rivista anarchica
anno 47 n. 415
aprile 2017






Infraumani

A guardare le cose come sono, anche senza raspare troppo sotto la superficie, parrebbe davvero che non impariamo dalla storia, anche quando essa si riproduce con coordinate davvero molto simili.
Il 3 settembre 1944, in una piccola cittadina dell'Alabama di nome Abbeville, Recy Taylor torna a casa dopo una funzione religiosa serale. Operaia agricola di colore, moglie e madre di tre figli, Recy viene intercettata da una Chevrolet verde. Ne escono alcuni uomini bianchi, che la caricano velocemente in macchina, la bendano e la portano in un bosco di alberi di pecan poco lontano dove la picchiano e la violentano a turno. Per sei volte. La donna denuncia l'accaduto, e fornisce informazioni che consentono di identificare il proprietario della macchina, Hugo Wilson. Arrestato, il bianco ammette di aver agito con un gruppo di amici e però si giustifica dicendo che non c'è stata violenza, perché tutti pensavano che la donna fosse una prostituta: dunque, se davvero si è trattato di un crimine, esso è stato accidentale in quanto determinato da una informazione errata.
Il dato storico conta. Siamo negli Stati Uniti di fine anni '50. In un'America che teme un attacco atomico e sposa entusiasticamente il maccartismo, equiparando sovversione politica e perversione sessuale, i fatti di Abbeville si concludono in modo triste e prevedibile: vagliate le prove, lo sceriffo decide che la violenza è stata “frutto di un malinteso” e lascia andare Wilson.
Parigi, 9 febbraio 2017. A Aulnays-sous-Bois, un ragazzo di colore di 22 anni, Théo, viene fermato dalla polizia insieme ad altri, fatto mettere in piedi con la faccia contro il muro e le braccia alzate, reso inoffensivo con i lacrimogeni, picchiato sul capo e poi, apparentemente, stuprato con un manganello. I poliziotti accusati della violenza si difendono dicendo che non ricordano come e quando i pantaloni del ragazzo siano stati abbassati e che di certo non avevano intenzione di violentarlo (come se tutte le altre violenze fossero giustificabili, considerato che il ragazzo non era armato). Siamo nella Francia del post-Bataclan e della rimonta inarrestabile della destra. E siamo nell'Europa che si sente invasa dai migranti e che si scopre di un razzismo mai curato dalla tragedia nazista. Forse c'è ancora qualche forma di pudore, il tentativo di venderci come gente civile, nello specchio distorto dell'immagine illuministica che di noi hanno coloro che cercano qui salvezza.
Ma la facciata fatica a reggere. Così, nel caso di Théo, la strategia difensiva è, a quel che sembra, non tanto diversa da quella di Hugo Wilson. Essa è basata sulla tesi dell'incidente: era un normale fermo durante una manifestazione, e i poliziotti non si sono resi conto che quello che stavano facendo poteva essere considerato un pestaggio. Ancora una volta, il sistema pare funzionare: l'ispettorato, dice l'ANSA, ritiene che le violenze perpetrate ai danni del ventiduenne Theo (che, per inciso, dal suo letto d'ospedale ha raccomandato di non cedere alla tentazione di mettere in atto ritorsioni) sono state “gravissime” ma “accidentali”. Poi qualcuno dovrà spiegarci come fa un manganello a finire accidentalmente dov'è finito in questo caso, e a produrre uno stupro, ma tant'è.
Alla fine, la chiave di volta delle vicende che ho affiancato è sempre la stessa. L'autorizzazione dell'atto violento passa attraverso la convinzione tacitamente condivisa che chi lo subisce non sia propriamente una “persona”, ma qualcosa di meno, una creatura non collocabile – nella scala riveduta e corretta dell'evoluzione darwiniana – allo stesso livello di un essere umano. Il nero è un animaletto, una cosa, una creatura infraumana. Farne scempio è certo colpevole, ma non troppo.

Negli anni '50, dice Truman Capote, lo stupro era il metodo principale attraverso il quale, negli stati del sud, si dimostrava alle donne afroamericane la loro inferiorità. Esso non era mai punito, e implicava una “invasione” del corpo che doveva servire a rendere chiara la superiorità dei bianchi. E forse in fondo anche i poliziotti parigini hanno fatto qualcosa di analogo. La finalità non è, e non è stata, la violenza in se stessa (anche se pure quella conta, e non va derubricata ad atto dimostrativo), ma la definizione di una gerarchia tra chi è un essere umano e chi non lo è.
Alla fine di questo genere di azione dimostrativa, anch'io capisco chi è un essere umano e chi non lo è. Certo, la mia lettura non corrisponde affatto a quella dei bianchi degli Stati Uniti del sud negli anni '50 (ma forse anche dei bianchi nell'era Trump) né a quella dei poliziotti un po' distratti di Aulnais-sous-Bois. Anzi, direi proprio che è il contrario.

Nicoletta Vallorani