rivista anarchica
anno 47 n. 417
giugno 2017





L'America al tempo di Trump


Gente che gira ostentatamente armata, estendersi degli episodi di razzismo e intolleranza, ecc... Positive e anche commoventi le manifestazioni contro Trump e questo clima sociale, certo. Ma quanti di loro si erano mossi quando i suoi predecessori (a partire da Obama) avevano iniziato a realizzare quel che Trump sta ora portando avanti?

Mamma mia dammi cento lire
che in America voglio andar
(Anonimo)

La notte delle elezioni a casa mia si è consumato un piccolo dramma familiare. Mentre la carta degli USA si andava colorando di rosso (curiosamente, il colore del Good Ol' Party), segnalando l'avanzata travolgente di Donald Trump, mio figlio grande ha spedito un WhatsApp dall'Italia informando di non voler rientrare negli USA. Mia moglie ha seriamente pensato di raggiungerlo. Il piccolo, sedicenne, dopo aver trascorso la notte appiccicato allo schermo, è andato a scuola angosciato per la sorte di certi suoi amici che potrebbero ritrovarsi da un giorno all'altro i mastini dell'Homeland Security sulla porta di casa o magari in classe, col decreto di espulsione in una mano e le manette nell'altra.
Il cellulare si è riempito di messaggi di amici e parenti da oltreoceano arrabbiati, aggressivi, quasi mi considerassero corresponsabile per il solo fatto che vivo qui. Ho preferito ignorarli e avviarmi al lavoro.
Al mattino presto il desk del palazzo è presidiato da una signora afroamericana che saluta sempre con un gran sorriso e un teatrale: “Have a beautiful day” che, specie nel grigiore gelido dell'inverno, suona un po' beffardo. Quel mattino si è limitata a sollevare lo sguardo. Non era nemmeno un saluto, piuttosto la conferma di aver annotato il mio passaggio. Per strada regnava una calma insolita, irreale; i pochi passanti avevano espressioni decisamente stralunate, anche loro probabilmente con una notte da sonnambuli alle spalle. Passando sotto la Trump Tower, quartier generale del nuovo Commander in Chief, ho visto tanti giornalisti e poliziotti ma nemmeno un newyorchese a festeggiare. Alla sera il posto era assediato da giovani indignati che urlavano: ”Not my President”. Qualcuno di quelli, poi, ha passato la notte in cella e si è capito che le elezioni avevano messo in moto qualcosa di nuovo.

New York (USA), 21 gennaio 2017 - Manifestazione organizzata dalle donne il giorno
dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Il cartello dice: “Zitto adesso!”

Sono trascorsi parecchi mesi e i poliziotti sono ancora lì, sulla quinta strada. Davanti al grattacielo del presidente c'è un un posto di blocco permanente, immagino con disappunto dei residenti.
All'indomani delle elezioni un caro amico anarchico mi ha fatto notare che disperarsi per l'elezione di Trump non aveva senso perché, alla fine, il sistema livella tutto al centro. L'apparato militare-industriale e le lobby che finanziano il baraccone politico non hanno alcun interesse al clamore e all'instabilità. Eppure c'è qualcosa di nuovo nell'aria: Trump scatena sentimenti forti su entrambi i fronti, indignazione o tifo da stadio. Le manifestazioni, pro o contro, sono all'ordine del giorno e a volte finiscono in risse da saloon.
“Rivoglio Obama e Michelle”, mi ha confessato una ragazza con occhio sognante. Il presidente uscente e la sua first lady, con il loro stile accattivante, hanno lasciato un segno fra i teenager. Il nobel per la pace più fulmineo della storia ha dissimulato con buone maniere e modi posati le inevitabili cattive azioni da presidente. Se non altro resterà per sempre nella memoria collettiva per il significato simbolico della sua vittoria: non è stata cosa da poco l'elezione di un nero a capo della grande potenza che, fino a poco tempo prima, praticava senza vergogna la segregazione razziale.
Non scrivo tutto questo per dire che Hillary Clinton sarebbe stata una miglior soluzione. È una cinica politicante e, in ogni caso, non c'è mai stato un “buon presidente”. Le due parole sono anzi antitetiche, perché la job description rende indispensabili il crimine e l'oppressione e nessuno è mai sfuggito a questa logica.
Però questo presidente ha già sconvolto l'esistenza di molti, qui negli States, e potrebbe continuare. Potrebbe rovinare la vita della giovane colombiana dai documenti incerti che fa le pulizie nel mio ufficio o sconvolgere l'esistenza della famiglia di Giulia, un'amica romana che ha sposato un guineano di fede islamica e spera che a Trump non venga in mente di includere quel lontano paese africano nella lista dei nemici della patria.

New York (USA), 21 gennaio 2017 - Due cartelli presenti alla manifestazione recitano:
“La nostra lotta non è ancora cominciata” e “Levati dalla mia areola”

Quell'immensa provincia americana

Il presidente potrebbe lasciare un giorno senza assistenza medica milioni di americani o decidere con una sola firma l'espulsione di centinaia di migliaia di irregolari che ora vivono nelle cosiddette città santuario. Sono tutte ipotesi di lavoro sul suo tavolo e già molti hanno pagato per le sue promesse elettorali: mentre era operativo il primo bando per viaggiatori provenienti da sette paesi islamici migliaia di stranieri residenti negli USA, che qui hanno famiglia e lavoro, si sono ritrovati bloccati negli aeroporti, umiliati nelle celle delle dogane, senza poter tornare a casa per molti giorni.
I politologi, che avevano fallito tutte le previsioni, dopo le elezioni hanno raccontato del malcontento che serpeggia fra i lavoratori che da anni si sentono abbandonati e hanno riversato nel voto rabbia e disillusione. Un voto di protesta contro una candidata inaffidabile, consumata dal potere. Non mi convince fino in fondo.
Nei comizi Trump ha suscitato l'entusiasmo dell'America più gretta e provinciale coi suoi discorsi violenti, maschilisti, razzisti e col suo atteggiamento sprezzante che alcuni non esitano a definire fascista. Ha ridicolizzato i disabili, appiccicato etichette infamanti ai migranti, demonizzato i cittadini di fede islamica, annunciato leggi che sposterebbero l'orologio della storia indietro di decenni nel campo della salute riproduttiva e dei diritti delle minoranze. Ha diffuso l'odio e infiammato le folle promettendo il muro alla frontiera col Messico, il bando dei rifugiati e più armi nelle scuole. Una certa America bianca, conservatrice, bigotta, stupidamente patriottica, che è silenziosa ma per nulla minoritaria, si è sentita finalmente rappresentata. Sono gli abitanti di quell'immensa provincia americana che non guardano mai oltre i confini della propria angusta esistenza, odiano il politicamente corretto e vogliono cancellare Obamacare perché sono convinti che fosse una riforma comunista. Sono quelli che non sanno mai nulla del mondo e si nutrono ancora, segretamente, di un sogno americano dove i bianchi comandano e i neri stanno al loro posto. Quelli che credono che Dio abbia dato loro questa terra per convertire il mondo e dominarlo e nei giorni di festa affollano luoghi di culto dove ascoltano sermoni di fuoco dal sapore medievale. Sono molti di più dei milioni che hanno votato Trump.
Per questo all'indomani delle elezioni mi sono sentito smarrito e mi sono chiesto, una volta di più, in che posto vivo, quale sia il limite dell'indecenza che sono disposto a sopportare.
New York è un inganno. Ti fa illudere che l'America sia questo melting pot dove ogni giorno si incontra ogni possibile sfumatura dell'esistenza umana, dove ad ogni passo si incrocia una chiesa dal nome sconosciuto, la moschea convive con la sinagoga posta due isolati più il là e il più grande miscuglio di culture umane e colori della pelle che si possa immaginare convive senza darsi pena di contarsi.
Ma New York è solo un'isola e temo che l'America più vera sia l'altra, quel mondo desolato che scopriamo in tanti buoni e cattivi film americani. Un paese ben rappresentato dal protagonista di Gran Torino1, che protegge col fucile i confini del proprio giardino dai “musi gialli” della porta accanto.
Grazie alla retorica di Trump e al suo trionfo, i razzisti ora escono allo scoperto e le cronache riportano decine di piccoli episodi in tutto il paese: aggressioni a studenti neri nei campus, scritte razziste e omofobe, minacce a trans e omosessuali, gruppi stile KKK che tornano a sfilare incappucciati, gente che va in giro armata con ostentazione.
A marzo un fanatico di Baltimora, membro di una setta razzista, è venuto a New York in treno, armato di spada, col proposito di fare notizia e ha assassinato a fendenti un anziano afroamericano che viveva della raccolta del riciclato. È accaduto qui, nel cuore di Manhattan.
Molti si sentono minacciati e un amico transgender mi ha raccontato delle insicurezze che serpeggiano fra quelli come lui: la paura di perdere i diritti acquisiti o di essere aggrediti. La campagna di odio ha risvegliato gli istinti peggiori.

New York (USA), 21 gennaio 2017
La manifestazione ha riempito le strade per tutta la giornata

Ma dov'erano questi anti-Trump quando...?

L'altra faccia della medaglia è la reazione indignata di milioni di cittadini di ogni estrazione: un movimento in crescita, dagli ambientalisti indignati dal negazionismo in materia di cambiamento climatico ai patrioti che gridano al tradimento per le collusioni coi russi. In molti qui sono preoccupati per le libertà e i diritti civili sotto attacco. Gli insegnanti sono spesso in prima linea contro la fascistizzazione della vita pubblica e invitano gli studenti a leggere e dibattere i libri di Orwell e la storia delle lotte contro lo schiavismo.
La gente comune si mobilita spontaneamente, movimenti laici e religiosi lanciano appelli, organizzano incontri, veglie, manifestazioni e ogni decisione della nuova amministrazione viene sottoposta a scrutinio feroce.
Il giorno dell'insediamento anche New York si è mobilitata. Avrebbe dovuto essere una manifestazione delle donne e per le donne, contro l'attacco ai diritti sulla procreazione e i pregiudizi maschilisti del nuovo presidente. In realtà al corteo c'era tutto lo spettro dell'antitrumpismo: femministe, pacifisti, ambientalisti, antifascisti ma anche patrioti con la bandiera a stelle e strisce, convinti che la Russia trami ancora per portare il bolscevismo negli Stati Uniti. C'era tutto l'arcobaleno del movimento per i diritti di genere, e sostenitori del partito democratico con le foto della Clinton o la spilletta inneggiante a Bernie Sanders. C'erano i movimenti contro la diffusione delle armi, gli attivisti di Black Lives Matter, le associazioni per le libertà civili e quelle per la difesa degli immigrati. C'erano tutti. Una fiera mobilitazione di cittadini arrabbiati. Ognuno era ben accolto e nessuno era un estraneo. Ed eravamo tanti: il corteo ha cominciato a muovere verso la Trump Tower al mattino e alle sette di sera la folla era ancora così compatta da riempire l'intero percorso. Tutti uniti contro Donald Trump.

New York (USA), 21 gennaio 2017 - Uno striscione appeso lungo il percorso con la scritta:
“Fermiamo il regime fascista di Trump e Pence prima che cominci”

Proprio in quei momenti ho pensato che c'era qualcosa di stonato. Sembrava che, improvvisamente, fossero cadute sugli Stati Uniti le disgrazie di tutto il mondo e che il nuovo presidente fosse l'unico e solo responsabile di ogni orrore che accade sotto il cielo di questo grande paese. Immerso in quella folla ho avvertito una distanza. Si stavano addossando tutte le colpe sul nuovo tiranno e sulla sua corte, quasi bastasse cacciare quelli dal potere per fare degli USA un paese migliore. Ma, mi sono chiesto, dov'erano questi americani quando Clinton ha imposto il NAFTA distruggendo l'economia messicana? In fondo è stato lui a iniziare la costruzione del muro fra i due paesi. Quanti di questi hanno contestato le guerre dei Bush? E chi, fra loro, è sceso per strada nei decenni in cui gli scienziati di tutto il mondo hanno mostrato come gli Stati Uniti fossero fra i principali responsabili del buco nell'ozono, dell'effetto serra e dei disastri ambientali che minacciano il mondo intero? Quanti fra quelli che brandivano la scritta: “Science is Real”2 hanno messo veramente in discussione lo stile di vita consumista sotto accusa ormai da tanto tempo? E chi, fra quelli che marciavano quel giorno, ha protestato contro la guerra ai tossicodipendenti dell'era Clinton, costata molte vite umane? Chi di loro ha protestato per le folli spese militari di Reagan e il suo scudo spaziale? Quanti, infine, sono scesi in strada contro i droni, le deportazioni, la politica di spingere i migranti verso morte certa nel deserto3 e le devastazioni del fracking, che sono state armi silenziose dell'era Obama?
Se l'obiettivo fosse solo quello di far cadere un presidente per sostituirlo con un altro per poi tornare alla vita di sempre, questa mobilitazione si ridurrebbe a poca cosa. Se, al contrario, ne nascerà una coscienza, un impegno forte per il cambiamento, allora forse si potrebbe sperare.

New York (USA), 21 gennaio 2017 - Due manifestanti vestiti d'epoca posano per la foto.
La donna stringe un cartello con la scritta: “Cent'anni dopo dobbiamo ancora
lottare per l'uguaglianza”. Sull'altro si legge: “Un uomo moderno è femminista”

Vivere negli USA è davvero scioccante

È vero che Trump nega l'esistenza stessa del climate change: l'intero capitolo in materia è scomparso dal sito della Casa Bianca il giorno stesso del suo insediamento. Ma per chi ha visto il lento diffondersi di stili di vita alternativi e conosciuto l'attenzione che certi popoli dedicano oggi al risparmio energetico, alla riduzione, riutilizzo e riciclaggio, al commercio equo e all'etica dei consumi, venire a vivere negli USA è davvero scioccante, è come fare un salto indietro nel tempo e ritrovarsi in un'era oscura in cui quasi nessuno sembra avere la benché minima coscienza ambientale e un'apparenza di etica sociale.
Non basterà certo sostituire il presidente per cambiare tutto questo. È bello vedere la gente scendere in piazza, persino commovente osservare lo smarrimento, l'onesta indignazione di tanti. Ma se gli americani punteranno a cambiare il presidente senza pensare a cambiare se stessi e l'intero sistema il movimento non avrà risolto molto.
Intanto la vita continua e, a dispetto di tutto, la signora del desk ha ricominciato a salutarmi al mattino col sorriso esagerato di sempre. Ma io non so darmi pace e mi torna in mente ossessivamente Clint Eastwood nei panni del vecchio che difende il suo praticello puntando il fucile addosso ai ragazzini della porta accanto, che hanno travalicato i sacri confini. Mi viene da pensare che forse il regista, sostenitore di Trump, ritenesse che il suo personaggio avesse buone ragioni, che fosse nel diritto di sparare a quei bambini. Mi ossessiona il pensiero che la vera America sia soprattutto quella che tiene un arsenale dentro casa e che si è sentita ben rappresentata nei comizi di Trump. Trovo così sempre meno ragioni per restarci.

Santo Barezini

  1. Film del 2008 prodotto e diretto da Clint Eastwood, che svolge anche il ruolo del protagonista.
  2. “La scienza è reale”, slogan contro il negazionismo in materia di cambiamento climatico.
  3. La notizia è stata rivelata nel novembre 2016 da gruppi per diritti umani in Arizona e pubblicata dal The Guardian. Si veda questo link: https://www.theguardian.com/us-news/2016/dec/07/report-us-border-patrol-desert-weapon-immigrants-mexico.