rivista anarchica
anno 46 n. 411
novembre 2016


rivoluzione 4.0

Tutto cambia

di Andrea Papi


La quarta rivoluzione economico-sociale dopo quelle industriale, elettrica ed elettronica, si caratterizza per la pervasività dell'informatica. Una trasformazione profonda e globalizzata, con anche elementi di profonda criticità e pericolo per la società nel suo insieme e per i diritti dell'individuo.


La prima rivoluzione industriale fu determinata dalla nascita della produzione di massa dovuta alla tecnologia a vapore di James Watt. La seconda alla fine del 1800 con la messa in opera della corrente elettrica e la divisione del lavoro fino alle catene di montaggio. La terza alla fine del 1900 con l'ascesa della tecnologia informatica.
Oggi siamo alle soglie della quarta, “Industria 4.0”, che ha preso avvio soprattutto in Germania e Stati Uniti. Negli Stati Uniti, molto più attenti al consumo, è preponderante l'attenzione verso il rapporto col consumatore finale, in Germania, più concentrata sulla qualità produttiva, prevale la manifattura. Argomento finora esclusivo per addetti ai lavori, comincia ad essere divulgata come senso e contenuti, probabilmente perché i processi di trasformazione hanno preso seriamente avvio e s'inseriranno sempre più velocemente.
Che cosa la distingue dalle precedenti, rendendola talmente diversa da rappresentare un vero e proprio passaggio a una nuova “era industriale”? Molto importanti senz'altro il tipo di tecnologia e la tendenza a un'automazione generalizzata, praticamente di ogni processo produttivo. Ma non bastano. Ciò che ne fa qualcosa di veramente differente è la sistematica e continua connessione digitale e elettronica tra tutti i passaggi della filiera, fino al consumatore. Un qualcosa che tende a cambiare la natura del capitalismo, come ci suggerisce Paolo Bricco sul Sole 24 ore del 10 agosto, perché impostata miscelando materiale e immateriale, virtuale e concreto, per dare origine a prodotti che prendono forma attraverso l'adozione pervasiva della nuova informatica e il collegamento diretto con l'utilizzo dei fruitori finali.
In altre parole, “Industria 4.0” rappresenta per la produzione quello che per i consumatori è “Internet of Things”, in cui qualsiasi articolo, dalle auto ai termostati ai tostapane, è connesso a internet. Modalità di fabbricazione con un potenziale infinito. La comunicazione tra i prodotti intelligenti di “Internet of Things” e le macchine intelligenti che li producono, “Industrial Internet” secondo General Electric, significa che gli oggetti saranno in grado di monitorare il loro stesso uso e determinare quando si spegneranno. Tutto collegato e tutto in permanente comunicazione, immersi in uno scambio continuo di informazioni e richieste personalizzate; capacità autodiagnostica e controllo a distanza della produzione. Una consapevole ibridazione che incrocia tecniche sofisticate di manifattura con una specie di “economia della conoscenza”, cioè un aggiornamento continuo delle nuove possibilità d'intervento tecnologico.
Una struttura totalmente integrata, che contiene il potenziale di cambiare la definizione del lavoro umano. Le massacranti azioni ripetitive, tipiche delle catene di montaggio, saranno in breve completamente sostituite da dispositivi automatizzati, mentre gli operatori/lavoratori, forniti di competenze e specializzazioni tecnologiche adeguate, dovranno e potranno gestire l'azienda non in loco, da remoto via internet, e spendere meno tempo in un luogo di lavoro specifico.

Efficienza costante

Il classico vecchio “lavoro manuale” diverrà roba da robot e automi, mentre il lavoro, quale competenza d'intervento nella produzione, sarà soprattutto complemento e messa a punto delle macchine computerizzate nella loro azione digitalmente programmata. Non più eserciti di operai, ma un numero limitato di addetti altamente specializzati. Due conseguenze: addio vecchia classe operaia e non più macchine complemento dell'uomo. Il rapporto sarà necessariamente rovesciato: il lavoratore/uomo sarà un complemento, seppure per ora indispensabile, dell'azione delle macchine.
A una tale impostazione si affianca direttamente un'altra problematica, derivata dall'IA (Intelligenza Artificiale), cioè l'abilità dei computer di svolgere funzioni e ragionamenti tipici della mente umana, che sta avanzando a passi da gigante. In altre parole “macchine che pensano da sole”. Anche se può sembrare un ambito irrealistico da confinare nella fantascienza, bisogna cominciare a farci i conti. Da almeno un lustro è una realtà insopprimibile, che acquisterà sempre più spazio. “In meno di 15 anni l'intelligenza artificiale si prepara a trasformare molti aspetti della vita quotidiana. Lo indica il rapporto dell'Università di Stanford che traccia uno scenario per il 2030 basato sulle previsioni fatte dai massimi esperti mondiali del settore [...]. Una prima ondata di tecnologie che sfruttano l'intelligenza artificiale è già entrata da qualche tempo nelle nostre vite, dagli “assistenti” vocali negli smartphone fino ai sistemi che riconoscono i volti sui social network, ma siamo solo agli inizi” – recita un articolo di Scienza&tecnica (ANSA, 13 settembre).
Tendenze inarrestabili. Non passerà molto tempo che anche il management classico verrà sostituito da pianificazioni computerizzate. Programmazioni e estensioni progettuali fatte da uomini contengono una base di rischio propria della fragilità e imprevedibilità umane. Avendo invece a disposizione strutture cibernetiche computerizzate, in grado prima di identificare e selezionare miliardi di dati inerenti il problema che si vuol affrontare, poi di elaborarli fino a riuscire a stilare progetti operativi per la produzione industriale, teoricamente si elimina il rischio e ci si regala la sicurezza di elaborazioni standard, sempre molto funzionali.
Tendenzialmente avremo così un'impostazione industriale fondata sull'efficienza costante: strutture elettromeccaniche massimamente evolute che, attraverso impostazioni e percorsi cibernetici computerizzati, gestiranno praticamente in modo autonomo progettazioni e realizzazioni della fabbricazione dei prodotti, in un contesto dove tutti i diversi processi saranno continuamente interconnessi. Praticamente le “nuove macchine” saranno la vera nuova industria, supportate da interventi umani per la manutenzione e il controllo degli standard di efficienza.
È inevitabile domandarsi cosa potrà comportare tutto ciò. La prima cosa che salta agli occhi è la strabordante prevalenza dell'elemento macchine sull'elemento umano, in una condizione che al momento appare, se non di sudditanza, senz'altro di forte dipendenza. In un futuribile contesto ambientale, dove ogni movimento e ogni scelta saranno fondamentalmente condizionati dai modi di operare e dai codici interpretativi delle “nuove macchine”, forme di dipendenza con conseguenti limitazioni e restringimento di autonomia saranno inevitabili e creeranno standard di conformismi e uniformità. Da questo punto di vista le libertà individuali e collettive non potranno che essere in pericolo. Di conseguenza, temo che si abbasserà molto anche la capacità di ribellarsi in modo adeguato ed efficace.

Il sapere e le abilità artigiane

Dato il livello elevato di sofisticazione tecnologica, è probabilissimo che il distacco tra il potere della e sulla conoscenza e la sua fruizione sarà destinato ad aumentare. La conoscenza sarà sempre meno per tutti mentre ci sarà la tendenza a subire chi la gestisce e controlla. L'accesso alle informazioni e ai vari gradi di apprendimento sarà perciò un problema fondamentale, che determinerà in modo decisivo forme e qualità del potere futuro. Una tendenza che dovrebbe indurre a ripensare contenuti e forme di lotte, ribellioni e sovvertimento dell'esistente. Dovremo senz'altro proporci come cercatori e diffusori sovversivi di conoscenze, oltre a prospettare e agire affinché il sapere e la sua diffusione diventino veramente di tutti, in una condizione di mutualismo sociale, al fine di realizzare condivisione e scambio reciproci.
Un'altra conseguenza che ritengo rilevante sarà la scomparsa della figura dell'operaio classico, con conseguente eclissi dei rapporti di sfruttamento nei termini che conosciamo. La fabbricazione dei prodotti non sarà più opera di operai, cioè del lavoro manuale, ma il risultato delle interconnessioni tra apparati tecno-informatici computerizzati. Il problema centrale non sarà più lo sfruttamento proletario, dal momento che non esisterà più, ma le condizioni di vita cui saremo costretti. La qualità sociale e individuale dell'esistente sarà perciò il momento fondante di ogni rivendicazione e lotta.
In un tale contesto complessivo diverrà fondamentale riproporre e coltivare il sapere e le abilità artigiane, fuori da logiche di mercato, ma dentro la complessità delle relazioni sociali. Non tanto quale rifiuto e alternativa all'esistente tecnologico, fra l'altro inarrestabile, bensì per non trasformarci in totali dipendenti dall'abilità delle macchine e degli apparati tecno-informatici.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it