Spagna
'36
Contro
il fascismo
(e il maschilismo)
Numerose
iniziative hanno ricordato lo scorso luglio – e nel corso
dell'anno – la rivoluzione e la guerra di Spagna (1936-1939).
In verità, la maggior parte hanno ricordato prevalentemente
l'aspetto “militare”, cioè il golpe anti-democratico
di Francisco Franco del 19 luglio 1936, il cattolicissimo dittatore
fascista che per un quarantennio rimase al potere, quasi in
sintonia con il parallelo regime fascista di Salazar (al potere
dal 1932 al 1968) e Caetano (fino al 1974) in Portogallo. E
l'immediata risposta popolare, per contrastare il golpe.
Solo gli anarchici e pochissimi altri hanno ricordato la rivoluzione
sociale che, tra le mille difficoltà della guerra, si
sviluppò – principalmente in Catalogna, nel Paìs
Valencià e in Andalusia. E il ruolo fondamentale della
presenza sociale libertaria, soprattutto tramite le attività
e l'influenza della CNT (Confederación Nacional del Trabajo),
il sindacato “anarco-sindacalista” di gran lunga
maggioritario in varie regioni spagnole.
Pubblichiamo in queste pagine due articoli di carattere storico
dedicati alla presenza delle donne anarchiche. Arianna
Fiore, ricercatrice di lingua spagnola all'Università
di Firenze, traduttrice, nostra collaboratrice, si occupa di
come venissero viste e presentate, in epoca fascista, le donne
anarchiche volontarie in Spagna, partendo anche dalle carte
di polizia consultabili presso l'Archivio centrale dello Stato,
a Roma.
Successivamente è Helena Andrés
Granel, ricercatrice all'università di Rosario (Argentina),
a occuparsi di Mujeres Libres, la storica organizzazione di
donne anarchiche spagnole, impegnata contro il golpe franchista
ma non solo: in un difficile lavoro di sintesi, Mujeres Libres
si opponeva anche al maschilismo presente in mille forme dentro
le fila libertarie così come nella società.
Due saggi storici ancora oggi ricchi di insegnamenti sulla società
di 70 anni fa, ma anche per l'oggi.
Spagna '36
Squilibrate, suggestionabili e di facili costumi
di Arianna Fiore
Come gli organi di controllo fascista rappresentavano le volontarie
italiane della guerra civile spagnola.
Da alcuni anni mi sto occupando,
insieme a un gruppo di storici che studiano la partecipazione
italiana antifascista alla guerra di Spagna, del ruolo avuto
in questo conflitto dalle donne italiane1.
Vorrei iniziare la presente riflessione con una premessa sulla
questione delle fonti, di per sé abbastanza problematica.
Il medievista Jacques Le Goff sosteneva che non esiste un documento
innocuo e che ogni fonte deve essere interpretata non solo per
quello che dice ma anche per quello che è, e quindi anche
per chi l'ha prodotta, in quale contesto e con quale fine. Secondo
la sua affermazione, è necessario porsi il problema delle
fonti, posto che nessun documento deve essere considerato fonte
di verità assoluta. Per studiare la storia dell'antifascismo
si parte genericamente da due tipi di fonti: quelle provenienti
dallo stesso mondo antifascista, che si descrive, si racconta,
si interpreta, si ricorda o si celebra, o quelle prodotte invece
dal Regime. In questo secondo caso, bisogna considerare fonti
primarie i servizi d'informazione della polizia, le note della
Regia Prefettura, le carte dei processi della Magistratura,
le requisitorie dei Pubblici Ministeri presso il Tribunale Speciale
per la Difesa dello Stato, i verbali degli interrogatori, ossia
tutta la documentazione fornita o veicolata dai principali organi
burocratici della struttura totalitaria. A questi documenti
di tipo ufficiale si aggiungono le fonti secondarie: delazioni
prodotte da informatori, infiltrati, provocatori vari, indispensabile
propaggine non istituzionale del Regime per la capillare sorveglianza
dell'antifascismo. In entrambi i casi, come ricordavo poc'anzi,
non si può confidare in un'assoluta oggettività
del documento, sempre viziato dall'interpretazione di chi lo
produce: gli antifascisti in un caso, gli organi istituzionali
– burocrati chiusi in un ufficio – e gli infiltrati,
nel secondo.
Solo fonti fasciste
Giampietro Nico Berti ritiene che per studiare l'anarchismo:
“[...] le fonti di polizia sono indispensabili per ricostruire
la cornice dei fatti. Quasi mai per interpretare il quadro esistente
entro tale cornice” (Berti 2002: 17). Colgo la metafora,
spostando il campo di analisi proposto da Berti per gli anarchici
sulle donne: ritengo interessante vedere come il fascismo rappresentava
la donna antifascista per poter approfondire non tanto il ruolo
politico avuto da queste donne negli anni di opposizione (il
quadro quindi), quanto ricostruirne la cornice, ossia la percezione
che le istituzioni e i sistemi di controllo dell'apparato repressivo
del Regime avevano del mondo femminile antifascista, continuamente
sorvegliato, schedato, giudicato e condannato2.
Per fare questo mi sono affidata alle sole fonti fasciste, reperite
presso il Casellario Politico Centrale dell'Archivio Centrale
dello Stato (ACS-CPC), oggi fondamentali non soltanto per indagare
il meccanismo repressivo dell'apparato giudiziario fascista
ma anche, e soprattutto, il mondo dell'antifascismo3.
Nel concreto si tratta di osservare come un determinato tipo
di fonti ha descritto questo specifico nucleo di oppositori
al fascismo, caratterizzato per genere, trattandosi di sole
donne, per nazionalità, restringendo il corpus alle sole
italiane, e per l'evento che le coinvolse, il conflitto spagnolo
del 1936-1939. I limiti temporali della ricerca s'identificano
quindi con quelli del ventennio del Regime fascista (1922-1943),
quando queste donne esplicano la loro attività militante.
Il modo corretto di essere donne (e fasciste)
Mussolini aveva previsto una corretta maniera di essere italiano,
che coinvolgeva non solo l'ambito pubblico, quindi generalmente
politico, ma anche quello privato, ampliando quindi notevolmente
il suo raggio d'influenza. Bisognava fascistizzare la nazione
e ciò doveva avverarsi contemporaneamente nella rete
capillare della società, composta alla base dalla famiglia
e dai singoli individui che la formano, uomini e donne. Nel
caso femminile, ossia, per “fare le italiane”, il
rapporto tra pubblico e privato assume una proporzione diversa
rispetto a quanto avveniva con la popolazione maschile. Il risultato
fu avvicinare sempre più i due ambiti, dando vita a quello
che Giovanni De Luna definisce “una commistione pubblico/privato
destinata a durare nel tempo, ben al di là della caduta
del fascismo” (De Luna 1995: 36). Le donne, inserite nelle
varie corporazioni femminili, come l'Opera Nazionale Balilla,
i Fasci femminili e l'Opera Nazionale per la Protezione della
maternità e dell'infanzia (OMNI), destinata alla “difesa
e il miglioramento fisico e morale della razza” (Mazza
1934: 11), erano sottoposte alla tutela dello Stato dalla nascita
alla morte.
Il fascismo contribuì sicuramente ad ampliare la presenza
della donna nella sfera pubblica, senza però che ciò
implicasse dei cambiamenti nella condotta che lei doveva tenere
nella sfera privata, e mantenendo quindi inalterati i ruoli
assegnati dalla tradizione – madre, moglie, sorella e
figlia – e le caratteristiche che doveva contemplare –
fecondità, modestia, docilità, obbedienza, decoro,
contegno, quando non rassegnazione e spirito di sacrificio.
Al potere dell'uomo, soggetto attivo, corrisponde la sottomissione
della donna, oggetto passivo, e l'idealizzazione della madre,
giacché il fascismo fece della maternità un dovere
nazionale.
L'applicazione del principio del 'ciascuno al suo posto' assumeva
come priorità strategica la conferma della netta opposizione
tra una cittadinanza piena riconosciuta agli uomini in quanto
titolari di una partecipazione attiva alla sfera pubblica e
la passività della sfera domestica e privata che competeva
alle donne (De Luna 1995: 45).
Cosa era dunque vietato alla donna in epoca fascista? Principalmente
la politica. Già nel 1921, Mussolini aveva affermato
a proposito della questione elettorale:
Non darò il voto alle donne. La donna deve ubbidire.
La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta
a ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma
se le concedessi il diritto elettorale, mi si deriderebbe. Nel
nostro Stato essa non deve contare4.
A prescindere da abili strategie comunicative per accattivarsi
il consenso delle italiane meno condiscendenti, in sostanza
la sua opinione cambiò poco se ancora nel 1939, il Decalogo
della piccola italiana ricordava alle ragazze che “La
patria si serve anche spazzando la casa”. Altro ambito
di competenza esclusivamente maschile era la guerra. Secondo
Marinetti, “La guerra dobbiamo amarla con tutto il nostro
cuore di maschi”, assegnando alla donna solo una funzione
biologica: “La guerra sta all'uomo come la maternità
sta alla donna”. Un decreto del 1927 inoltre aveva dimezzato
gli stipendi femminili, scoraggiando quindi la partecipazione
femminile anche al mondo del lavoro: macchine e donne erano
considerate dal Duce gravi cause di disoccupazione. L'ideologo
del fascismo, Ferdinando Loffredo, nel 1938 non lasciò
adito al dubbio:
L'abolizione del lavoro femminile deve essere la risultante
di due fattori convergenti: il divieto sancito dalla legge,
la riprovazione sancita dalla opinione pubblica. La donna che
–senza la più assoluta e comprovata necessità–
lascia le pareti domestiche per recarsi al lavoro, la donna
che, in promiscuità con l'uomo, gira per le strade, sui
tram, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici, deve
diventare oggetto di riprovazione, prima e più che di
sanzione legale (Loffredo 1938: 365)5.
Tale concetto, tra l'altro, era stato già difeso da Pio
XI. In effetti, nel 1931, nell'enciclica Quadragesimo anno,
il Papa scriveva:
Le madri di famiglia prestino l'opera loro in casa soprattutto
o nelle vicinanze della casa, attendendo alle faccende domestiche.
Che poi le madri di famiglia, per la scarsezza del salario del
padre, siano costrette ad esercitare un'arte lucrativa fuori
delle pareti domestiche, trascurando così le incombenze
e i doveri loro propri, e particolarmente la cura e l'educazione
dei loro bambini, è un pessimo disordine, che si deve
con ogni sforzo eliminare6.
La donna fattrice d'italiani
Per non parlare della cultura e dell'istruzione7,
che avrebbero deviato la donna dalle sue occupazioni e dai piaceri
della famiglia. Stanis Ruinas, nel 1930, esaltando la donna
fattrice d'italiani, la macchina da riproduzione, affermò
che la donna che scrive, –la donna colta, da lui definita
con scherno “scribacchina”– non sarebbe altro
che “una donnetta che per soddisfare la propria vanità
passa sopra ogni legge morale”, molto “al disotto
della prostituta”, e ribadisce di non aver alcun rispetto
“per la mediocre donna di lettere, che sciupa il tempo
e sacrifica se stessa non per concorrere al potenziamento della
Nazione ma per favorire la disgregazione della sua compagine
morale” (Ruinas 1930: 36).
Pertanto, per la donna antifascista, la propria scelta ideologica
implicava non soltanto una partecipazione politica attiva, seppur
clandestina, ma anche una ridefinizione del proprio ruolo di
donna, in ambito pubblico e, soprattutto, privato. Essere antifasciste
voleva dire non solo condurre la lotta politica contro il fascismo,
ma anche vivere in maniera antagonista rispetto a quanto era
prospettato dal Regime a proposito di vita di coppia, sessualità,
amore, figli, rapporto con i genitori, con la famiglia, tempo
libero, cultura, letture, il proprio corpo (includendo moda,
trucco, capelli). Se gli uomini antifascisti erano condannati
per la loro opposizione politica, quindi per la loro particolare
partecipazione da antagonisti nella sfera pubblica imposta dal
regime, l'antifascismo femminile venne accusato spesso non tanto
per la sua pericolosità ideologica, quanto piuttosto
per i modi in cui le donne vivevano la sfera privata, dando
quindi particolare importanza a “l'inquietudine, la ribellione,
la dissimulazione, lo scetticismo e una consapevolezza crescente
dei loro diritti di donne e di cittadine” (De Grazia 1993:
31). Come sostiene Alessandra Gissi, “una donna solita
a condurre un'esistenza non del tutto aderente a modelli imposti
dal fascismo poteva essere ritenuta una sovvertitrice degli
ordinamenti dello Stato” (Gissi 2002: 37)8.
I ritratti delle donne avverse al regime offerti dal Casellario
Politico Centrale si concentrano infatti sulla loro distanza
rispetto al modello femminile proposto dal Regime, la massaia
rurale, la giovane italiana, la custode del focolare e la fattrice
di italiani (Guerrini 2013: 12-14). Le schede biografiche mettono
in luce diversi elementi: gli aspetti fisiognomici, la condotta
morale e civile, il livello culturale, le dicerie, la situazione
sentimentale e familiare, le letture, l'attività sovversiva.
La descrizione è basata su elementi fortemente discriminanti
a livello di genere. Secondo Martina Guerrini ciò dipende
da chi scriveva detti documenti: burocrati fascisti di genere
maschile:
Gli uomini preposti alla classificazione e all'allestimento
delle biografie sovversive hanno un posizionamento ben definito:
eterosessisti con forte pregiudizio omofobo, membri della classe
politica dominante, fiduciosi nel ruolo disciplinante della
famiglia autoritaria – non a caso oggetto di continui
rimandi e definizioni da parte di Mussolini– così
come nel ruolo dello Stato, del paternalismo patriarcale e violento
fascista, della funzione pedagogica del Partito (Guerrini 2013:
28).
Remissiva, sottoposta al suo uomo, ma non pensante
Per riprendere la metafora di Nico Berti, vorrei aggiungere
due notizie relative al quadro.
Premetto che non tutte le italiane che presero parte alla guerra
di Spagna, poco meno di un centinaio escludendo le spagnole
che acquisirono la nazionalità dopo le nozze con volontari
italiani, sono schedate al CPC, ma solo trentacinque di loro9.
In Spagna ebbero un ruolo attivo, all'inizio combattendo in
prima linea, dopo lo scioglimento delle milizie nelle retrovie,
prestando servizio infermieristico e medico, occupandosi dei
bambini, dell'istruzione, dell'approvvigionamento, della cucina.
Appartengono a ogni classe sociale, con i livelli culturali
più diversi. Spesso andarono in Spagna insieme al proprio
compagno, anche se in alcuni casi la loro partecipazione ha
cause diverse, come nel caso del collettivo di sette donne mandate
dal PCI.
Ma arriviamo alla cornice, che è quello che in questa
sede mi interessa. La narrazione offerta dalle fonti fasciste
si gioca su due fronti per un certo senso contraddittori10.
Nel primo il narratore non esce dallo schema tipico che vuole
la donna succube, essere inferiore all'uomo. La miliziana è
interpretata come l'amante del repubblicano, pur essendone eventualmente
la moglie; non ha idee proprie, ma va in Spagna imbevuta degli
ideali del proprio uomo o della propria famiglia. La sua militanza
non è basata su convinzioni politiche: è un qualcosa
che viene recepito e assimilato, docilmente. L'autodeterminazione
e la coscienza politica non sono nemmeno prese in considerazione
come possibilità. La donna ritratta, in un certo qual
modo, rientra nei canoni imposti dal Fascismo: è remissiva,
sottomessa al suo uomo, non pensante.
Maria Piras “serbò regolare condotta morale e politica
fino al 1921, epoca in cui contrasse matrimonio col noto comunista
Polano Luigi. Appena diventata la moglie di costui, la Piras
cominciò a seguirne le direttive politiche, apprendendo
da lui le dottrine comuniste” (ACS-CPC, b. 3997)11,
Ada Grossi “frequenta all'estero la compagnia dei sovversivi,
seguendo l'esempio del padre socialista schedato” (ACS-CPC,
b. 2540), e anche sua madre Maria Olandese “all'estero
frequentava la compagnia dei sovversivi seguendo l'esempio del
marito e dei figli” (ACS-CPC, b. 3583). Di Teresa Noce
si dice che “Nel 1923 conobbe il noto comunista Longo
Luigi di Giuseppe, da Fubine, del quale divenne l'amante e condivise
le idee politiche”, che “Seguì il marito
in Spagna” e che si troverebbe là per “coadiuvare
il marito nelle funzioni di Commissario Politico della Brigata
Internazionale” (ACS-CPC, b. 3553). Camilla Restellini,
già “antifascista e seguace delle idee sovversive
della madre”, “professa idee socialiste, ed è
scaltrissima, ha accompagnato sempre il Bassanesi nelle sue
peregrinazioni all'estero e ha preso attiva parte alla propaganda
sovversiva che lo stesso esplicava sia in Francia, sia nel Belgio
che nella Spagna” (ACS-CPC, b. 4288).
Rita Montagnana, riconosciuta leader femminile del PCI, venne
iscritta in Rubrica di Frontiera solo come “moglie del
comunista Togliatti, da fermare” (ACS-CPC, b. 3358), e
stupisce il burocrate fascista per il suo abbigliamento elegante,
proprio negli anni in cui Carlalberto Grillenzoni, nell'articolo
“È brutta e sciamannata: sarà di sicuro
prolifica”, rilevava statisticamente che “L'eleganza
nel vestire e, in ogni modo, la cura della propria toilette
influiscono molto sfavorevolmente su la fecondità”
(Meldini 1992: 192).
Parlavo di contraddizione. Se da una parte abbiamo la donna
mite e docile, dall'altra abbiamo una narrazione che ritrae
una donna spietata, che sovverte il mito della donna madre,
moglie, angelo del focolare, prima confermato. Paolina Rocchetti
è definita “fanatica sovversiva piena di odio verso
il Regime e il Duce” (ACS-CPC, b. 4364), e l'anarchica
Tosca Tantini, in una lettera intercettata spedita alla sorella
del defunto amante Gualandi Bruno, promette addirittura di vendicare
la sua morte (ACS-CPC, b. 5024).
Per completare questo ritratto antagonista di donna, si aggiungono
non di rado altre caratteristiche non contemplate nel modello
femminile imposto dal Regime: nella sfera privata vediamo che
alla fedeltà si oppone una certa dose di libertinismo,
troppa facilità nel cambiare partner, o piuttosto la
propensione a non essere madre, o a non esserlo in modo esemplare.
Se non sono sposate, le antifasciste spesso vengono definite
“dedite alla prostituzione”, pur non avendolo mai
fatto. La definizione è valida anche per le donne sposate
che hanno seguito un altro uomo: la loro unione è sempre
rimarcata da verbi che ne sottolineano l'illegittimità.
Di Rosa Cremoni si legge: “Sposatasi all'età di
16 anni con un suddito belga, non è rimasta col marito
neppure un anno. Sarebbe donna di facili costumi e, secondo
quanto mi è stato riferito, avrebbe viaggiato in Germania,
Polonia e Svizzera” (ACS-CPC, b. 1527). Maria Lombardi
“non risulta che abbia contratto matrimonio col sovversivo
Lorenzoni Aldo con il quale convive” (ACS-CPC, b. 2819).
Fosca Corsinovi è indicata come “già amante
del noto anarchico Barbieri”, e poi “secondo notizie
fiduciarie [...] convivrebbe con il nominato Nemo o Memmo, già
residente negli S.U. d'America nonché già amante
della pure nota Simonetti Maria di Giovanni” (ACS-CPC,
b. 1489). Giovanna Zanarini “risulta trovarsi attualmente
a Parigi, dove si è unita e fa vita comune col noto pericoloso
comunista fuoriuscito Zanelli Ezio fu Amleto” (ACS-CPC,
b. 5510), Giuditta Zanella “È associata da parecchi
anni al noto anarchico schedato Margarita Ilario, col quale
lotta costantemente per l'ideale anarchico” (ACS-CPC,
b. 5516), mentre Siberia Gilioli “figlia dell'anarchico
Onofrio, e amante dell'anarchico Cavani Renzo, si troverebbe
ora a Port Bou insieme al noto Bruna Efisio, di cui sarebbe
l'amante” (ACS-CPC, b. 2412). Lucia Minon “Prima
di maritarsi veniva indicata quale donna di facili costumi avendo
contratte varie relazioni intime” (ACS-CPC, b. 3304).
Leonetta Mazzini “Viveva maritalmente con un suddito portoghese”
(ACS-CPC, b. 3181), Egle Sani viene definita “di cattiva
moralità, tanto che fu anche scacciata dal tetto coniugale
[...] dedita ai piaceri e alla crapula” (ACS-CPC, b. 3181),
mentre Elettra Pollastrini “ha ammesso di aver vissuto
maritalmente per sette anni con il noto fuoriuscito Marchetti
Virgilio”, ma è comunque “Ritenuta ragazza
poco seria, amante dei balli e dei divertimenti” (ACS-CPC,
b. 4066). Per non parlare di Anna Launaro, che dopo aver convertito
al comunismo il marito, nel 1923 abbandonò tetto coniugale,
coniuge e figlio “[...] per recarsi all'estero con l'amante
Quaglierini Giuseppe (sic) noto anarchico (sic)” (ACS-CPC,
b. 2732), (in realtà si chiamava Vittorio ed era comunista).
Quindi, vediamo una donna che non solo non è docile,
ma che spesso seduce l'uomo, ha una funzione dominante nella
coppia e lo spinge a compiere azioni sovversive: Eugenia Lina
Simonetti, che si dice essere “di dubbia condotta morale
e di sentimenti comunisti”, pare “probabile che
[...] abbia rafforzato nello Schirru l'idea dell'attentato”
(ACS-CPC, b. 4822), mentre Luisa Zapatero: “Viene descritta
come donna di carattere che domina il marito il noto Tibiletti
Luigi” (ACS-CPC, b. 5544).
È quindi sotto questa veste, come donne “abili
simulatrici”, “squilibrate”, “suggestionabili”
e “nevrotiche”, che partecipano alla politica e
prendono parte alla guerra12.
Maria Bibbi viene descritta per il suo “carattere piuttosto
impulsivo ed arrogante” e per essere una “donna
scaltra, intelligente ed abile” che “non si farebbe
sfuggire alcuna occasione per eventuali azioni ostili al Regime
del quale essa è un'irriducibile nemica” (ACS-CPC,
b. 635), Emma Bronzo viene definita per aver tenuto un “contegno
tipicamente e rigidamente comunista” (ACS-CPC, b. 851).
Un telegramma registra che Virginia Gervasini, “pericolosa
sovversiva, amante pericolosissimo comunista sinistra Di Bartolomeo
Nicola, est partita da Spagna vuolsi diretta Francia et poscia
Regno onde svolgere incarichi natura politica” (ACS-CPC,
b. 2347), Maria Giaconi: “svolse sempre attività
sovversiva, tanto da essere considerata la direttrice di tutte
le attività antitaliane che avevano luogo in detta città”
(ACS-CPC, b. 2378). Emilia Belviso “risulta essere stata
impiegata presso la Delegazione Urss di Genova e sarebbe stata
intermediaria per la Liguria del Soccorso Rosso verso i condannati
politici” (ACS-CPC, b. 478), Giuditta Zanella “Ha
sempre preso parte a manifestazioni sovversive, e fu più
volte arrestata pel suo carattere ribelle” (ACS-CPC, b.
1489) mentre Leonetta Mazzini viene arrestata con l'accusa “di
aver incitato nell'aprile 1937 le milizie rosse ad assaltare
le carceri di Calle Duque Sexto ed uccidere tutti i prigionieri
che vi si trovavano [...], di aver servito di collegamento nelle
predette carceri per denunziare le famiglie dei prigionieri
stessi” (ACS-CPC, b. 3181).
Letteralmente stigmatizzate
La donna viene stigmatizzata dunque perché dimostra
di avere idee politiche, un ruolo all'interno del mondo antifascista,
al pari dei maschi, e perché è colta, sa parlare
durante i meeting, scrive su fogli politici, legge. Se di Fosca
Corsinovi si dice infatti essere “Di sufficiente cultura
e viva intelligenza”, Giuditta Zanella “intelligente
ma di poca cultura”, tuttavia “Fa propaganda fra
la classe operaia femminile, con profitto. Ha preso spesse volte
la parola nei pubblici comizi, ma non è capace di tenere
conferenze. [...] Ha sempre preso parte a manifestazioni sovversive,
e fu più volte arrestata pel suo carattere ribelle”13.
Lucia Minon “È persona di carattere violento, fornita
di scarsa educazione e cultura, abbastanza intelligente. [...]
È dedita ai lavori domestici ma nelle ore libere gradisce
la lettura di romanzi e libri sovversivi”. Dopo una perquisizione
il verbale registra con scrupolo che “Tra le carte e documenti
di nessun interesse politico le si rinvenivano due poesie: una
intitolata “Inno dei socialisti anarchici” e l'altra
che comincia con le parole “Addio Lugano” di carattere
prettamente rivoluzionario anarchico” (ACS-CPC, b. 3304).
Rita Montagnana “professa apertamente idee socialiste
antimilitariste di cui ha fatto attiva propaganda durante la
guerra in tutto il territorio di questa provincia ed in quella
di Alessandria” e inoltre “Ha preso parte al congresso
della III Internazionale Comunista di Mosca” (ACS-CPC,
b. 3358).
Il pregiudizio diventa ancora più marcato con Teresa
Noce, di cui si afferma con scherno che: “Le sue capacità
sono alquanto modeste ma suo marito l'ha sempre tenuta a galla”.
“In Spagna ha redatto, per qualche tempo, il giornale
della brigata in lingua italiana, si è atteggiata a donna
eroica e ha fatto da corriere tra il partito comunista in Francia
ed il movimento in Spagna. Dopo l'offensiva in Catalogna, la
Noce si è rifugiata a Parigi con il pretesto che era
ammalata in seguito alle privazioni subite in Spagna”,
“Di mediocre cultura e di discreta intelligenza, di dubbia
condotta morale” (ACS-CPC, b. 3553). Elettra Pollastrini
“si iscrisse in una scuola di Linotipismo istituita dal
comunismo per la preparazione alla propaganda ed al lavoro degli
affiliati al partito”, “ha lasciato l'occupazione
che aveva al Bureau d'Editions [...] ma continua ad esplicare
attività antifascista, specie in questi ultimi tempi,
nei gruppi comunisti femminili italiani”. “Si dimostra
di sentimenti antifascisti, interviene a riunioni ma è
da considerarsi elemento di secondaria importanza non essendo
in grado di svolgere alcuna attività politica”
(ACS-CPC, b. 4066). Leonetta Mazzini, arrestata in Spagna, “sembra
avesse incarichi importanti presso il SRI” (ACS-CPC, b.
3181). Camilla Restellini “esplica sempre attiva propaganda
antifascista, scrivendo anche articoli su giornali socialisti”
(ACS-CPC, b. 4288).
Lotta antifascista e lotta di genere
Aveva ragione Le Goff, non sono documenti innocui. Le antifasciste
sono letteralmente stigmatizzate, primo, per come vivono la
loro sfera privata – sentimenti, cultura, istruzione,
ideologia – e secondo, proprio perché si permettono
di viverne una pubblica, con partecipazione alla politica e
alla guerra. Si potrebbe tentare di giustificare tutto questo
guardando chi stava dietro alle scrivanie, chi redigeva questi
verbali, questi interrogatori, anonimi burocrati, poco abituati
a pensare dal tanto ubbidire, con la mente intorpidita da troppo
ordine rigore e disciplina.
Credo però che sarebbe assolutamente ingiusto sollevare
chiunque dalle proprie responsabilità; non fu un uomo
ma un Regime a creare un sistema di umiliazione della donna,
che l'obbligava a rinunciare a ogni tipo di diritto e di libertà.
La lotta che portano avanti queste donne è evidentemente
duplice: una politica, contro il Fascismo, come i loro compagni
uomini, e una di genere, che conducevano da sole, contro gli
uomini, fascisti e purtroppo, a volte, anche antifascisti. Sbaglieremmo
a immaginare un mondo antifascista in cui la donna è
libera di vivere la propria femminilità al di fuori di
canoni prestabiliti e imposti, ieri come oggi, quando i pregiudizi
legati alle donne che si occupano di politica, di cultura o
che lavorano, sono quanto mai attuali e risultano essere un'eredità
contro cui bisogna, ancora, combattere.
Arianna Fiore
Il saggio è stato presentato in spagnolo a Tétouan
(Marocco) al Colloque international Gouvernance Citoyenneté
et Etat de Droit, svoltosi a Tétouan (Marocco), 8-10
dicembre 2014 ed è stato pubblicato così: La
rappresentazione della volontaria nella Guerra civile spagnola
attraverso gli organi di controllo fascista, in “Revista
Internacional de Culturas & Literaturas”, 2014.
Note
- Da queste ricerche è nato un saggio, Non avendo
mai preso un fucile tra le mani (Augusto Cantaluppi, Marco
Puppini, Milano, www.aicvas.org,
2014), che nel corso di un anno ha già goduto di una
seconda pubblicazione con i nuovi risultati delle indagini,
tra l'altro ancora in corso. Secondo indagini recenti, ad
oggi ci si riferirebbe a un corpus che vede la partecipazione
di novantatré donne italiane antifasciste nella guerra
di Spagna, a cui bisognerebbe aggiungere quarantanove spagnole
che assunsero la nazionalità italiana per essersi legate
a volontari italiani. Il totale arriverebbe dunque a centoquarantatré.
- Ricordiamo tra questi, oltre il Tribunale Speciale per la
Difesa dello Stato, i fascicoli del Casellario Politico Centrale
nell'Archivio Centrale dello Stato (d'ora in avanti ACS-CPC),
la Divisione Polizia Politica, l'OVRA, l'Arma dei Carabinieri,
la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il Partito
Nazionale Fascista, il Bollettino delle Ricerche, l'iscrizione
in Rubrica di Frontiera.
- Le donne schedate nel CPC sono 5005: 2.260 sono considerate
antifasciste, 1.605 comuniste (più altre due su cui c'è
dell'incertezza), 499 socialiste, 387 anarchiche (anche in questo
caso c'è un'altra donna sospettata di essere anarchica),
cinquanta repubblicane, venticinque antinazionali, cinque sovversive,
una autonomista, una massona e una definita genericamente sospetta.
È necessario ricordare che non tutte le donne oppositrici
del fascismo vennero schedate nel CPC. Numerose donne che presero
parte alla guerra civile spagnola non hanno una scheda personale.
Molte donne rientrarono tra i nomi schedati dal Bollettino delle
Ricerche e iscritte in Rubrica di Frontiera solo per essere
andate clandestinamente all'estero, in Francia, Belgio e, nel
nostro caso, in Spagna, a combattere o a sostenere la causa
repubblicana.
- Si veda a questo proposito: http://www.ciusa.it/attachments/article/455/Documentazione%20del%20Coordinamento%20Donne%20dell'A.N.P.I.%20di%20Nuoro.pdf.
- Ferdinando Loffredo riprese la suddivisione lombrosiana delle
donne in delinquente, prostituta e donna normale, basandosi
sull'inferiorità del genere dovuta a un cervello meno
pesante, che comporterebbe un'inferiorità, una minore
intelligenza e sensibilità, una maggiore propensione
alla menzogna e alla crudeltà della donna rispetto all'uomo.
Inoltre, avvicinandosi ai precetti della Chiesa, secondo l'ideologo
fascista una sessualità non finalizzata alla procreazione
sarebbe del tutto deprecabile in quanto corrisponderebbe all'istinto
criminale di prostitute, femministe e delinquenti. Il 31.12.1930,
con l'Enciclica Casti connubii Pio XI aveva sostenuto
la santità del matrimonio e la sua finalità procreativa.
- http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310515_quadragesimo-anno_it.html
(consultato il 3.12.2014).
- Nel 1924, sul “Popolo d'Italia” Giuseppe Pochettino
si complimenta con il ministro Gentile per le sue iniziative
sull'educazione della donna: “lodo senza restrizioni il
ministro Gentile, che, istituendo il Liceo femminile, ha creato
quella che definirei la scuola di un sano femminismo, perché
la scuola che veramente prepara la donna quale la natura e la
ragione la vogliono, la donna cioè che, entrando domani
nella società, vi prenderà il suo posto d'onore
senza urti, senza antagonismi, senza rancori perché prenderà
il posto di regina della casa, quello che veramente le compete”
(Meldini 1975: 75).
- Alessandra Gissi, Un percorso a ritroso: le donne al confino
politico (1926-1943), in “Italia contemporanea”,
n. 226, marzo 2002.
- Ringrazio Andrea Andrico, Gianpaolo Giordana e Augusto Cantaluppi
per avermi aiutato a reperire il materiale utilizzato nel presente
saggio e per i loro indispensabili consigli.
- Nel tentativo di fascistizzare la società, il Regime
si avvalse anche di un lessico specifico che ne riflettesse
l'ideologia. Maschile e femminile vennero contrapposti, connotando
il primo i valori positivi, il secondo quelli negativi. La mascolinità
era intesa come forza vitale, e quindi tutto quello che doveva
essere elogiato diventava “maschio”: troviamo una
“voce maschia”, un “temperamento maschio”,
“la forza maschia”, “una maschia espressione”,
“il maschio vigore”, un “maschio cameratismo”,
“la maschia speranza” e “la maschia prole”.
Anche la natura assume connotati maschili: “Com'è
virile il cielo, oggi!”, pensava il protagonista de Forse
che sì, forse che no di D'Annunzio. Mussolini è
la summa della virilità: è “l'Uomo più
grande che l'Italia ha”, “Mai nessuno lo vide piangere”,
“Egli non conosce stanchezza”, “un Uomo così
non s'era mai visto”. Dal lato opposto, abbiamo l'antitesi
della forza e della virilità: gli avversari, gli antifascisti,
che sono definiti “fiacchi”, “intorpiditi”,
“occhialuti”, “pupattoli”, “infrolliti”,
“meschini”, “biechi”, “depravati”,
“degenerati” ma, soprattutto, “femminette”.
A proposito del lessico del fascismo si veda il saggio di Giovanni
Lazzari Le parole del Fascismo (Roma, Argileto, 1975),
la prima ricerca organica sul linguaggio del ventennio, in cui
la lingua è intesa come specchio della realtà,
in corrispondenza con l'ideologia.
- La documentazione a cui mi riferisco è stata reperita
presso il Casellario Politico Centrale dell'Archivio Centrale
dello Stato di Roma (ACS-CPC). Nell'indicazione bibliografica
viene incluso anche il riferimento alla specifica busta (b.)
relativa alla donna sorvegliata.
- Il pregiudizio sulla donna parte da lontano. Già nel
1487, nel Malleus maleficarum, le donne erano descritte
come persone “di debole intelligenza, ciarliere, vendicative,
invidiose, colleriche, volubili, smemorate, mentitrici, dai
desideri insaziabili”, caratteristiche che ricordano da
vicino le descrizioni delle antifasciste italiane in Spagna
(Verdiglione 2006: 13).
- ACS-CPC, b.
Per
saperne di più
Berti,
G.N., “Note introduttive”, AAVV., Voci
di compagni, schede di questura, Milano, Quaderni
del Centro studi libertari Archivio Pinelli, 2002.
De Grazia, V., Le donne nel regime fascista, Marsilio,
Venezia, 1993.
De Luna, G., Donne in oggetto. L'antifascismo nella
società italiana, 1922-1939, Torino, Bollati
Borighieri, 1995.
Cantaluppi, A., Puppini, M., Non avendo mai preso un
fucile tra le mani, Milano, Aicvas, 2014
Gissi, A., “Un percorso a ritroso: le donne al confino
politico (1926-1943)”, Italia contemporanea,
226, (marzo 2002), pp. 31-60.
Guerrini, M., Donne contro, Milano, Zero in Condotta,
2013
Lazzari, G., Le parole del Fascismo, Roma, Argileto
Editori, 1975
Loffredo, F., Politica della Famiglia, Milano,
Valentino Bompiani, 1938.
Mazza, G., Maternità e infanzia in Regime fascista,
Milano, Edizioni Licam, 1934.
Meldini, P., Sposa e madre esemplare, Rimini-Firenze,
Guaraldi Editore, 1975.
Ruinas, S., Scrittrici e scribacchine d'oggi, Roma,
Accademia, 1930.
Verdiglione, A., Il Martello delle streghe. La sessualità
femminile nel transfert degli inquisitori, Milano,
Spirali, 2006.
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