Europa
Un fallimento annunciato
di Andrea Papi
Le mille ambiguità del progetto Europa, nato dall'interessante Carta di Ventotene e trasformatosi fin dall'inizio della sua realizzazione in un trattato tra stati, sempre più burocratico e lontano dagli ideali iniziali.
Il 7 marzo scorso il premier turco Davutoglu a Bruxelles ha di fatto stracciato l'accordo appena raggiunto dopo faticose settimane d'incontri tra Europa e Turchia. Ha alzato la posta e raddoppiato la richiesta di soldi già ottenuta per trattenere i migranti, nel tentativo di riuscire a controllare e incanalare l'immigrazione dei disperati che premono dal medio oriente sui Balcani, facendo entrare in Europa soltanto i regolarizzabili. Inoltre ha fatto pressione per accelerare la definizione dei trattati di annessione all'Unione Europea.
Certamente da anni eravamo abituati ad un altro trend. La Merkel, che si era sempre dimostrata contraria all'ingresso della Turchia in Europa, ultimamente sembra esserne diventata la maggiore sostenitrice, rappresentando di fatto in questa fase un vero ponte tra lo stato turco e quelli europei, dei quali cerca di limare in continuazione le resistenze. La sua idea sarebbe che la Turchia diventasse il confine esterno della Ue, in modo che da lì i flussi dei migranti potrebbero essere controllati e incanalati. Così sta cercando di favorirne e accelerarne l'ingresso in Europa, proprio come desidera fortemente Erdogan, nonostante il presidente della Commissione europea Juncker non sia d'accordo.
Il patto rappresenta il triste coronamento di un insieme di scelte nefaste destinate ad affossare definitivamente quell'idea di Europa che, almeno ufficialmente, avrebbe dovuto sostenere la comunità europea. A cominciare dalla moneta unica senza una concreta unificazione politica, centralizzazione finanziaria la cui impostazione umilia gli stati aderenti, sottoposti alla mannaia di un rigore che erode e distrugge le economie nazionali deboli. Fino all'erezione di muri e fili spinati, che disintegrano il messaggio della Convenzione di Schengen di superare barriere e confini.
Dettato da ragioni di opportunismo, sarebbe un patto scellerato con la sferza dittatoriale di Erdogan. Al di là di ogni giustificazione più o meno ufficiale, rappresenta una legittimazione di un regime altamente dispotico che, ispirandosi all'assolutismo teocratico della jihad, di fatto sta affossando ogni ombra di quella laicità che Mustafa Kemal, noto come Atatürk, con le sue riforme aveva cercato di avviare per collegarsi ai processi della modernità. La Turchia di oggi è una dittatura spietata, che sopprime la libertà di stampa e di pensiero, incarcera e tortura i dissidenti, schiaccia senza pietà ogni rivendicazione di autonomia, oltre a bombardare i resistenti curdi dicendo di voler attaccare l'Isis. Accordarsi con lei vuol dire esserne complici. L'illusione di diventare un esempio di affratellamento internazionalista, con cui l'Europa unita si era proposta nell'atto costitutivo, è da tempo sfumata e sono stati traditi gli spiriti di apertura, di libertà e di solidarietà umana che avrebbero dovuto esserne il vanto.
Egemonia finanziaria
Eppure in origine non era stata pensata così. Seppure molto distante da una visione anarchica, i suoi fondatori l'avevano ipotizzata idealmente come esempio di libertà democratica e di apertura cosmopolita, polo di creazione e diramazione di pace tra popoli e individui. Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, un socialista, un liberale e un ex comunista, insieme approfondirono le cause che avevano provocato due guerre mondiali e conclusero che la sovranità assoluta degli Stati nazionali è il fondamento di un (dis)ordine internazionale basato sulla “legge del più forte”. Nel carcere dell'isola di Ventotene, dov'erano stati confinati dal regime fascista, tra il 1941 e il 1944, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann avevano stilato il Manifesto di Ventotene, redatto col titolo Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto, che diverrà poi la base della proposta per un'Europa unita e federale.
A differenza di Pan-Europa, un precedente testo scritto da Kalergi nel 1922, che auspicava un'UE a guida tecnocratica, il Manifesto di Ventotene è a tutti gli effetti il primo documento ufficiale che prefigura la necessità dell'istituzione di una federazione capace di unire gli stati europei in un patto politico e ideale, con un parlamento eletto a suffragio universale e un governo democratico fornito di poteri reali, con facoltà di decidere in alcuni settori fondamentali come l'economia e la politica estera. Per questi motivi è considerato uno dei testi fondanti dell'attuale Unione.
Il Manifesto parla anche di un'attenzione socialistica rispetto alle problematiche operaie. Nel terzo capitolo recita a chiare lettere: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita''. In tutta la stesura si evince una spinta ideale, che pone l'accento su una rivoluzione politica che miri al superamento degli steccati statal-nazionalistici. Tutto questo però, aggiungiamo noi, dentro una cornice che non riesce ad esimersi, né lo vuole, da forme ben strutturate di accentramento politico, seppur diluite da un assetto confederale, che quindi, suo malgrado, ripropone logiche stataliste nel tentativo di superarle.
Purtroppo l'idea originaria ha altre debolezze che offrono il fianco, quando per esempio s'ispira ad un federalismo di tipo hamiltoniano per quanto riguarda la politica monetaria. Alexander Hamilton, primo Segretario al Tesoro della nuova nazione americana nel 1789, si batté per il rafforzamento del potere federale attraverso l'istituzione di una banca nazionale e per la creazione di un sistema monetario unico. Un'impostazione di riferimento per l'attuale Banca Centrale Europea, la quale però non ha nulla del coordinamento federale, mentre rappresenta un accentramento di tipo privatistico che controlla banche private, non potendo più nemmeno fare le funzioni di una banca di emissione. Lo stesso Altiero Spinelli, a suo tempo, definì “un topolino partorito dalla montagna” l'Atto Unico del 1986, risultante del Progetto di Trattato che istituisce l'Unione Europea del 1985, da cui scaturì il Trattato di Maastricht del 1992. Tutte scelte che fin dalle origini hanno sminuito l'originaria spinta propulsiva, federalista, cosmopolita, pacifista.
Gli sviluppi che ne sono succeduti hanno condotto all'attuale situazione politica, che trovo paradossale. Oggi assistiamo allo “spettacolo” di forze più o meno estreme orientate a destra che osteggiano rumorosamente “quest'Europa dei banchieri, non dei popoli”, com'esse dicono. Al di là della sua provenienza questa critica coglie nel segno, perché è sostanzialmente vero che impera un'egemonia finanziaria. Intere popolazioni, messe in ginocchio, s'impoveriscono. L'applicazione spasmodica di un rigore capestro le costringe a pagare debiti iperbolici, derivati soprattutto dalla speculazione e dalla corruzione, di cui non sono responsabili, mentre lo sono le oligarchie politiche e finanziarie sovrastanti, sorrette da un malaffare dilagante.
Noi, federalisti non-statalisti
L'impalcatura e le propensioni istituzionali europee sono a tutti gli effetti il risultato di impostazioni tranquillamente riconducibili a una cultura di destra tradizionalmente moderata, non certo a visioni di sinistra, indipendentemente da come si auto/qualificano gli schieramenti che le sostengono. Ciò che si è messo in piedi è sostanzialmente di destra perché è sorretto da un impianto smaccatamente liberista, mentre le logiche federaliste non riescono ad emergere e impostarsi. Al contrario trovano sempre più spazio spinte nazionaliste e xenofobe assieme a tensioni para-militariste. Il paradosso sta nel fatto che una tale macro/impostazione, sempre più marcatamente destrorsa, venga contestata ideologicamente dalle forze politiche di destra, mentre è sostenuta dalle sinistre istituzionali, le quali al massimo emettono qualche fragile vagito di labile critica che non vuole però intaccarne la sostanza.
Insomma è un disastro. Noi, che da federalisti siamo soprattutto non-statalisti, guardiamo con grande preoccupazione gli sviluppi di un tale aborto politico, sorto idealmente per dare principio ad un'era di pace, di apertura cosmopolita e di avvio a solidarietà internazionaliste, che invece sta favorendo rigurgiti xenofobi al limite del razzismo, spinte revansciste, slanci di tipo autoritario accompagnati da frequenti voglie dispotico-assolutistiche. Il tutto immerso in un brodo di egemonia finanziaria, che ci sta impoverendo perché favorisce “élite” plutocratiche che dominano incontrastate.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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