Mondo del lavoro/
Sarà una risata che ci sfamerà
Quello che comunemente viene chiamato “Mondo del lavoro”
e che in realtà è il mondo dello sfruttamento,
della precarietà, del caporalato e della schiavitù
è in guerra.
Una guerra dichiarata da “loro” contro di noi, una
guerra che è stata possibile grazie anche, forse soprattutto,
ai sindacati di stato, cgil, cisl, uil, ugl e qualche altro
sindacato corporativo o cosiddetto alternativo ma con aspirazione
a diventare sindacato di stato. Tutti sindacati, quelli di stato,
che hanno un patrimonio enorme - in gran parte finanziato dallo
stato attraverso patronati, commissioni paritetiche, fondi vari
e via dicendo - e che elargiscono lauti stipendi alle loro burocrazie.
Sembrerebbe paradossale ma proprio questi sindacati da anni
hanno contribuito alla riduzione delle libertà di lotta
dei lavoratori comprimendo, tramite accordi - uno per tutti
l'accordo del gennaio 2014 - quelli che sono i diritti sindacali
e limitando sempre più il diritto di sciopero.
I diritti e la dignità di chi lavora sono in caduta libera
e il tutto succede con la maggioranza di chi lavora in “bianco”
sempre più vecchia. Invece chi lavora in “nero”,
chi fa stage e non è pagato o gioca a figurine con i
voucher è giovane e senza nessuna possibilità
di autodifesa. Quando, attorno a noi, ci troviamo 700 mila schiavi
nell'agricoltura e decine di donne schiave violentate nel silenzio
dei campi a Ragusa, o chissà dove ancora, ci rendiamo
conto che è guerra vera.
Ci sia consentita una brevissima considerazione sui voucher,
questa forma di pagamento non fa reddito, ad es. se un migrante
prova ad avvalersene per ottenere il permesso di soggiorno si
becca una grossa pernacchia. Inoltre, se prima dell'avvento
di questa perversa forma di remunerazione erano necessarie,
per mascherare un infortunio di un lavoratore in nero, scappatoie
tese a sostenere che si trattava del primo giorno di lavoro
di una regolare assunzione, adesso la risposta è “avrebbe
lavorato solo oggi e sarebbe stato retribuito con i voucher,
non è necessario un contratto di lavoro”.
Delocalizzazioni, appalti e subappalti, esternalizzazioni e
si potrebbe continuare con centinaia di diritti negati che sembravano
intoccabili, che portano dritti a dire che tutto il mondo del
lavoro è precario e sotto mobbing. La guerra ovviamente
genera anche una ribellione, anche se per ora molto debole;
occorre costituire aggregazioni sindacali dal basso che pratichino
l'assemblearismo come momento decisionale, che mirino alla costruzione
di una società oltre che di un mondo del lavoro privi
di gerarchie e potere per dirla in una sola parola ad una società
autogestita. La guerra, dicevamo, genera una ribellione, ma
non solo, genera anche lo sperimentare forme di autoreddito
e autosussistenza slegati dalle grinfie dello stato e del capitale.
Prendono forma così diversi progetti legati all'autogestione
e al mutualismo.
Come anarcosindacalisti, che si vogliono emancipare dalla schiavitù
del lavoro, abbiamo deciso di sostenere tutte queste esperienze
e pensiamo che solo la creazione di casse di resistenza e gruppi
di mutuo appoggio legate all'anarcosindacalismo possano creare
quella barriera di autodifesa che ci permetta di rovesciare
il tavolo.
Quando gli sgravi fiscali alle imprese finiranno, aumenterà
la disoccupazione, tuonano gli economisti; in realtà
è un problema molto più complesso. Se analizziamo
l'automazione e la robotizzazione, se aggiungiamo i lavori inutili
e nocivi, se moltiplichiamo per la sovrapproduzione, il totale
è solo uno: o si riduce il tempo di lavoro sia in termini
di orario di lavoro, ma anche in termine di anni a cui ognuno
è chiamato a parità di salario o il numero di
chi campa col proprio stipendio diminuirà proporzionalmente
ogni mese. Per questo l'autodifesa sociale, tramite il mutuo
appoggio, le originarie case del popolo, le casse di resistenza
e un forte movimento anarcosindacalista sono le uniche possibili,
secondo me. Non solo per difendersi ma anche per ricostruire
una società che abbia alla base la dignità e la
felicità di ognuno ed ognuna.
Non ci sono scorciatoie.
Bisognerebbe occupare le terre demaniali e rivendicare l'autoreddito
con autoproduzioni biologiche e contrarie allo sfruttamento
delle persone e della natura, lottare per eliminare le produzioni
nocive ed inquinanti ed organizzarsi a livello territoriale
per rivendicare gli usi civici e i beni comuni.
Difesa quindi di diritti e dignità sui luoghi di lavoro
e contemporaneamente la costruzione di relazioni economiche
e sociali fuori dallo stato e dal ricatto capitalistico.
Quando cerchiamo di capire cosa è e quanto vale un'ora
di lavoro nel “nostro mondo” ci rendiamo conto che
siamo tremendamente indietro nell'analisi e nella sperimentazione.
L'anarcosindacato che ho in testa dovrebbe lottare all'interno
della scuola pubblica per spingerla fuori dall'autoritarismo
e contemporaneamente finanziare le scuole libertarie autogestite.
Quando uscirà questo articolo lo sciopero generale del
18 marzo sarà già passato. Sarà stato per
noi una tappa importante per riprenderci le lotte sindacali
dal basso contro le varie concertazioni e gli accordi sulla
rappresentanza che di fatto affondano il diritto di sciopero.
Sarà importante capire la nostra capacità di mobilitazione
che per ora ci risulta essere con cortei e presidi a Milano,
Napoli, Parma, Modena, Firenze, Trieste, Senigallia e altre
in via di definizione. Uno dei punti dello sciopero del 18 è
contro la guerra e contro le spese militari ma visto gli scenari
che si intravedono, come USI-AIT ne stiamo preparando uno solo
contro la guerra. Guerra esterna quindi, in tantissimi scenari,
e guerra interna a cui il “mondo del lavoro” non
può sottrarsi. Il Primo Maggio l'USI ha proclamato lo
sciopero generale, per riappropriarci del significato di quel
giorno di lotta, per ricordare i Martiri anarchici di Chicago
e perché sempre più gente è costretta a
lavorare e daremo il “la” alla riappropriazione
della nostra lotta che è necessariamente unita alla gioia,
altrimenti non sarà il mio Primo Maggio.
“Era tutta notte che lavorava, mancava poco alla fine
del turno, poi suonò la sveglia, la spense e decise quel
giorno di continuare a dormire col sorriso sulle labbra”.
Gioia, lotta e anarcosindacalismo.
Franco “Colby” Bertoli
segretario generale Unione Sindacale Italiana (USI-AIT)
Monterrey (Messico)/
Fiera (itinerante) libertaria del libro
Nell'estate 2015 a Città del Messico è nata la
Fiera Libertaria del Libro e della Pubblicazione. La stessa
fiera è stata organizzata nella città di Monterrey
(Stato di Nuevo León, nord del Messico) nel fine settimana
del 4, 5 e 6 di marzo. Varie realtà editoriali libertarie
del nord e del centro del Messico si sono unite con l'intenzione
di creare memoria, incidere nella città e resistere con
allegria, nel mezzo della violenza e della paura causate del
conflitto in cui si vive da anni nella città di Monterrey,
iniziata nel 2006 quando l'ex presidente Felipe Calderón
ha lanciato la guerra al narcotraffico, che ha creato più
di 100mila morti e 27mila desaparecidos in tutto il paese.
Un fine settimana animato dalla parola e dalla festa, dall'accesso
alla lettura libertaria, indipendente e “pirata”,
e da workshop organizzati con le persone che hanno partecipato.
La costruzione collettiva e senza fini di lucro ha creato spazi
di incontro, riflessione e solidarietà, ed è stata
capace di proporre una riflessione su quello che è successo
e succede onduregna a Monterrey come città colpita dalla
violenza del sistema capitalista.
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Monterrey (Messico) - Giovani alla Fiera Libertaria
del Libro |
La fiera si è realizzata per tre giorni in modo itinerante.
È iniziata nella sede della Facoltà di Lettere
e Filosofia, per ricordare le lotte e resistenze studentesche
dell'Università Autonoma del Nuovo León.
Il secondo giorno si è svolta in Piazza Mediterraneo,
una piazza abbandonata e dimenticata del centro della città,
dove si trova la statua di Ricardo Flores Magón. Lo stesso
giorno si è svolta la “biciclettata nera”,
per esprimere solidarietà a tutte le persone che sono
state colpite dalla guerra e che attualmente lottano perché
venga fatta giustizia per i loro famigliari desaparecidos.
Alla fine della biciclettata, all'interno dello spazio della
Fiera Libertaria del Libro e della Pubblicazione, abbiamo ascoltato
le parole di una madre e di un padre di FUNDENL, un'associazione
locale di familiari di desaparecidos, che hanno condiviso
con noi la loro esperienza di lotta e resistenza.
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Monterrey
(Messico) - Mural in omaggio all'attivista
onduregna Berta Cáceres, assassinata in casa sua il 3
marzo |
Le attività sono continuate la domenica nel Barrio
Antiguo di Monterrey, in un ambiente familiare, con workshop
per bambine e bambini.
Sono stati realizzati due murales per ricordare la compagna
Berta Cáceres, assassinata in Honduras il 3 marzo per
difendere la madre terra e il popolo indigeno lenca, e per mostrare
solidarietà al compagno Gustavo Castro dell'organizzazione
Otros Mundos del Chiapas, che si trovava insieme a lei quando
è stato commesso il crimine e che attualmente è
detenuto dal governo honduregno.
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Monterrey
(Messico) - La statua di Ricardo
Flores Magón in Piazza Mediterraneo, una delle sedi della
Fiera Libertaria del Libro |
È stata organizzata una “pesca” solidale
con Jorge Emilio Esquivel Muñoz, che il 25 febbraio è
stato arrestato ingiustamente e illegalmente, mentre usciva
dall'Okupa Che, uno spazio occupato all'interno dell'Università
Autonoma di Città del Messico. E nella notte si è
tenuto una festa con gruppi di musica hip-hop e cumbia, che
dimostrano come si resista anche con l'arte e l'allegria.
Feria Libertaria del Libro y la Publicación
ferialibertariaenlace@gmail.com
La terra è di chi la canta/
Andhira cioè “movimento stanziale”
Approdare in terra sarda per parlare di tradizione popolare,
musica etnica, worldmusic, può essere affascinante quanto
rischioso per la varietà e la complessità di generi
e di linguaggi che questa terra custodisce e rinnova nelle forme
linguistiche e musicali.
Ma attraccare, invece, in quei luoghi apparentemente nascosti,
in quelle “isole nell'isola”, può paradossalmente
semplificare il viaggio e il racconto, soprattutto quando incontri
musicisti, compositori e ricercatori come Luca Nulchis e il
progetto in “movimento stanziale” che porta il nome
di Andhira.
Storie e leggende si celano in questo nome, ma anche un fonema
che si riverbera da tempi lontani e che viene declinato dal
lavoro di Luca e delle voci “erranti” del progetto
in una sorta di rituale ”arcaicontemporaneo”
che coniuga tradizione e modernità partendo da stati
d'animo, dai luoghi di un pensiero protetto che trasforma la
memoria in consapevolezza del presente.
Luca, raccontaci il progetto Andhira partendo da queste premesse.
Le tue premesse mi invitano a parlare di questo progetto a partire
dal significato del suo nome:
In Sardegna, la parola Andhira esprime un idea di nomadismo,
movimento, spostamento, passaggio. L'etimo sanscrito “andhra”
significa “porta di passaggio verso...”, per i popoli
navigatori del Mediterraneo orientale era il nome di una costellazione
utile nell'orientamento in mare. Si può parlare di una
direzione da seguire per il superamento di un confine, inteso
simbolicamente è un “passaggio evolutivo”.
Questa parola ricorre in alcuni canti sardi di tradizione orale,
in particolare della regione centro meridionale dell'isola,
e a mio avviso, trova la sua massima espressione musicale nel
canto de “s'andimironnai”. Nel 1996 ho ascoltato
per la prima volta s'andimironnai di Suelli cantato magistralmente
da Zia Esterina Lecis, ho tremato di meraviglia per tanta bellezza
e profondità espressiva. Zia Esterina diceva che sino
agli ultimi anni “60, s'andimironnai si praticava anche
come canto collettivo di riconciliazione tra persone che avevano
litigato o messo in atto reciproche offese, una sorta di terapia
di gruppo attraverso il canto. Nei libri degli arabi si racconta
che Andhira fu una ricca e fiorente città che sorgeva
sulle coste meridionali della Sardegna e che fu saccheggiata
e distrutta dai pirati costringendo i superstiti ad una vita
errante. Se ciò non fosse solo una leggenda, potremmo
immaginare che quell'esodo abbia tracciato una pista verso il
centro dell'isola, attraversando le regioni del Campidano e
della Trexenta, sino ai confini delle barbagie di Seulo, un
percorso testimoniato dalla presenza di paesi le cui comunità
custodiscono ancora oggi il canto de s'andimironnai nella sua
forma musicale e poetica più affascinante. Ecco, posso
dire che traslando in un processo creativo artistico i contenuti
simbolici della parola Andhira, riconosco il mio senso del fare
musica; così, quando nel 2001 ho dovuto scegliere il
nome da dare all'ensemble appena nato, non ho avuto dubbi!
Un lavoro di ricerca il tuo che non da, fortunatamente,
punti di riferimento, che si muove nel territorio di appartenenza
confutando, in qualche modo, i posticci totem delle identità
costruite per cartoline esotiche e svelandoci al contempo l'essenza
di un popolo che è l'evoluzione di incontri ed intrecci
complessi ed intricatissimi che abbattono i confini etno-geografici.
Quando i punti di riferimento diventano luoghi comuni dettati
da mode e tendenze è meglio evitarli, mentre, riconoscere
l'autenticità dei propri punti di riferimento ritengo
sia una grande risorsa. Io non sopporto le etichette, neanche
quelle attaccate alle cuciture degli indumenti, mi irritano
la pelle! “Che genere fai?”, è la fastidiosissima
domanda blindata che spesso mi viene fatta e alla quale vorrei
provocatoriamente rispondere: “e che ne so, non è
un mio problema!” Eppure i miei bei punti di riferimento
ci sono, eccome! Fanno parte del mio percorso biografico e formativo.
Vengo da un piccolo paese del centro Sardegna, Urzulei, dove
ho trascorso un infanzia musicalmente complessa ma assai interessante:
canto “a tenore” che riverberava dalle cantine e
dai “tzilleri”(bar), Bach, Beethoven, Chopin, Debussy
e Stravinsky in casa tra discografia ed esecuzioni dal vivo
(mamma pianista), balli in piazza accompagnati dall'organetto
diatonico, Demetrio Stratos e gli Area, De Andrè e il
primo Dalla di “Nuvolari” e tanta altra musica pescata
tra la discografia del fratello maggiore, e altrettanta ne circolava
insospettabilmente in quella piccola comunità ai piedi
del Supramonte. Insomma, un bel delirio di varietà sonora
che ho dovuto metabolizzare lentamente nel corso degli anni.
Poi gli studi pianistici al conservatorio di Cagliari, il confronto
con altri linguaggi artistici e i primi esperimenti compositivi
per la danza e il teatro, la passione per le diverse culture
musicali del mondo e la ricerca in Sardegna su musiche, balli
e canti di tradizione orale. Nel 2001 nasce Andhira con lo scopo
di intensificare le esperienze di studio, ricerca, pratiche
musicali e interdisciplinari differenti tra loro, facendole
confluire in uno spazio compositivo svincolato da generi ed
estetiche dettate dal mercato, ma anche libero di adottare,
qualora l'esigenza espressiva lo richieda, generi e forme compositive
di preciso riferimento, e perchè no?
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Tempio Pausania (Ot) - Luca Nulchis e Giancarlo Murranca
alla stazione |
Anche da un punto di vista musicale, hai puntato su un
lavoro originale e complesso, raffinato e faticoso costruendo
una partitura per voci femminili.
Senz'altro faticoso ma molto appagante! Grazie per “originale,
complesso e raffinato”. Non so, è molto interessante
vedere come la produzione musicale nel mondo sia così
vasta e variegata, e i contesti di fruizione pure; nell'ambito
della musica contemporanea d'avanguardia il mio lavoro può
risultare per niente originale, ne complesso, anzi, un po antico
e desueto, ancora legato alla tonalità ecc ecc, mentre
nello scenario della canzone d'autore e di ampia fruizione,
potrebbe risultare addirittura un lavoro ardito e poco fruibile,
mi dicono “di nicchia”, poi scopri che questa nicchia
è molto più grande di quanto il mercato ti voglia
far credere. Basta varcare il confine italiano, che quella nicchia
diventa la norma, e allora? Attenzione, non è polemica,
per me è puro divertimento. Il progetto compositivo di
base è pensato per tre voci femminili e pianoforte, con
l'ausilio di un harmonium indiano, un flauto e piccole percussioni.
Talvolta entra una quarta voce, la mia. Per diversi anni l'organico
comprendeva anche un importante sezione di percussioni, capitanata
da Giancarlo Murranca mentre da un paio d'anni si è ridimensionato
in un quartetto attualmente formato, oltre che dal sottoscritto,
da Elena Nulchis, Egidiana Carta e Elisa Zedda, tre voci fortunatamente
diverse tra loro, personalissime, duttili e saggiamente lontane
da “vezzi stilistici” di genere, capaci di cogliere
a fondo l'intenzione espressiva delle composizioni: che fortuna!
Senza di loro e tutti i compagni di viaggio che hanno fatto
parte del gruppo nel corso degli anni, il mio lavoro non sarebbe
stato possibile. Grazie dunque ad Alberto Cabiddu, Alessandro
Garau, Cristina Lanzi, Patrizia Rotonda, Paolo Sanna, Valeria
Martini, Giorgia Loi per aver attraversato il territorio di
Andhira.
Parlavamo di approdi, di viaggi: il vostro è iniziato
con un improvviso e inaspettato dirottamento sulle rotte di
Fabrizio De Andrè, un progetto diventato poi un album,
“Sotto il vento e le vele”, edito da Alabianca,
un lavoro nel quale riuscite a “smarcarvi” con naturalezza
da tutto quel calderone di “mitizzazione, masterizzazione
e coverizzazione “del poeta-cantore. A proposito di Faber,
tu arrivi dal Supramonte, territorio che ancora conserva la
sua esclusiva e imponente “statura” naturale. Un
luogo che hai vissuto e indagato sotto molteplici aspetti, con
risvolti unici e affascinanti ma anche oscuri e contraddittori.
Il nostro viaggio è iniziato in modo anomalo, nel 2001,
mentre stavo ultimando il mio primo repertorio di composizioni
per tre voci femminili e pianoforte. C'è stato un fortunato
depistaggio che ci ha portati prima in trio con Alberto Cabiddu
e Giancarlo Murranca ospiti al tributo che si svolge annualmente
a Tempio Pausania, e poi, con Andhira al completo, l'attrice
Lella Costa, il Quartetto Euphoria e lo scrittore e giornalista
Romano Giuffrida, all'evento “navigammo su fragili vascelli”,
un incontro/spettacolo sulla figura e poetica di Faber organizzato
da Dori Ghezzi e Iride Baldo con la Fondazione De Andrè,
per le detenute del carcere di San Vittore a Milano. Insomma,
di colpo ci siamo trovati in un contesto che non avevamo preso
in considerazione : lavorare sull'opera di De Andrè!
Accidenti, che responsabilità! Ci siamo chiesti “E
cosa possiamo fare? Non ci metteremo mica a rifare le “cover
di De Andrè”?! E così, sulle prime geniali
intuizioni di Cabiddu, portate al tributo Tempiese(con Amore
che vieni, amore che vai, La guerra di Piero e Terzo intermezzo),
abbiamo sviluppato un progetto basato sull'idea di un dialogo
virtuale tra noi e Faber, senza fermarci semplicemente ad una
re-interpretazione, ma operando un ampliamento compositivo sui
suoi brani e alternandoli ai nostri originali che nel frattempo
stavamo concludendo, per costruire una grande “Suite”
o meglio, una nuova “Cantata”. Il filo rosso è
senz'altro la Sardegna, per noi terra nativa, per Faber di scelta
consapevole, ma abbiamo evitato facili soluzioni folkloristiche;
in questo senso, la lezione a quattro mani di De Andrè/Fossati
su Disamistade è magistrale! La Sardegna è terra
croce e delizia, ambita e ripudiata, meraviglia di asperità
e dolcezze, caleidoscopio culturale e identitario a dispetto
di un esclusiva “forzata” identità che alcuni
vorrebbero esibire. Il Supramonte poi non lo si può raccontare
in due righe, è tutto da vivere, io ogni tanto lo racconto
in musica.
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Varese, 25 febbraio 2016 - Gli Andhira in concerto |
Torniamo alla musica, al secondo album Nakitirando, un
affresco che, proprio a partire dalla parola intesa come fonema
espressione di una condizione umana e da un punto di vista fortemente
etimologico della parola stessa e del suo mercificato e svilito
utilizzo, affronta un percorso nuovo e con compagni di viaggio
straordinari.
Nakitirando è una parola di libera invenzione che sinteticamente
significa “è opportuno tirare avanti nonostante
tutto”. Ma ti propongo direttamente un estratto dalla
presentazione riportata nell'album, così vado a letto
senza fare l'alba: “In quest'album proponiamo una raccolta
eterogenea di composizioni, frutto di un ciclo compositivo caratterizzato
da una frequente relazione con differenti forme d'arte e di
ricerca, da incontri e collaborazioni con artisti di diverse
provenienze culturali. Questo repertorio, mutevole nella forma
e nello stile di ogni singolo brano, attraversa tradizioni classiche
e popolari, labili confini mediterranei, agili profili di sardità
e altro ancora. Eppure, in questa eterogeneità, emergono
alcuni elementi conduttori o ricorrenti che evidenziano i rapporti
di parentela tra i diversi brani, per affinità tematiche
dei testi o per assonanze di ambientazione sonora”.
L'album è arricchito dalla collaborazione preziosa di
alcuni ospiti musicisti e poeti: Mauro Pagani, Alberto Cabiddu,
il Griot Madya Dyabate, Marcia Theophilo, Pietro Lorrai, Sergio
Pira, Antonio Carlo Borghi detto “Cicci”.
Tra le trame musicali che tessi, ne hai scelto alcune
che esegui con l'harmoniun indiano, strumento desueto che stà
trovando una rinnovata collocazione nel panorama musicale e
che traccia un confine labile tra musica sacra e profana, occidente
e oriente.
In diversi brani ho avuto l'esigenza di una “voce”
strumentale in grado di impastare e dialogare tra le timbriche
vocali e quelle pianistiche. La voce magnetica e avvolgente
dell'harmonium indiano, oltre a soddisfare quest'esigenza, mi
aiuta in alcuni brani ad evocare un territorio sonoro immaginario
ed estraniante. È uno strumento di origini occidentali
che, arrivato in India tramite i coloni inglesi, è stato
subito “indianizzato” dai musicisti locali e trasformato
in uno strumento perfettamente adatto all'estetica sonora e
all'esigenza espressiva di quelle parti, un po come è
successo con l'organetto diatonico in Sardegna.
Quale l'evoluzione del progetto Andhira e quale “impronta”
nuova al cammino lento e consapevole del gruppo?
Ci sono diverse cose che bollono in pentola, alcune già
realizzate ma non ancora ben circuitate, come il progetto di
musica e poesia “di mezzo il mare” con Francesca
Breschi, cantante e attrice straordinaria, componente del quartetto
vocale di Giovanna Marini. Della stessa Marini, con la quale
abbiamo un rapporto di amicizia, stima e collaborazione, abbiamo
studiato la sua ballata de L'Eroe, che ultimamente eseguiamo
in chiusura di concerto. Prosegue come sempre la ricerca e lo
studio sui canti di tradizione orale, prevalentemente sardi,
ma non solo, così come pure la collaborazione con la
coreografa e regista Ornella D'Agostino (associazione Carovana
s.m.i.) partecipando ai suoi singolari progetti interdisciplinari.
C'è pure la vaga idea di realizzare un nuovo album...
Come diceva un vecchietto, quando lo s'interrogava per avere
sicure previsioni metereologiche: “e chi lo sa?”
Gerry Ferrara
Contatti:
luca.andhira@gmail.com
facebook.com/Andhira.Music
Venezia/
I graffiti dei detenuti
Venezia, Palazzo Ducale, visita alle prigioni, dove in una
cella cupa e fredda sono esposti – in mostra – frammenti
di intonaco incisi dai detenuti per motivi politici. Il Palazzo
Ducale, sede di tutti gli istituti governativi della Repubblica,
compresi quelli della giustizia, ospitava anche luoghi di pena
e detenzione. A partire dalla seconda metà del Cinquecento,
si decise di costruire un nuovo edificio al di là del
rio di Palazzo, completamente destinato a funzione carceraria.
Ed è da qui che inizia la nostra visita. Attraversiamo
una piccola scala in discesa che dalla Sala del Magistrato alle
Leggi conduce in uno stretto corridoio che non è altro
che uno dei due attraversamenti del celebre ponte dei Sospiri.
Da qui appunto, il viaggio, per recuperare memorie, tormenti
e urgenze. Disegni e testi concisi, schizzi e motti inneggianti
libertà.
Le parole servono a raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni
per cambiare la realtà, o quantomeno a modificarla. Il
rigore dell'indagine si combina con i segni parietali dove,
dal gusto anarchico degli sconfinamenti, si passa agli accostamenti
inattesi:
W LENIN
W L'ANARCHIA
M I PRETI
A MORTE I FASCISTI
M LA BORGHESIA
Una lettura emozionante, una prospettiva insolita per osservare
questa parte del mondo.
Il recupero di questi intonaci diventa così un osservatorio
privilegiato per analizzare in modo antropologico una condizione
di restrizione evitando facili retoriche. Tra le aree egualitaristiche
di sinistra, accomunate dal considerare la libertà come
valore fondamentale, e anteponendo la difesa della stessa ad
ogni autorità o legge, troviamo:
W
LA RIVOLUZIONE
W
IL DIO
MALATESTA
Nella fabbrica dell'osservatorio tutti i dati sono a disposizione
– orchestrati in modo apparentemente caotico – ma
in realtà corrispondono a urgenze psicologiche, corrispondono
dunque a purificazioni, tesi silenti, paure inespresse, significati
profondi. Basta codificarli intelligentemente per ottenere una
sorta di fotografia iconica, una dialettica psichica in grado
di raccontare una storia della condizione umana nella reclusione,
perché solo partendo da una immagine segnica si riesce
a comprendere la precarietà dell'uomo rinchiuso e la
sua condizione di subordine.
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Venezia, prigioni di Palazzo Ducale - Uno dei graffiti |
Sulle pareti delle celle troviamo dunque i neologismi più
barbari? Si, certo, ci sono tutti, dai più osceni ai
meno necessari ai più intimi, ma tutti rigorosamente
sofferti. Il senso profondo del dolore della detenzione e della
mancanza di libertà.
Una carrellata di animi sofferti, di lotte politiche, di dei,
prostitute e donne salvifiche.
Cristina Francese
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