rivista anarchica
anno 46 n. 407
maggio 2016






Quanto c'è, quanto ci manca, quanto si può raccontare
una chiacchierata con Mario Maffi su Ewan MacColl


«Quando l'ho conosciuto era ormai da molti anni un'autorità indiscussa. A suo modo aveva una “routine” creativa: continuava a scrivere, a pubblicare i suoi libretti di canzoni, a ricercare canti popolari. Soprattutto continuava a tenere concerti in un circuito di pub londinesi nei quali si faceva musica secondo quelle sue “regole” che gli avevano attirato anche tanti dissensi dalle successive generazioni, quella sorta di rigido rigore che imponeva agli interpreti di lavorare esclusivamente sui canti del proprio ambiente di provenienza. È nota la sua violenta polemica contro il “mercificatore” Bob Dylan (che pure non smise mai di dichiararsi suo ammiratore).
In realtà lui era sempre più in relazione con i movimenti dell'attualità che con le mode musicali: negli ultimi anni fu attivo sui grandi scioperi dei minatori contro la Thatcher degli anni '84-'85, andando ai picchetti nelle regioni minerarie, intervistando, raccogliendo materiali, canzoni improvvisate, scrivendone lui stesso di nuove – un po' secondo lo schema delle “Radio ballads” che venticinque anni prima gli avevano fruttato premi e riconoscimenti – il suo legame con la realtà non si interruppe proprio mai.
Forse il momento più emozionante della grande serata-concerto per festeggiare il suo settantesimo compleanno nel gennaio del 1985, fu quando una delegazione sindacale salì sul palco e gli regalò una lampada da minatore, come pegno della gratitudine per l'artista che aveva sempre appoggiato le lotte dei lavoratori.»
L'oggetto di questa rievocazione è il grande cantante, autore e ricercatore di musiche tradizionali Ewan MacColl, una leggenda del folk internazionale. La persona che ce ne parla è il professor Mario Maffi, docente (oggi in pensione) di Cultura Anglo-Americana all'Università Statale di Milano.
«Mi raccomando» mi ribadisce sorridendo «specifica che di musica e di canzoni io sono appassionato in maniera del tutto dilettantesca, non me ne sono mai occupato per studio! Certo per la mia generazione negli anni '60 era “l'aria del tempo”: in quegli anni i Weavers, Pete Seeger, Joan Baez... un universo, se vuoi mescolato assieme indistintamente con molti e diversi livelli di genuinità, faceva parte del bagaglio culturale comune. L'incontro con Ewan MacColl è stato importante perché il suo rigore mi colpì parecchio: pur da dilettante intravedevo la conoscenza di un universo molto complesso e affascinante. Ewan lo conoscevo di nome già dalla metà degli anni '60, quando con altri amici ci scambiavamo un po' di cose sulla musica folk, ma lo incontrai di persona a Milano nel 1968, quanto venne a esibirsi al Teatro Lirico con il suo “London Critics Group” in un concerto organizzato e introdotto dall'etnomusicologo Bruno Pianta. Poi nel '69 ero a Londra, e sono andato a sentirlo nel pub dove cantava regolarmente, da allora siamo rimasti amici molto stretti, frequentandoci con le rispettive famiglie nel Kent o in Italia. Quando ci fu il suo settantesimo compleanno nel 1985 volai a Londra...».

Città di memoria

Sono arrivato al professor Maffi sentendogli presentare a Radio Popolare il suo libro Città di memoria, una summa che incrocia studi letterari, passione musicale, militanza politica. In una narrazione che compendia il diario di viaggio, la rievocazione storica e il saggio antropologico, si viaggia attraverso dei percorsi ideali: New York, New Orleans, Parigi, Manchester-Salford, Londra. È un libro stratificato nella concezione e gradevole da leggere, un libro di cui è più difficile parlare che fruire.
Nell'intervista in radio - sentita per caso un mattino - Mario Maffi, parlando di Manchester-Salford, evoca la sua amicizia con Ewan MacColl... mi risuona un campanello nella testa: sono anni che voglio approfondire la figura di MacColl... ancora col dentifricio in bocca mi appunto titolo del libro e autore, e qualche tempo dopo mi trovo accomodato nel suo appartamento col registratore acceso: Ewan avrebbe credo apprezzato questo approccio orale alla sua opera!
«Non devi pensare a lui come un ideologo tetragono e musone, era un uomo affabile, di un'immediatezza emotiva straordinaria, amante della compagnia, della chiacchierata, della tavola, non c'era argomento che non lo interessasse. Lui in gioventù negli anni '30 era stato nel Partito Comunista Inglese - all'epoca pericolosamente stalinista - uscendone però negli anni '50. Quando lo conobbi io manifestava qualche simpatia maoista... immagina i punti anche aspri di diverbio con me, che per tradizione familiare sono legato alla corrente di Bordiga! Ma tutte le volte in cui veniva qui a Milano, per concerti o anche semplicemente per vacanza, era sempre uno straordinario piacere spendere del tempo con lui, in grande semplicità e umanità. Quando stavo preparando un libro su un quartiere dell'immigrazione a New York – ci stavo lavorando da tempo e capitai più volte a casa loro – lui mi dava una serie di consigli e mi ricordo che mi spinse a fare interviste, dicendomi “vedrai quanto è straordinariamente affascinante perché le persone hanno voglia di raccontare, non ti fare intimidire, hanno voglia di trasmettere!” Può sembrare una cosa banale, ma è vera: tu entri un po' timoroso nella vita della gente cui mai nessuno ha prestato attenzione, e presto ti accorgi che hanno una straordinaria voglia di regalarti la loro esperienza, soprattutto quando hanno alle spalle decenni di lotta, di commedie e di drammi.
L'impasto di questa fame di esperienze umane e di talento espressivo era l'anima stessa di Ewan e di sua moglie Peggy Seeger (la sorellastra di Pete) che non bisogna mai dimenticare di nominare, perché il loro sodalizio artistico e sentimentale rende la loro opera indistinguibile. Peggy era uguale e speculare a Ewan, alla sua maniera lo completava, ed era interessante vederli interagire: lui più politico, centrato sulla cultura di classe, lei più morbida, più etica, più centrata sui diritti civili, col suo fare più pragmatico e americano. Era proprio bello vederli lavorare assieme, e Peggy - dalla morte di Ewan a tutt'oggi - è la perfetta continuatrice di questo lavoro di coppia.»

Ewan MacColl e Peggy Seeger
Esplosiva situazione inglese

(Da Città di memoria p. 233 e seg.) “James Henry Miller, questo il vero nome di Ewan MacColl, nasce a Salford nel gennaio 1915. Famiglia scozzese, solide radici nella lingua e nelle tradizioni di quelle terre, forti convinzioni socialiste: il padre è un iron moulder, un operaio addetto alla formatura nelle fonderie, e per il suo impegno sindacale e politico finisce presto sulla lista nera di tutta la Scozia; la madre sa fare un po' di tutto: lavora per qualche tempo in una filanda, pulisce uffici e case private, aiuta le partorienti nel travaglio, compone i morti... Entrambi amano cantare (il repertorio popolare, i canti di Robert Burns) e raccontare (le leggende, i ricordi, le storie di ogni giorno). [...] In cerca di lavoro, arrivano a Salford [...] qui nasce Jimmie, unico a sopravvivere di quattro fratelli. II suo rapporto con Salford è strettissimo e conflittuale. [...] In questa Salford cresce dunque Jimmie Miller, monello e lettore accanito nelle biblioteche pubbliche locali, frequentatore con il padre di incontri e manifestazioni politiche. [...] Dopo avere sperimentato diversi lavori precari (tuttofare in fonderia, muratore, meccanico di garage, aiuto-redattore in una rivista di settore), a 16 anni frequenta con angosciata regolarità l'ufficio di collocamento [...] ma non è solo: insieme a lui, ci sono i membri, ragazzi e ragazze, precari o disoccupati, giovani comunisti o più genericamente “di sinistra”, di un gruppo di teatro di strada [...] “The Red Megaphones” [...] hanno assimilato l'esperienza del teatro di agitazione e propaganda tedesco e sovietico e la stanno applicando all'esplosiva situazione inglese. Su palchi improvvisati, per lo più carretti rimediati in qualche modo, agli angoli delle strade, davanti ai cancelli delle fabbriche tessili in sciopero, all'ingresso dei docks [...] mettono in scena brevi sketch di una decina di minuti, con rapide battute, slogan e canzoni che toccano la problematica quotidianità e i temi politici del momento.
[...] Poi ci sarà la guerra. Jimmie viene arruolato, si ribella alla vita militare, diserta, vive alcuni anni in quasi completa clandestinità continuando però a collaborare al lavoro della compagnia [...] che cambierà nome di lì a poco e diventerà “Theatre Workshop”. [...] intorno al 1951, si verificherà I'incontro epocale con l'americano Alan Lomax [e con] una giovanissima Peggy Seeger, altra figlia e sorella d'arte, e con lei inizierà una partnership professionale e personale destinata a durare per il resto della sua vita [...]. In quello stesso 1951, mentre, a poche ore dalla serata inaugurale, la compagnia è impegnata nell'ultima prova di un testo di MacColl [...] i due direttori artistici sentono la necessità di “coprire” un cambio di scena con una canzone. Ewan la compone di fretta e l'intitola appunto “Dirty Old Town”. Da allora, la canzone avrà un successo strepitoso (come “First Time Ever I Saw Your Face”, scritta per Peggy agli inizi della loro vicenda sentimentale, verrà incisa da numerosi altri artisti), in qualche modo coinciderà con un sempre maggiore distacco di Ewan dalla compagnia e un suo crescente coinvolgimento con la musica.”

Stimolo a creare

L'indifferenza e quasi il fastidio per due brani diventati celebri nel mondo farebbe pensare a un eccesso di understatement, quasi un “nascondere” il proprio percorso poetico originale dietro alla cultura popolare. Per autori come MacColl aderire a una fonte popolare diventa una ragione di vita. Il resto è individualismo, se non proprio compromesso col mercato.
«Ripercorrendo un po' l'arco di vita e di creazione di Ewan, io vedo questo costante stimolo a creare delle “Topical songs” canzoni legate ad alcuni argomenti, aspetti, momenti, episodi specifici. Anche di “Dirty old town” lui diceva “l'ho scritta in cinque minuti come riempitivo”, e quindi c'è l'understatement, ma poi in fondo questa è la sua vera memoria: ci sono autori talmente legati a quanto succede attorno a loro, da operare come dei filtri, con una sensibilità da antenne sismografiche nel cogliere certe situazioni e nel riuscire a trasmetterle attraverso la propria performance di scrittura e di canto. Magari è vero, “Dirty old town” l'avrà pure scritta in cinque minuti, ma in quel momento funzionava da sismografo, quella era l'esigenza dello spettacolo teatrale ma lì ha concentrato una narrazione vissuta nell'adolescenza nella città di Salford, e tutta una serie di portati della tradizione e di conflitti che lo attraversavano. Il conflitto fra il vagabondo - il “Manchester rambling” di un'altra sua celebre canzone - colui che durante la settimana è schiavo salariato, e di domenica finalmente ritorna il “free born man” il “nato-libero” che riesce a disfarsi di tutte le costrizioni, l'orrore, la pesantezza del lavoro. In lui c'è tutta la tradizione proletaria del riuscire a mantenere un legame con la natura al di fuori delle grandi metropoli: MacColl è stato anche uno degli originatori di questo movimento degli anni '30 che si opponeva alla chiusura delle terre a favore del libero passaggio per foreste e campi. Anche se in lui risulta poi prevalente il rapporto con la metropoli, una metropoli amata e odiata contraddittoriamente, tanto che in “Dirty old town” dice “voglio farmi un'ascia affilata e con questa abbattere la città”... Questo è solo uno dei tanti discorsi che mi è rimasta come la voglia di approfondire con lui... ma come spesso accade - anche in un'amicizia di oltre vent'anni - non ce n'è stato il tempo.

L'elemento dell'amicizia

MacColl non era una primadonna da questo punto di vista, ed è stato anche affascinante il modo in cui a poco a poco sono venuti fuori questi ricordi sul suo trascorso di impegno politico, di lavoro nel teatro, non c'è mai stato una specie di presentazione, non si è mai messo frontalmente a raccontarmi la sua vita. Così nelle chiacchierate a tavola ti diceva “sì, sono stato uno dei fondatori del “Theatre workshop” allora tu rimani a bocca aperta perché è un'esperienza enorme per il teatro inglese. Oppure “sono stato uno dei primi organizzatori delle marce degli anni '30 contro la disoccupazione”. Erano cose che ogni tanto zampillavano fuori e anche questo fa parte dell'aspetto interessante dell'estrema umanità di Ewan, che pur sapendo che io facevo libri, che ero un docente, non mi ha mai visto come qualcuno che potesse scrivere di lui, che potesse diventare un suo “ambasciatore” nella cultura italiana, ma semplicemente come qualcuno che si interessava al suo lavoro e in fin dei conti a lui come persona. Lui metteva l'elemento dell'amicizia molto prima di ciò che lui e sua moglie rappresentavano. Conservo ancora delle lunghissime lettere in cui mi narrava dello sciopero dei minatori, ma in una dimensione familiare, quotidiana e amicale prima che orientata a farsi conoscere. Devo dire che è una delle persone che a me mancano molto.
Ed è questo Ewan, uno che non mi si è mai imposto, e che perciò tanto più ora mi manca.»

Alessio Lega