rivista anarchica
anno 46 n. 405
marzo 2016


società

La sinistra e l'emancipazione

di Andrea Papi


Dopo i fallimenti della socialdemocrazia e del socialismo di stato, la sinistra non si muove più per abbattere i sistemi di potere, che accetta o addirittura promulga. E del sogno e del progetto politico dell'emancipazione non v'è più traccia.
Eppure...


L'uso della parola e del concetto di emancipazione è praticamente sparito dalla comunicazione e dal linguaggio della politica. Eppure a suo tempo quella parola e quel concetto sono stati fondamentali, addirittura fondativi, alla base del sorgere della cultura di sinistra intesa nel suo senso più lato. Emancipazione significa liberarsi da, superare uno stato di soggezione e subordinazione, diventare emancipati insomma. È appunto per questo che la sinistra è sorta. Per aiutarci a pensare, immaginare e desiderare di non essere più sottomessi, sfruttati, ricattati e impoveriti, né dal potere politico né da quello economico, qualunque siano le forme in cui si manifestano. La cultura di sinistra prese piede nella modernità perché un numero sempre maggiore di individui non si accontentava più semplicemente di esistere, mentre cominciava a sentire l'esigenza di conquistare la dignità e il riconoscimento che spetta a ognuno.
Oggi non si usano più perché la tensione emancipativa è praticamente sparita dall'orizzonte dell'immaginario collettivo, rintanata in quello di pochi “eroici” cocciuti resistenti che non hanno intenzione di mollare. Il “politicantismo sinistrese” dominante da troppo tempo non si muove più per conquistare l'emancipazione dai sistemi di potere vigenti, nella sostanza ormai accettati come ineluttabili, o peggio, addirittura considerati i migliori possibili. La scelta politica dei residui della sinistra istituzionale oggi è quella di cercare di conquistare e mantenere diritti, o di provare a rinegoziare le regole, illudendosi di riuscire a non essere troppo vilipesi dall'arroganza dei poteri vigenti, sempre più invasivi e prepotenti. Non credo perciò di commettere atto di “lesa maestà” se mi permetto di affermare che la cultura di sinistra è scomparsa dall'immaginario collettivo diffuso. Non essendo più supportata dal senso e dalle proiezioni che le hanno dato origine è svanita, resa evanescente dall'inconsistenza della sua incapacità di continuare a proporsi progettualmente con proposte coerenti di superamento radicale del presente.

Socialismo di stato e socialdemocrazia

Un subissamento dovuto a profonde ragioni storiche e psicologiche. Val la pena riassumerle in breve.
In seguito all'esplodere vittorioso della rivoluzione francese la sinistra, che doveva realizzare libertà e uguaglianza, prese forma attraverso tre filoni: repubblicano, liberale e socialista nelle due espressioni antitetiche statuale e anarchica. Le cose si sono poi chiarite “cammin facendo”, col procedere degli avvenimenti. La forma stato repubblicana per prima, una volta divenuta realtà fattuale ha mostrato tutti i propri limiti; di conseguenza il repubblicanesimo è scomparso dall'orizzonte plausibile per una concreta condizione libertaria e egualitaria.
Il liberalismo invece si è evoluto e ampliato diventando riferimento politico egemone, portando però in auge un'ipocrisia di fondo che domina incontrastata. Fin dall'inizio si è profuso in nobili dichiarazioni, in stesure di costituzioni e trattati giuridici in cui si proclamano a pieno titolo la libertà e il riconoscimento dell'altro, del diverso, delle differenze e dei diritti, senza distinzione di razza o di credo religioso. Purtroppo nei fatti il suo agire politico nega sistematicamente ciò che afferma e sancisce. Parla di democrazia rappresentativa mentre gli eletti non rappresentano che se stessi, addirittura in contrasto con chi li elegge. Parla di dignità del lavoro mentre le condizioni di chi lavora sono sempre più umilianti, deprimenti e vicine a nuove forme di schiavismo. Parla di estensione di diritti e di leggi uguali per tutti, quando i diritti sono sistematicamente negati ai più mentre l'applicazione giuridica è immancabilmente fallace e generatrice di ingiustizie. Inoltre, fin dal suo sorgere parla di libertà e uguaglianza sociale, mentre le sue realizzazioni fanno aumentare continuamente disuguaglianze, ingiustizie e privilegi.
Anche il socialismo di stato ha avuto ampie possibilità di dimostrare ciò che era in grado di produrre. Le due vie con cui si è proposto hanno entrambe egemonizzato la sinistra nel suo complesso, ma i fatti hanno ampiamente dimostrato il suo endemico fallimento. Il bolscevismo, che ne ha rappresentato la via rivoluzionaria, è crollato definitivamente nel 1989 con la caduta simbolica del muro di Berlino, non sconfitto dal nemico capitalista, ma imploso perché incapace a sussistere in quanto progetto socio/economico. Oggi gli stati continuatori di quell'esperienza rappresentano una vera tragedia politica. La Corea del Nord è tenuta sotto la sferza di un “invasato” che si diverte a giocare con le bombe atomiche per soddisfare le proprie manie di grandezza. La Cina, quasi un capolavoro dell'assurdità, ha coniugato il peggio di bolscevismo e capitalismo, a tutti gli effetti un mostro generatore di illibertà, ingiustizie, privilegi e ineguaglianze.
Anche la socialdemocrazia, che rappresenta la via riformista per realizzare lo stato socialista e che, un passo dopo l'altro, avrebbe dovuto soppiantare lo stato borghese ipotizzando di superare il regime della proprietà privata e del mercato capitalista attraverso la legalità, è praticamente scomparsa di scena. Pur essendo divenuta egemone in diversi parlamenti nazionali ed avendo ampiamente governato diversi stati occidentali, nel giro di qualche decennio è stata assorbita dal sistema socio/economico che avrebbe dovuto soppiantare, divenendone uno dei pilastri conservativi. Oggi non è più in grado di proporre una propria visione delle cose. I suoi ultimi vagiti teorici riconoscono l'ineluttabilità del capitalismo e rinunciano a contrastarlo, proponendo al contrario di regolarizzarlo, nel tentativo di renderlo meno iniquo, oppure di rinegoziare le regole con i potentati economici internazionali per riuscire a salvare il salvabile del welfare che dovunque sta affondando. Di fatto non esiste più un'ipotesi istituzionale autenticamente socialista.

Anche la sinistra, se vuole...

Di fronte a quest'impatto, che a tutti gli effetti rappresenta un declino, la sinistra ovunque si sta spaccando. A ben ragionare si comprende che non poteva essere diversamente. Nel momento in cui sceglie di governare lo stato per raggiungere i fini che si era proposta inizia un declino inarrestabile, che giocoforza la conduce a rinunciare ad ogni presupposto legato all'identità di origine. Le esperienze dei vari socialismi governativi dell'ultimo secolo lo dimostrano ampiamente.
È però l'intera esperienza dei socialismi di stato, indipendentemente che si sia esplicata attraverso le riforme o la rivoluzione, ad essere decaduta rovinosamente. È la fine inequivocabile dell'illusione che la “presa del potere” per gestirlo, sotto qualsiasi forma si esplichi, possa essere mezzo o percorso che possa condurre verso una società emancipata dal potere e dallo sfruttamento. Riproporla, pur in forma corretta e aggiornata, come stanno cocciutamente tentando di fare ovunque i portavoce di ciò che ne è rimasto, vuol dire persistere nell'abbaglio, rifiutarsi di capire che si è vittime di un'allucinazione.
Di tutte le idee emancipative che si originarono nel fine settecento e nell'ottocento, soltanto l'anarchismo non è tracollato e nella sostanza non ha perso la sua spinta propulsiva. Forse perché gli è sempre stato impedito ogni tentativo di realizzazione e, dal dopo guerra in poi, è stato reso impotente ed ha accettato di rimanere ai margini. Non potendo manifestarsi non ha neanche potuto far emergere i propri limiti. Proprio riflettendo sulle esperienze storiche e quelle vissute, cercando di comprendere il clima generale che oggi si prospetta, penso di poter dire con fermezza che sia improponibile ogni tentativo di addivenire a una società libertaria attraverso una rivoluzione palingenetica, cioè quale evento risolutivo, come invece ci si era illusi per più di un secolo.
Esattamente come per l'anarchismo, che è sempre stato ed è rimasto l'espressione antiautoritaria dei movimenti di lotta anticapitalista e di liberazione, anche la sinistra, se vuole ritrovare un senso gratificante e che abbia prospettive, deve tornare ad essere espressione di volontà e intenzioni tese all'emancipazione, con orizzonti e visioni rivoluzionarie aggiornate, non più riproponenti la presa o l'abbattimento dei palazzi del potere, ma sperimentando modalità autogestionarie per la costruzione dal basso di società innovative e solidali attraverso tensioni radicali e coerenti.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it