Cosa vogliono e cosa fanno i fascisti di CasaPound
Su questo numero della rubrica vi parlerò assieme
all'autrice di un testo molto interessante uscito per la casa
editrice Ombre corte, dell'antropologa Maddalena Gretel Cammelli
dal titolo Fascisti del terzo millennio. Per un'antropologia
di CasaPound. Un testo che ho letto già in fase embrionale
e che negli anni di studio e ricerca portati avanti dall'autrice
è diventato un saggio agile ma allo stesso tempo profondo,
per capire meglio chi sono, cosa vogliono e cosa fanno i fascisti
del terzo millennio.
A.S.
La prima cosa che ti vorrei chiedere è come hai
lavorato da un punto di vista metodologico etnografico, non
deve essere stato semplice lavorare tra i neofascisti di CasaPound?
Quali le difficoltà? Quale il ragionamento sulla restituzione?
E poi come l'antropologia può essere usata come
strumento di comprensione (ma anche resistenza e attacco) in
un ambito così delicato? Tanti rischi?
Credo nell'antropologia come strumento per comprendere la realtà
che ci circonda, tutti gli aspetti di questa realtà,
anche quelli che non vorremmo che esistessero. Credo sia una
disciplina di ricerca – con cui intendo una maniera di
riflettere e analizzare la società – capace di
mettere a nudo le dinamiche che l'attraversano. È fondamentale,
a mio avviso, per chi desidera un cambiamento di questa società,
capirne profondamente le logiche e i meccanismi. L'antropologia
ha un contributo concreto da dare in questo senso. Mettendo
infatti a nudo i processi che sottendono i fenomeni sociali,
è capace di svelare nel dettaglio la complessità,
ma anche ciascun singolo ingranaggio, che alimenta e rende tale
il processo in esame, qualsiasi esso sia. Un'antropologia –
sistemica e globale – inserisce ogni singolo fenomeno
all'interno delle larghe logiche del cambiamento sociale, analizzando
insieme le dinamiche economiche e politiche di larga scala,
le condotte e le singole scelte delle persone – che in
prima ed in ultima analisi l'antropologo si trova ad osservare
– confrontandone retoriche e pratiche. Credo che in questa
capacità, di sintesi e complessità insieme, risieda
il contributo fondamentale dell'antropologia. Capire cosa si
cela dietro la scelta di diventare fascisti, e come questa scelta
venga vissuta ed esperita, è fondamentale per capire
come rendere l'antifascismo qualcosa di efficace ed attuale.
I rischi sono quelli di sentirsi messi in discussione, di vedere
che il fascismo è qualcosa di ampio, culturale, radicato
in questa società. Come diceva Nietzsche, “guardano
a lungo l'abisso, poi l'abisso guarda dentro di te”. Ecco,
questo è il rischio di guardare a lungo negli occhi un
fascista: vedere un uomo. Ci si trova costretti così
a vedere insieme un fascista e un essere umano. Rende meno semplici
le certezze di sentirsi differenti, immuni, intrinsecamente
opposti.
Rischio, poi, è anche tutto l'aspetto legale che si apre
nel momento della scrittura, della restituzione. Ci si trova
a dovere calibrare ogni termine, ogni aggettivo, a dovere fronteggiare
quotidianamente il timore di un procedimento legale. Non è
semplice. Per questo libro ho lavorato accanto al mio avvocato,
pratica non usuale per un antropologo. Ora, assieme ad altri
colleghi stiamo promuovendo un Osservatorio per la libertà
di ricerca sui fascismi di ieri e di oggi, proprio con l'obiettivo
di creare una rete di sostegno attorno a chi compie questo tipo
di studi.
Metodologicamente, è stato cercando di sottolineare agli
occhi miei, ma anche a quelli dei miei interlocutori, le qualche
affinità che potevamo avere – di genere, di disciplina
sportiva, di attitudine letteraria, ecc. - che ho cercato di
impostare delle relazioni in cui i miei interlocutori si sentissero
a loro agio nel parlare con me, nonostante fossero a conoscenza
della mia non condivisione con il loro credo politico. Non è
stato semplice, né tutto sereno.
Non ho condiviso la loro quotidianità, e il rapporto
si è interrotto presto. Ho potuto però respirare
l'aria di quei posti, così impregnata di vuoto e morte
già sui muri, come scrivevo nei miei appunti. Infine,
anche le difficoltà di questa relazione possono aprire
spiragli importanti per l'analisi etnografica. I silenzi, alle
volte, sono forti e risuonano. Spetta all'antropologo poi proprio
dargli parola.
Rituali e miti
Nel secondo capitolo del tuo libro ci parli dei rituali
dei fascisti del terzo millennio. Spiegaci qualcosa?
Il leader di CasaPound è soprattutto il cantante del
gruppo rock Zeta Zero Alfa. I concerti sono per questo movimento
non solo dei momenti di svago e ritrovo. I militanti di CasaPound
si percepiscono soprattutto come membri di una comunità,
designando così il loro bisogno di un'identità,
che tocchi vari aspetti della loro vita quotidiana. In questa
comunità, l'obbedienza al leader è elemento primario,
celebrato simbolicamente proprio durante i concerti. In queste
occasioni, tutta la comunità si ritrova, partecipa alle
parole del leader cantando le stesse parole, come un coro uniforme
ed omogeneo. Obbedisce anche se il capo dice di togliersi la
cintura per prendersi a cinghiate, come la nota canzone Cinghiamattanza
dice di fare.
I rituali di condivisione del sentimento comunitario e di simbolica
diffusione del potere erano già una caratteristica fondante
l'organizzazione dei regimi fascista e nazista. CasaPound ha
saputo attualizzare questa esigenza di non vivere la politica
solo con i comizi – come faceva il Msi – e ripromuovere
una versione di rituali comunitari adeguata al nuovo millennio.
Ma dello stesso “stile politico” – come lo
definisce George Mosse – si tratta. Uno stile politico
caratterizzato da rituali, miti, o le macchine mitologiche per
riprendere Furio Jesi.
Solitamente sento parlare del dibattito su anarchist
life style come nuovo metodo di vivere l'anarchismo quotidianamente,
mi ha colpito leggere nel tuo libro del fascismo come stile
di vita. Cosa intendi?
Cercare di definire il fascismo in maniera univoca ed esaustiva
è un'impresa che oltrepassa e di parecchio le mie possibilità.
Però, quello che ho cercato di mostrare è come
il fascismo non sia un fenomeno arginabile in dinamiche economiche
e repressive legate allo sviluppo del capitalismo.
Ho cercato di prendere sul serio le parole dei militanti che
ho ascoltato. E quella voce, di un militante che mi parla del
fascismo come di un “sentimento del mondo”, uno
“stile di vita”, il meglio rappresentato dalla “capacità
di andare a morire con il sorriso”, mi pare tremendamente
espressiva. Fascismo come stile di vita è inteso in questo
senso: cercare di tratteggiare la profondità della violenza
insita in questo credo, dove la morte viene ad assumere un ruolo
così presente, quasi fosse la rappresentazione estetica
di se stessa.
Eppure, gli episodi che purtroppo si ripetono nel nostro paese,
di persone che vengono uccise dalla violenza fascista –
ricordiamo Piazza Dalmazia a Firenze nel 2011, e quest'estate
l'omicidio di Fermo – ci mostrano che la morte non è
una rappresentazione. Ci mostrano la capacità di alcune
idee di intervenire nel presente, nella quotidiana vita delle
persone, con violenza. Questo è lo stile di vita fascista:
la capacità di andare a morire, la violenza con cui,
sorridendo, si decide di far morire. E infine, è sempre
meno isolato chi agisce in suo nome, e sempre più lecito
questo tipo violenza agli occhi delle istituzioni. Vedere il
fascismo come stile di vita permette anche di cogliere la sua
diffusione, e la prossimità tra gli ideali dei militanti
che lo rivendicano esplicitamente, e il resto della istituzioni
e della società che si vorrebbero democratici, e che
pure rimangono in silenzio davanti a tali episodi.
Parlare di stile di vita permette di relativizzare l'importanza
di programmi politici e dichiarazioni ufficiali, nel comprendere
cosa spinge i militanti all'azione e all'adesione al movimento.
C'è qualcos'altro. Un bisogno di identità, di
sicurezza, di coesione. Che viene poi espresso attraverso l'azione
violenta, in linea diretta con quanto riflettuto da Sorel un
secolo fa, e cioè che non è tanto “la verità
di una dottrina a spingere gli uomini all'azione”: ci
vogliono le passioni, e di nuovo i miti.
Ecco, il fascismo come stile di vita risponde a questo, mostra
il ruolo occupato dalla violenza e dalla morte, al centro del
rapporto dell'uomo fascista con il suo mondo, al centro del
rapporto tra un movimento fascista e la sua storia.
Una grande famiglia
All'interno del movimento fascista ci sono scontri attriti?
Quali le principali differenze?
La coerenza non è un valore per il fascista. Mette l'accento
piuttosto sull'azione in sé, sulle singole conquiste.
Nella teoria, ci sono molte differenze tra chi si dice contro
l'aborto e per il crocefisso, come Forza Nuova, e chi si vuole
moderno e laico, come CasaPound. Tra chi si vuole radicale come
questi due movimenti, e chi invece partecipa al Parlamento e
alle sue vicissitudini, come An, il PdL.
Nella sostanza, credo che queste differenze si esplichino al
meglio guardando alle reti che attraversano la galassia neofascista
in Italia. Una su tutte è quella che mostra il legame
non solo tra tutti questi partiti e movimenti, ma anche con
la storia che dal Ventennio arriva ad oggi, passando per gli
anni Settanta.
È così interessante notare l'avvenire dei tre
fondatori di Terza Posizione. Gabriele Adinolfi, Giuseppe Fiore
e Beppe Dimitri. Il primo è il padre spirituale di CasaPound,
suo figlio impiegato nella libreria Testa di Ferro, accanto
all'Esquilino, a Roma. Il secondo, il leader di Forza Nuova.
Entrambi sono rientrati in Italia agli inizi del 2000, dopo
vent'anni in Inghilterra aspettando la prescrizione dei reati
degli anni del cosiddetto “spontaneismo armato”.
Il terzo infine, Giuseppe Dimitri, prima di morire in un incidente
nel 2006, era consigliere di Gianni Alemanno quando questi era
al Ministero delle politiche agricole e ambientali, tra il 2001
e il 2006, con An.
Alemanno infine, è sposo di Isabella Rauti, figlia di
Pino Rauti, noto fondatore del Msi e di Ordine Nuovo. Loro figlio,
Manfredi Alemanno, era candidato alla Consulta con il Blocco
Studentesco – la frangia giovanile di CasaPound –
a Roma nel 2011. Insomma, una grande famiglia, che potrebbe
interessare i migliori antropologi studiosi di relazioni e network
nelle famiglie multiple sopravvissute nel nuovo millennio, e
completamente inserita nella realtà sociale e politica
di questo paese.
Andrea Staid
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