Morti non accidentali
Tutti assolti. Punto e a capo.
Colloquio con Lucia Uva di Claudia Pinelli
Otto anni dopo quel 14 giugno 2008, gli otto uomini delle forze
dell'ordine imputati per omicidio preterintenzionale ecc. ecc.
sono tranquillamente usciti di scena.
Resta da capire come e perché sia morto Giuseppe Uva.
A Varese.
Si è chiuso il primo grado del processo che vedeva imputati, per la morte di Giuseppe Uva, due carabinieri e sei poliziotti, accusati di omicidio preterintenzionale, sequestro di persona e abuso di autorità. Tutti assolti.
Lucia, la sorella maggiore, non ne è stupita, dice che se lo aspettava, dopo aver seguito ogni udienza e aver ascoltato. Aveva già pronta la maglietta di denuncia, in questa spettacolarizzazione che quasi ti impongono, per poter essere, se non altro, visibile. Otto anni per arrivare a questo, in un calvario che mi ricostruisce una domenica, nella casa in cui vive, in campagna, circondata da 15 cani, alcuni minuscoli altri grandi, con cancelletti a difendere gli ambienti, ma in cui i più piccolini di taglia facilmente si insinuano saltandoti in braccio a farsi coccolare. Potrebbe essere una vita normale, tra marito, lavoro, figli, nipoti, animali. Potrebbe.
Non ci sono lacrime in quei suoi occhi vivaci quando racconta, ancora, e quante volte si è trovata a farlo, di quella giornata di inizio estate, di ormai 8 anni fa, il viaggio in macchina per andare al mare e quelle notizie che si rincorrono fino alla più tremenda “Pino è morto“ che giunge al casello di Senigallia. E si torna indietro. Non ci sono più lacrime negli occhi scuri di Lucia quando racconta del corpo del fratello, sul tavolo dell'obitorio, dei segni e dei lividi, del pannolone intriso di sangue, di quel corpo che accarezza e guarda e fotografa.
Giuseppe era stato fermato dai carabinieri con un amico. Erano ubriachi e avevano chiuso al traffico con delle transenne un pezzo di strada. Per questo erano stati portati in caserma, a Varese. L'amico, chiuso in un'altra stanza, sente i tonfi, le grida di Giuseppe e chiama un'ambulanza. L'operatore chiede conferma in caserma, gli dicono che è tutto a posto. Giuseppe morirà qualche ora dopo, nel reparto psichiatrico dell'ospedale in cui è stato ricoverato. Diranno che aveva compiuto atti di autolesionismo.
Lucia continua a raccontare dello strazio e dei dubbi che si insinuano da subito su come realmente siano andate le cose. Ma di Giuseppe, persona semplice che faceva il gruista e che nella vita aveva avuto momenti di difficoltà, da cui si era faticosamente ripreso, e della sua morte di giovane uomo durante un fermo in caserma, sembra non interessare nessuno. Lucia deve reagire al dolore e allo smarrimento e cercare una strada per denunciare quanto lei ipotizza sia avvenuto.
Decide così di far pubblicare le fotografie del cadavere di suo fratello. Ottiene l'attenzione dei media, ma fino al 2011 gli unici indagati saranno i medici imputati di omicidio colposo. Poi la riesumazione del corpo, l'autopsia che evidenzia le contusioni, ma sono già passati 4 anni, i medici verranno assolti mentre i poliziotti, i carabinieri e il testimone oculare, non verranno ascoltati. Il procuratore di Varese Agostino Abate continuerà a tenere fermo il fascicolo mentre la decorrenza dei termini si avvicina, gli unici indagati saranno Lucia e chi le è stato vicino, per diffamazione (verranno poi assolti).
Non c'è rassegnazione
E arriviamo alle ultime fasi, il caso viene portato via al procuratore di Varese e si decide di procedere nei confronti dei carabinieri e dei poliziotti e si giunge a questa sentenza di assoluzione, di cui aspettiamo di leggere le motivazioni. Perché e come sia morto Giuseppe Uva, trattenuto per ore in una caserma dei carabinieri, non è dato sapere.
Non c'è rassegnazione nella parole di Lucia e nel suo sguardo. Non se la può permettere.
Catapultata in una storia che ha dovuto affrontare, ha intrapreso un cammino che l'ha portata a incontrare e confrontarsi con molte persone e associazioni, ha trovato solidarietà ma anche insulti in chi dileggia questo suo faticoso percorso. E si è riconosciuta in storie su cui non si era mai soffermata, perché la “tua“ vita era un'altra e prendi consapevolezza, molte volte, purtroppo, solo quando l'ingiustizia colpisce te, quando sei tu a non rassegnarti che la giustizia non sia un atto dovuto a ogni cittadino.
Claudia Pinelli
Pinelli
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Luciano Lanza, Quel distratto silenzio / avvocati Marcello
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