del ruolo insurrezionale del Primo maggio, inteso come giornata di lotta proletaria internazionale, oltre che la sempre rinnovata memoria dei martiri di Chicago.
Alcune parole chiave definiscono il discorso e ritornano nel testo in maniera costante: il martirio, la lotta, la rivoluzione, l'internazionalismo; inoltre si affrontano temi legati allo sfruttamento e all'oppressione politica ed economica.
All'interno della collezione, il primo manifesto in ordine cronologico dedicato al Primo maggio è realizzato dalla Federazione Anarchica Italiana. Datato 1° maggio 1945, esce qualche mese prima della formale costituzione della FAI al Congresso di Carrara nel settembre del 1945.
Sempre rinnovata è la rivendicazione del significato originario, inteso come momento di lotta in contrasto con “la festa legalizzata dal capitalismo internazionale, complici interessati preti, militari e politici.” Leggiamo queste parole nel manifesto del 1969 1° Maggio anarchico, serigrafato con materiali poveri, adoperando maschere di ritaglio e bombolette spray. Il Primo maggio 1887 è richiamato attraverso la sagoma del corpo di un uomo appeso ad una trave, in riferimento all'impiccagione dei martiri di Chicago, ma non meno atroce è la condizione dell'uomo nel 1969, descritto con le mani aggrappate alle sbarre di una prigione che invitano a riflettere sulla condizione di oppressione che ancora vivono i lavoratori e gli individui in generale.
Anche in 1° maggio 1970 c'è un operaio con la tenaglia in mano e le caviglie incatenate ad una fabbrica: spesso rappresentata con pochi tratti essenziali ereditati dalle affiches serigrafate dall'Atelier Populaire, la fabbrica è il simbolo e il luogo delle lotte.
La bandiera anarchica, nelle sue diverse declinazioni, compare in immagini dedicate al Primo maggio come un invito a radunarsi intorno ad essa nei cortei, ma anche esposta come atto di rivendicazione di fianco agli stabilimenti industriali. La vediamo appoggiata ad una ciminiera, come un'insegna che annuncia l'espropriazione generale dei mezzi di produzione, in 1° Maggio, stampato a Carrara nel 1971, oppure in 1° maggio di lotta, realizzato nel 1981 dal Gruppo Anarchico “E. Malatesta” di Imola, fluttuare alle spalle delle tre figure che guidano il corteo, tratte da Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, scontornate e virate in bianco e nero. [...]

 
Particolare del manifesto
1° Maggio anarchico, 1969
 
1° Maggio di lotta, 1981

Hai analizzato le eredità stilistiche, le sorprendenti citazioni iconografiche che s'intrecciano con le capacità espressive di chi vuol comunicare gli ideali libertari. Ad esempio il disegno di Giuseppe Scalarini del 1923 che ritrae la cupola vaticana di S. Pietro dalla quale dipartono innumerevoli tentacoli sugli edifici pubblici di Roma è un'efficace sintesi che racchiude molteplici approcci critici al tema, sarà ripresa più volte sia come immagine, sia come concetto: quando si dice “la piovra vaticana” (per altro titolo del libro di Pippo Gurrieri edito da “La fiaccola”) già si esplicita il riferimento all'ingerenza cattolica nella società civile. É stato un vero colpo di genio che ha fatto storia. Quali altri tratti creativi e originali segnano il percorso della comunicazione visiva?
In effetti, nella grafica anticlericale e antimilitarista il principale riferimento iconografico è quello proposto dall'immagine del socialismo italiano del primo Novecento. In questo contesto nasce la caricatura politica italiana e i maggiori esponenti di questa tradizione sono proprio G. Scalarini, le cui illustrazioni sono riprodotte ancora oggi nei manifesti del movimento anarchico, e Gabriele Galantara.
Ci sono altri esempi. Un dipinto che è diventato il manifesto dell'impegno sociale dei lavoratori è Il Quarto Stato (1901) di G. Pellizza da Volpedo, l'opera più rappresentativa del sistema di valori nel quale si è riconosciuto storicamente il movimento operaio in Italia. Una marcia portatrice di emancipazione proletaria e femminile, la cui diffusione in campo grafico spazia dalla comunicazione politica, a quella commerciale e culturale.
Il messaggio astensionista si presta invece all'elaborazione di diverse metafore animali che mettono in luce la condizione di asservimento dell'elettore. In occasione delle elezioni amministrative del 1951 esce un manifesto che ritrae lo stereotipo dell'elettore mentre si reca alle urne: è un mulo che porta in bocca una scheda elettorale e sottolinea l'assurdità del suo gesto mentre afferma: “Io voto...”. Così la pecora, dal carattere gregario, mansueto e governabile, è metafora della massa che esegue gli ordini del pastore/padrone senza porre obiezioni: in La maggioranza siete voi del 1970, un gregge di “pecoroni” accetta di delegare le proprie scelte agli amministratori del potere.
Un espediente narrativo che torna spesso, per rivendicare le libertà di espressione e d'informazione, è l'iconografia del silenzio, descritto come una bocca bendata oppure con le labbra serrate da un lucchetto. È un'immagine che affonda le radici in epoche lontane e ce lo rammenta nel 1593 Cesare Ripa nel descrivere il silenzio come una “Donna, con una Benda legata attraverso del viso, che le ricopra la Bocca”. In epoche più recenti l'immagine ritorna in uno dei più celebri manifesti realizzati dall'Atelier Populaire, Une jeunesse que l'avenir inquiète trop souvent (trad.: “Una gioventù troppo spesso preoccupata per il suo futuro”), che intende sottolineare l'impossibilità dei giovani di esprimersi nella società gaullista, all'interno della quale i mezzi di informazione sono completamente controllati dal potere politico.
Ritroviamo la stessa idea in Radio Libertaire interdite par le pouvoir socialiste et comuniste, promosso dalla Fédération Anarchiste di Parigi nel 1983, che denuncia la chiusura da parte del governo dell'emittente Radio Libertaire.

Elezioni amministrative 1951, 1951
Un'energia primordiale positiva e propositiva

Ribadisci spesso come il reato di vilipendio nelle sue diverse forme (alla religione, alle forze armate, a capo di stato, alla bandiera ecc.) esista per colpire la libertà di espressione... del resto la difficoltà di catalogazione di alcuni documenti deriva proprio dall'assenza di una data, di un luogo, di una firma o sono volutamente falsificate per non incorrere in denunce per affissione abusiva, stampa illegale o per slogan e contenuti stessi dei manifesti.
L'aspetto più complesso ed appassionante della mia ricerca è stato il tentativo di attribuire una datazione e di ricondurre i singoli manifesti ai gruppi che li hanno prodotti. Una buona parte dei documenti catalogati è stata identificata grazie ai contatti che ruotano intorno a Fiamma e al confronto con i periodici anarchici e bollettini conservati in archivio. Mi auguro che questo libro possa consentire il riconoscimento di tutti i manifesti che sono interamente riprodotti nell'apparato iconografico. Abbiamo rilevato esemplari firmati da circoli o collettivi mai esistiti, altri che riportano indirizzi immaginari, sicuramente perché le circostanze suggerivano di ostacolare l'identificazione dei militanti.
É stato molto interessante l'intervento spontaneo di Franco Bunuga durante la presentazione del libro a Firenze: ha dato un respiro personale e umano al discorso. Se infatti il volume tratta l'argomento da un punto di vista storico, culturale e artistico, Franco ha ricordato l'impegno di quanti si dedicavano a stampare in serigrafie autogestite per poi andare di notte ad affiggere nelle strade. La legge imponeva che ogni esemplare fosse completo di firma e indirizzo, quindi si ovviava ricorrendo alla fantasia.
Molti manifesti antimilitaristi e anticlericali sono stati oggetto di censura, un espediente per eseguire perquisizioni o denunce. Tra questi Dissociamoci dalle forze armate, realizzato nel 1987 dalla Cooperativa Tipolitografica di Carrara con la collaborazione del grafico Antonio Monteverdi per sostenere la Cassa di solidarietà antimilitarista.

La maggioranza siete voi, 1970

Grazie Roberta, ho un'ultima curiosità: la motivazione della tua scelta sull'immagine di copertina.
L'immagine è tratta da un manifesto-calendario realizzato a Barcellona dalla CNT-AIT nel 1978 il cui titolo - Llevamos un mundo nuevo en nuestros corazones (trad.: “Portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori”) - fa riferimento ad una frase di Buenaventura Durruti pronunciata durante un'intervista nell'agosto 1936 con il giornalista Van Passen per il “Toronto Star” in cui afferma: “Le macerie non ci fanno paura. Sappiamo che non erediteremo che rovine, perché la borghesia cercherà di buttare giù il mondo nell'ultima fase della sua storia. Ma, le ripeto, a noi non fanno paura le macerie, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori. Questo mondo sta crescendo in questo istante.” È un'illustrazione a cui sono molto legata perché restituisce una visione del pensiero e dell'azione anarchica che si esprime attraverso un'energia primordiale, positiva e propositiva, un'immagine di trasformazione - e dunque di rivoluzione - che dilata la prospettiva verso un'idea di metamorfosi spirituale.
Una metafora di evoluzione e rinascita che vede un embrione trasformarsi in un sole e risplendere su un mondo nuovo. Emblema della vita in gestazione, l'uovo cosmico ritorna in numerosi miti sulla creazione e la rigenerazione: dalla tradizione induista dei Veda all'Orfismo, nei miti dell'antico Egitto fino al Paleolitico superiore, mentre nell'interpretazione junghiana questo simbolo rappresenta “la prima materia contenente l'anima del mondo”.

Chiara Gazzola