Infraumani
A guardare le cose come sono, anche senza raspare troppo sotto
la superficie, parrebbe davvero che non impariamo dalla storia,
anche quando essa si riproduce con coordinate davvero molto
simili.
Il 3 settembre 1944, in una piccola cittadina dell'Alabama di
nome Abbeville, Recy Taylor torna a casa dopo una funzione religiosa
serale. Operaia agricola di colore, moglie e madre di tre figli,
Recy viene intercettata da una Chevrolet verde. Ne escono alcuni
uomini bianchi, che la caricano velocemente in macchina, la
bendano e la portano in un bosco di alberi di pecan poco lontano
dove la picchiano e la violentano a turno. Per sei volte. La
donna denuncia l'accaduto, e fornisce informazioni che consentono
di identificare il proprietario della macchina, Hugo Wilson.
Arrestato, il bianco ammette di aver agito con un gruppo di
amici e però si giustifica dicendo che non c'è
stata violenza, perché tutti pensavano che la donna fosse
una prostituta: dunque, se davvero si è trattato di un
crimine, esso è stato accidentale in quanto determinato
da una informazione errata.
Il dato storico conta. Siamo negli Stati Uniti di fine anni
'50. In un'America che teme un attacco atomico e sposa entusiasticamente
il maccartismo, equiparando sovversione politica e perversione
sessuale, i fatti di Abbeville si concludono in modo triste
e prevedibile: vagliate le prove, lo sceriffo decide che la
violenza è stata “frutto di un malinteso”
e lascia andare Wilson.
Parigi, 9 febbraio 2017. A Aulnays-sous-Bois, un ragazzo di
colore di 22 anni, Théo, viene fermato dalla polizia
insieme ad altri, fatto mettere in piedi con la faccia contro
il muro e le braccia alzate, reso inoffensivo con i lacrimogeni,
picchiato sul capo e poi, apparentemente, stuprato con un manganello.
I poliziotti accusati della violenza si difendono dicendo che
non ricordano come e quando i pantaloni del ragazzo siano stati
abbassati e che di certo non avevano intenzione di violentarlo
(come se tutte le altre violenze fossero giustificabili, considerato
che il ragazzo non era armato). Siamo nella Francia del post-Bataclan
e della rimonta inarrestabile della destra. E siamo nell'Europa
che si sente invasa dai migranti e che si scopre di un razzismo
mai curato dalla tragedia nazista. Forse c'è ancora qualche
forma di pudore, il tentativo di venderci come gente civile,
nello specchio distorto dell'immagine illuministica che di noi
hanno coloro che cercano qui salvezza.
Ma la facciata fatica a reggere. Così, nel caso di Théo,
la strategia difensiva è, a quel che sembra, non tanto
diversa da quella di Hugo Wilson. Essa è basata sulla
tesi dell'incidente: era un normale fermo durante una manifestazione,
e i poliziotti non si sono resi conto che quello che stavano
facendo poteva essere considerato un pestaggio. Ancora una volta,
il sistema pare funzionare: l'ispettorato, dice l'ANSA, ritiene
che le violenze perpetrate ai danni del ventiduenne Theo (che,
per inciso, dal suo letto d'ospedale ha raccomandato di non
cedere alla tentazione di mettere in atto ritorsioni) sono state
“gravissime” ma “accidentali”. Poi qualcuno
dovrà spiegarci come fa un manganello a finire accidentalmente
dov'è finito in questo caso, e a produrre uno stupro,
ma tant'è.
Alla fine, la chiave di volta delle vicende che ho affiancato
è sempre la stessa. L'autorizzazione dell'atto violento
passa attraverso la convinzione tacitamente condivisa che chi
lo subisce non sia propriamente una “persona”, ma
qualcosa di meno, una creatura non collocabile – nella
scala riveduta e corretta dell'evoluzione darwiniana –
allo stesso livello di un essere umano. Il nero è un
animaletto, una cosa, una creatura infraumana. Farne scempio
è certo colpevole, ma non troppo.
Negli anni '50, dice Truman Capote, lo stupro era il metodo
principale attraverso il quale, negli stati del sud, si dimostrava
alle donne afroamericane la loro inferiorità. Esso non
era mai punito, e implicava una “invasione” del
corpo che doveva servire a rendere chiara la superiorità
dei bianchi. E forse in fondo anche i poliziotti parigini hanno
fatto qualcosa di analogo. La finalità non è,
e non è stata, la violenza in se stessa (anche se pure
quella conta, e non va derubricata ad atto dimostrativo), ma
la definizione di una gerarchia tra chi è un essere umano
e chi non lo è.
Alla fine di questo genere di azione dimostrativa, anch'io capisco
chi è un essere umano e chi non lo è. Certo, la
mia lettura non corrisponde affatto a quella dei bianchi degli
Stati Uniti del sud negli anni '50 (ma forse anche dei bianchi
nell'era Trump) né a quella dei poliziotti un po' distratti
di Aulnais-sous-Bois. Anzi, direi proprio che è il contrario.
Nicoletta Vallorani
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