rivista anarchica
anno 47 n. 413
febbraio 2017





“Perché ci odiano?”

(una donna, emergendo dalla nube di polvere e detriti, a New York, l'11 settembre 2001)


Quel giorno le torri gemelle scomparvero per sempre dalla skyline di questa città: mai nessun altro evento storico è stato visto in diretta da così tanti, in tutti il mondo. Centinaia di milioni di testimoni.
Ma andare in quei luoghi di persona è cosa diversa dal guardarli in TV.
Tra commozione umana e retorica del potere. E quella domanda che deve trovare risposta.


Sono tornato a Ground Zero.
Qualcosa ogni tanto mi spinge verso queste strade a sud di Manhattan, battute in inverno dal vento gelido, liquefatte d'estate dalla calura che fa girare la testa e annebbia i pensieri. Non so cosa sia che mi spinge fin qui, se la voglia di capire o una sorta di dolore interiore. Non mi è stato mai facile capire le follie sanguinarie dei miei simili, tantomeno accettarle. Eppure qualcuno studiò quel piano diabolico nei minimi dettagli per mesi, forse anni, per colpire i simboli dell'impero, noncurante delle migliaia di vittime innocenti.
I ricordi di quella giornata sono scritti per sempre nella memoria collettiva. Vivevo agli antipodi e lo squillo del telefono mi sorprese nel primo sonno. Senza preamboli, la voce nella cornetta mi intimò con voce perentoria di accendere il televisore. Ricordo il turbine di sentimenti che subito mi avvolse: dolore, angoscia, smarrimento. Dolore: quante migliaia di persone, sorprese nella quotidianità, stavano bruciando in quella follia? Smarrimento: la più grande potenza mondiale sorpresa da un attacco al cuore delle sue istituzioni e nessuno pareva sapere davvero cosa stesse accadendo, quanti aerei bomba stessero solcando i cieli, quali dimensioni avrebbe assunto quell'attacco. Cosa sarebbe accaduto se centrali atomiche e basi missilistiche nucleari fossero state fra gli obiettivi di quella follia? La confusione era totale, l'atmosfera terrificante, mentre chi era per strada guardava impotente uomini e donne che per sfuggire alle fiamme si gettavano nel baratro verso la morte certa. Angoscia: quali conseguenze? Che sarebbe accaduto dopo? Gli Stati Uniti ne sarebbero usciti destabilizzati? Come avrebbero reagito? La fragilità dell'impero era in mondovisione e, conoscendone la forza, ciò era francamente terrorizzante.
Quel giorno le torri gemelle scomparvero per sempre dalla skyline di questa città: mai nessun altro evento storico è stato visto in diretta da così tanti, in tutti il mondo. Centinaia di milioni di testimoni. Ma andare in quei luoghi di persona è cosa diversa dal guardarli in TV. Oggi si passa da qui per vedere ciò che non esiste più, scrutare il vuoto creato in mezzo alla foresta di palazzi e grattacieli.
Quando vengo a Ground Zero cerco di cancellare mentalmente i turisti che affollano il posto, provo a ignorare i selfie col vuoto alle spalle. Percorro lentamente il perimetro dei due crateri, lasciati perché sia più forte il ricordo di una meraviglia diventata in poche ore mucchio di detriti, acciaio fuso, polvere infetta e carne umana bruciata. Guardo l'acqua fuggire nel nulla, nelle due grandi vasche costruite dove un tempo erano le torri, la guardo scomparire con fragore nelle voragini, finire nelle viscere della terra, come scomparvero quel giorno a migliaia. Scorro con gli occhi e con le dita i nomi di quelle tremila persone qualunque, intagliati nel bronzo. Guardo le rose, i garofani e le bandierine, portate da amici e parenti1 perché per molti è stato questo il luogo della sepoltura e di tanti non è rimasto neppure tanto.

New York (USA), 9/11 Memorial - Amici e parenti mettono un
fiore o una bandierina vicino ai nomi dei propri cari morti
negli attentetati dell'11 settembre 2001

Il dolore e lo smarrimento di quei giorni

È raro che i newyorchesi vengano da queste parti e di parlare di quei giorni non hanno voglia. “Troppo vicino nel tempo, troppo doloroso”, mi ha detto uno. “Non riesco a parlarne con distacco”, mi ha confessato un altro. Sembrano quei soldati che, al ritorno dal fronte o dalla prigionia, sono incapaci di trovare le parole per esprimere l'orrore che hanno vissuto. Così l'undici settembre è rimasto sospeso, come un macigno, in bilico sul cuore della città. “Vogliono colpire la nostra quotidianità”, disse in quei giorni il sindaco Guliani, “per mostrare che non ci hanno piegato dobbiamo tornare al più presto alla normalità”. E la gente è tornata a vivere, non si è lasciata intimorire. Nei primi giorni era diverso: scendevano in strada con la faccia smarrita, andavano verso il vuoto delle torri crollate, portavano fiori, parlavano con gli sconosciuti, si confortavano a vicenda, come se il lutto avesse colpito tutti, indistintamente. David Stern, pittore tedesco trapiantato a New York, ha reso quel clima umano in maniera formidabile nei Gatherings,2 cinque tele donate alla città e oggi esposte nel memoriale. Nelle sue pennellate si ritrovano, con grande intensità ma senza retorica, il dolore e lo smarrimento di quei giorni, lo sbigottimento raccolto nelle parole di quella donna sconosciuta che, emergendo dalla nuvola di polvere, si è voltata a guardare le torri agonizzanti e ha chiesto a se stessa e a tutti: “Perché ci odiano”?
Intorno al vuoto di Ground Zero lo spazio oggi è saturo di nuovi edifici: la vita di questa metropoli sembra misurarsi nei suoi cantieri, negli squarci nell'asfalto, nelle costruzioni abbattute e subito rimpiazzate da nuove, più alte e più ardite. Cielo e nuvole si riflettono sul vetro magnifico del New World Trade Tower, ormai chiamata “Freedom Tower”, la torre sorta nei pressi di quelle cadute, rilucente sotto il sole, messa lì come un monito o come una rassicurazione, a dimostrare che la potenza americana è risorta dalle ceneri. In fila per entrare nel moderno sacrario, si resta abbagliati passandole accanto. Poi si viene come inghiottiti dall'austera semioscurità del memoriale.

Il manifesto con le immagini dei 343 pompieri morti
nel crollo delle torri gemelle, collocato all'ingresso di una
delle tante caserme dei vigili del fuoco di Manhattan

L'edificio non è imponente, visto da fuori sembra modesto, ma dentro c'è un viaggio ad attenderti. Il memoriale è un ventre che sembra volerti digerire e che ti lascia col fiato sospeso e il passo incerto; è un sacrario moderno, interattivo, emozionante; è una lenta discesa nelle viscere della terra, fin dove un tempo si ancoravano i pilastri di fondazione delle torri abbattute, fino alle paratie che imbrigliarono le acque del fiume per impedirgli di insidiare le torri. Ti ritrovi qui tra ferri contorti, pilastri divelti, motori rugginosi, camion dei vigili del fuoco schiacciati e oggetti della vita di tutti i giorni ritrovati fra le macerie. Le immagini sono forti e il cuore si rabbuia.
Nel cuore del museo c'è una stanza, più sacra delle altre, dove non è lecito parlare ad alta voce o scattare fotografie. Alle pareti, ordinate in lunghe file, le foto delle 2996 vittime, ritratti di un'umanità normale e inconsapevole cancellata quel giorno.
Immerso fra quei volti la mente mi torna a uno dei primi giorni in terra americana quando, vagabondando per Manhattan per carpirne la geografia umana, mi capitò di passare davanti a una delle tante caserme dei vigili del fuoco. Rimasi allora turbato da un quadro appeso accanto all'ingresso, un po' sbiadito dal tempo. Erano le foto dei 343 firemen morti tra le fiamme e l'acciaio fuso delle torri gemelle, lasciando indietro case con vedove e orfani. Facce semplici, di tutti i colori, forse ritagliate da foto ricordo e quadretti familiari; eroi per davvero, che entrarono nell'inferno da cui la gente cercava di fuggire, salvando molte vite e rimettendoci la loro. Tragedia nella tragedia. Mi colpì che così tanti vigili del fuoco fossero morti in un giorno solo.

Sorto nei pressi del sito delle torri abbattute, l'One
World Trade Center, inaugurato il 30 giugno 2016 e
ribattezzato “Freedom Tower”, è alto 1776 piedi
(541 metri), per ricordare l'anno in cui è stata
firmata la dichiarazione di indipendenza americana

Le vittime siamo noi stessi

Non c'è da stupirsi se quando vengo qui poi la tristezza non mi lascia per molte ore, per giorni interi. Mi sveglio di notte con l'immagine di quei volti: una cosa è ascoltare le notizie alla televisione, altra cosa è guardare in faccia, uno ad uno, tutti coloro che quel giorno morirono.
I volti delle vittime si dovrebbero poter vedere sempre, non nell'orribile deformità della morte che li ha colti ma così, nella banalità delle loro vite, tanto uguali alle nostre. Che si tratti di New York, Parigi, Madrid, Baghdad, Kabul, Damasco, Hiroshima o del Kosovo. Vittime delle bombe di Al Queda, dei missili italiani, delle pallottole siriane, o dei razzi americani e russi: se potessimo ogni volta guardare in faccia il frutto dei nostri sforzi di annientamento, vedere che le vittime siamo noi stessi, forse perderemmo un po' della nostra ansia di distruzione e della nostra fede nel potere delle armi e delle strategie militari. Forse no. Alla fine ogni nazione celebra solo i “propri” morti, gli altri non contano.

New York (USA), 9/11 Memorial – Dopo il crollo delle torri gemelle la città si è riempita
di avvisi di amici e parenti alla disperata ricerca dei dispersi

Nell'atrio del memoriale un negozio vende souvenir che ricordano la tragedia; gli incassi vanno alla fondazione che gestisce la struttura: tipico pragmatismo americano. Circondato da penne, adesivi, cappellini e memorabilia sfoglio un grosso libro fotografico: le immagini del disastro, le torri che crollano, la gente in fuga ricoperta di polvere velenosa. Facce incredule, sgomente: sono probabilmente i fermo immagine che si potrebbero cogliere ad ogni bombardamento, ad ogni esplosione, ma normalmente quelle istantanee mancano, raramente un evento catastrofico è stato così ben documentato, fotografato, ripreso. Rimetto il libro sullo scaffale, ma immagini e suoni mi perseguitano: su una parete buia appaiono e scompaiono gli avvisi disperati di chi, in quei giorni, chiedeva notizie dei dispersi. Su un altro muro scorrono le frasi concitate di commiato alle famiglie, registrate dai cellulari. Un video mostra gli impiegati che si gettano nel vuoto. Sull'unico pilastro rimasto in piedi le foto di alcuni, appiccicate dai parenti col nastro adesivo, rimaste lì da allora. Un filmato proiettato contro una parete ripropone ossessivamente il momento in cui cede la torre sud. Due passi più avanti un filmato analogo ed è il momento in cui crolla la torre nord, con la sua enorme antenna. Osama Bin Laden in persona, proiettato su un muro, spiega, con voce pacata e sottotitoli, perché tutti gli americani sono suoi nemici.
Scendendo ancora più in profondità si arriva a un'imponente parete di mattonelle colorate, incollate in file ordinate, come piccoli loculi. Al centro campeggia una scritta: “Che nessun giorno possa cancellarvi dalla memoria del tempo”.3 Dietro riposano i resti mai identificati di oltre mille cancellati quel giorno. Resto col fiato sospeso.
Ma qualcosa non funziona, qualcosa non torna. Dentro questo tempio laico sembra che le lancette del tempo siano rimaste ferme al momento in cui gli aerei hanno impattato le torri. Manca la riflessione. Tanti anni dopo, mancano ancora le risposte.
Riemergendo nella lobby si sale all'auditorium. Qui ogni mezz'ora viene proiettato un filmato già vecchio di alcuni anni. Si entra in punta di piedi, ci si siede composti e silenziosi, quasi si dovesse partecipare a una cerimonia religiosa. L'atmosfera è grave, ci si aspetta di assistere a testimonianze di parenti delle vittime, o degli scampati. Sullo schermo si alternano invece George W. Bush, Condoleeza Rice e Tony Blair, unici esseri viventi chiamati a testimoniare; proprio loro, leader terribili che hanno lasciato dietro di sé una scia sanguinosa di lutti e distruzioni. Mi sento deluso, defraudato. Mi sembra improvvisamente che questo magnifico memoriale sia un'occasione mancata.

New York (USA), 9/11 Memorial – La parete dietro cui riposano
i resti non identificati di oltre mille vittime degli attentati

New York (USA), 9/11 Memorial – L'unico pilastro rimasto in piedi dopo il crollo delle torri.
Ancora oggi vi restano attaccati gli avvisi di chi era alla ricerca dei dispersi

L'11 settembre pretesto per una guerra

Nel filmato Bush, cowboy texano, parla con fare spavaldo a un gruppo di lavoratori che stanno rimuovendo le macerie. Un sorriso sornione gli si forma negli occhi mentre annuncia: “Chi ha fatto questo sentirà presto la nostra voce”. Promessa mantenuta, la vendetta indiscriminata ha prevalso sulla ricerca di giustizia.
Secondo alcuni studiosi gli attacchi dell'undici settembre diedero all'amministrazione Bush il pretesto per una guerra che aveva preparato da tempo. Non so se sia vero, sta di fatto che il presidente annunciò la guerra al terrorismo, ordinò il bombardamento dell'Afghanistan e da allora non vi è stata tregua.

Uno dei camion dei vigili del fuoco sepolti dal crollo
delle torri gemelle, esposto nel 9/11 Memorial

New York (USA), 9/11 Memorial – Visitatori davanti alla
foto di Manhattan avvolta dal fumo l'11 settembre 2001

Neta Crowford, docente di scienze politiche presso la Brown Univesity del Rhode Island, coordina il progetto ”Costs of war”4, cui partecipa un gruppo di studiosi di varie discipline. Dati alla mano, la Crowford sostiene che la guerra al terrore ha provocato almeno 150.000 morti, 50 volte il numero dei caduti dell'undici settembre. Poi ci sono feriti, disabili, sfollati e profughi. Forse nessuna di queste vittime aveva avuto a che fare con gli attacchi del settembre 2001.
Durante i bombardamenti in Afghanistan il New York Times pubblicava, giorno dopo giorno, foto e biografie dei morti dell'undici settembre associando così, nella mente dei lettori, la guerra in corso agli eventi di pochi mesi prima. Nessuna foto di civili afghani morti nelle esplosioni dei missili americani venne pubblicata. Nessuna immagine di quei caduti appare oggi nel memoriale, dove il tempo è congelato.
Recentemente ho appreso che i giapponesi non chiamano il luogo delle torri gemelle Ground Zero. Non possono farlo, perché ground zero, in realtà, è il luogo fisico al centro di un'esplosione nucleare: Hiroshima e Nagasaki hanno avuto il loro ground zero nel '45. Il paragone fra gli eventi del World Trade Center, per quanto dolorosi, e l'annientamento in pochi istanti di due intere città e di centinaia di migliaia di persone, non è immaginabile per i giapponesi. Mi chiedo come abbiano potuto proprio loro, che avevano sganciato la morte nucleare sul Giappone, chiamare ground zero il loro piccolo lutto nazionale.
Uscendo dal tempo pietrificato mi sono meravigliato del sole. Mi ha assalito il solito frastuono cittadino che, la dentro, è come dimenticato. Mi sono ritrovato nella città pulsante che vive e non ha voglia di ripensare a quel giorno ed è stato come il risveglio da un sogno.
Mentre il vagone della metro mi sballottava verso casa mi sono tornate alla mente quella donna coperta di polvere e le sue parole: “Perché ci odiano”? Centinaia di migliaia di morti e l'America ancora non è stata capace di darsi una risposta.

Santo Barezini

Sul prossimo numero Santo Barezini prosegue la riflessione sulle Torri Gemelle, analizzando le diverse reazioni politiche.


1. I parenti delle vittime, nel giorno del compleanno, lasciano un fiore vicino al nome dei propri cari.
2. “I raduni”.
3. No day shall erase you from the memory of time.
4. watson.brown.edu/costofwar.