editoria
Nella nuova fattoria
scritti di Thomas Stearns Eliot e George Orwell
La lettera (del 1944) di un editore che spiega a George Orwell perché non avrebbe pubblicato La fattoria degli animali. E poi la prefazione dello stesso Orwell all'edizione ucraina, oltre una sessantina di anni fa. Dall'ultima riedizione italiana della Fattoria riprendiamo questi due documenti, che gettano nuova luce sullo scomodo antistalinismo dello scrittore inglese.
Maiali dirigisti
di Thomas Stearns Eliot
In una lettera inviata a George Orwell, l'editore Thomas Stearns Eliot spiega perché non pubblicherà La fattoria degli animali. In completo dissenso con la critica all'autoritarismo dei maiali. E dell'URSS.
Caro Orwell,
so che volevi una decisione rapida riguardo a La fattoria degli animali: ma il minimo sono le opinioni di due direttori e non si può fare in meno di una settimana. Se non fosse stato per la rapidità, avrei dovuto chiedere anche al Presidente di dargli uno sguardo. L'altro direttore è però d'accordo con me sui punti principali.
Pensiamo entrambi che dal punto di vista della scrittura l'opera sia di notevole qualità; che la fiaba è trattata abilmente e che la narrazione mantiene l'interesse al suo giusto livello - ed è una cosa che pochi autori sono riusciti a fare dopo Gulliver.
Tuttavia, non siamo convinti (e sono certo che nessuno degli altri direttori lo sarebbe) che questo sia il punto di vista giusto dal quale criticare l'attuale situazione politica. È certamente dovere di qualsiasi impresa editoriale, che si riproponga interessi e motivi diversi dal semplice successo commerciale, pubblicare libri che vadano contro la corrente del momento; ma ciò richiede pur sempre che almeno un membro dell'impresa sia convinto che questa sia la cosa che vada detta al momento.
Non vedo alcuna ragione di prudenza o cautela che possa impedire a chicchessia di pubblicare questo libro - se crede in ciò per cui esso si batte. Ebbene, penso che la mia personale insoddisfazione nei confronti di questo apologo sia che il risultato è di semplice negatività. Esso dovrebbe suscitare una qualche simpatia verso ciò che l'autore desidera, così come simpatia con il suo rifiuto di qualcosa: ma il punto di vista positivo, che io considero genericamente trotskista, non è convincente.
Mi sembra che tu scinda il tuo voto, senza ottenere in compenso un'adesione maggiore da nessuna delle due parti - vale a dire da coloro che criticano gli orientamenti russi dal punto di vista di un comunismo più puro, e da coloro che, da punto di vista molto diverso, sono preoccupati del futuro delle piccole nazioni. Dopo tutto, i tuoi maiali sono di gran lunga più intelligenti degli altri animali, e quindi sono anche i meglio qualificati per dirigere la fattoria: in realtà, senza di loro non vi sarebbe nemmeno stata una Fattoria degli Animali e quindi ciò di cui vi sarebbe stato bisogno (potrebbe sostenere qualcuno) non era più comunismo, ma più maiali animati da spirito pubblico.
Mi dispiace molto perché chiunque lo pubblicasse avrebbe naturalmente la possibilità di pubblicare anche i tuoi futuri lavori: ed io ho stima nei confronti della tua opera perché si tratta di buona scrittura con una fondamentale integrità.
Con plico a parte, la signorina Sheldon ti invierà il manoscritto.
Tuo sinceramente,
Thomas Stearns Eliot
13 luglio 1944
Lettera di Thomas Stearns Eliot, poeta e saggista statunitense, premio Nobel per la letteratura nel 1948, scritta a nome della Faber & Faber Ltd Publishers di cui era direttore editoriale.
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La nuova edizione de La fattoria degli animali (Massari editore, Bolsena - Vt, 2016, pp. 176, € 14,00) da cui sono tratti i due testi pubblicati in queste pagine |
Per distruggere
il mito sovietico
di George Orwell
Nella prefazione all'edizione in lingua ucraina
de La fattoria degli animali, l'autore spiega cosa l'ha
spinto a redigere una critica al regime autoritario sovietico.
E denuncia le menzogne sull'URSS perpetrate anche dai media
anglosassoni.
Mi è stato chiesto di scrivere una prefazione per la
traduzione in ucraino di La fattoria degli animali. Sono
consapevole di scrivere per dei lettori dei quali non so nulla,
ma anche che nemmeno loro hanno mai avuto la benché minima
possibilità di avere notizie su di me. Ci si aspetta
probabilmente che in questa prefazione io dica qualcosa su come
è nato La fattoria degli animali; ma prima vorrei
dire qualche parola riguardo a me e alle esperienze attraverso
le quali sono arrivato alle mie idee politiche.
Sono nato in India nel 1903. Mio padre era lì un funzionario
dell'Amministrazione inglese e la mia famiglia era una di quelle
famiglie di ceto medio da cui provenivano militari, clero, funzionari
governativi, insegnanti, avvocati, medici ecc. Ho fatto i miei
studi a Eton, la più costosa e la più snob delle
Scuole pubbliche inglesi. Ma vi entrai solo grazie a una borsa
di studio, perché mio padre non si sarebbe potuto permettere
di mandarmi in una scuola di quel genere.
Poco dopo la fine della scuola (non avevo ancora vent'anni)
mi trasferii in Birmania ed entrai nella Polizia imperiale indiana.
Era un corpo di polizia armato, una specie di gendarmeria, molto
simile alla Guardia civil spagnola o alla Garde mobile
in Francia.
Rimasi in servizio per cinque anni. Non era fatta per me e mi
portò a odiare l'imperialismo, anche se all'epoca il
nazionalismo in Birmania non era cosi forte e i rapporti tra
Inglesi e Birmani non erano particolarmente ostili. Durante
un congedo in Inghilterra, nel 1927, mi dimisi dal servizio
e decisi di diventare uno scrittore: agli inizi senza grandi
successi.
Nel 1928-29 vissi a Parigi, scrivendo racconti e romanzi che
nessuno volle pubblicare (li ho poi tutti distrutti). Negli
anni seguenti vissi alla giornata, patendo la fame di tanto
in tanto. Solo a partire dal 1934 fui in grado di tirare avanti
con ciò che guadagnavo dai miei lavori. Mi è capitato
anche di vivere per interi mesi nel mondo dei poveri e dei piccoli
criminali che abitano i quartieri peggiori o battono le strade
come mendicanti o ladri. All'epoca mi trovavo in mezzo a loro
per mancanza di soldi, ma in seguito sviluppai un interesse
per il loro modo di vita in quanto tale. Passai molti mesi a
studiare (più sistematicamente in questo caso) le condizioni
dei minatori nel Nord dell'Inghilterra.
Fino al 1930 non mi ero considerato affatto un socialista. In
realtà non avevo ancora delle precise idee politiche.
Diventai filosocialista più per il disgusto che provavo
verso il modo in cui i settori più poveri del proletariato
industriale venivano oppressi e maltrattati che per un'ammirazione
teorica nei riguardi della pianificazione sociale.
Nel 1936 mi sposai. Quasi la stessa settimana scoppiò
la Guerra civile spagnola e mia moglie ed io decidemmo di andare
in Spagna per combattere dalla parte del Governo repubblicano.
Fummo pronti in sei mesi, appena ebbi finito il libro che stavo
scrivendo. In Spagna rimasi quasi sei mesi sul fronte di Aragona,
finché a Huesca un cecchino fascista con un colpo mi
trapasso la gola.
Nel primo periodo della guerra gli stranieri erano completamente
all'oscuro delle lotte intestine tra i vari partiti politici
che sostenevano il Governo. Per una serie di circostanze io
non aderii alle Brigate internazionali come faceva la maggioranza
degli stranieri, ma alle milizie del Poum - cioè dei
trotskisti spagnoli.
Così, quando a meta del 1937 i comunisti ottennero il
controllo (o il controllo parziale) del Governo spagnolo e cominciarono
a dare la caccia ai trotskisti, noi due ci trovammo tra i perseguitati.
Fummo abbastanza fortunati da poter uscire vivi dalla Spagna
senza essere arrestati nemmeno una volta. Molti dei nostri amici,
invece, furono fucilati, altri trascorsero lunghi periodi in
prigione, altri ancora semplicemente scomparvero. Questa caccia
all'uomo in Spagna si svolse nella stessa epoca delle grandi
purghe in Urss e ne fu una sorta di complemento. In Spagna come
in Russia la natura delle accuse (vale a dire, cospirazione
con i fascisti) era la stessa e io avevo tutte le ragioni per
credere, almeno per quanto riguardava la Spagna, che esse fossero
false.
L'esperienza di tutto ciò fu una preziosa lezione oggettiva:
m'insegnò quanto facilmente la propaganda totalitaria
può controllare nei paesi democratici l'opinione di persone
per quanto dotate di cultura. Mia moglie ed io vedemmo degli
innocenti gettati in prigione solo perché sospettati
di non rispettare l'ortodossia. Eppure, al nostro ritorno in
Inghilterra trovammo molte persone, sensibili e ben informate,
che prestavano fede ai più incredibili racconti di cospirazioni,
tradimenti e sabotaggio che la stampa riportava dai processi
di Mosca.
Fu cosi che capii, più chiaramente che mai, quale influenza
negativa il mito sovietico avesse sul movimento socialista occidentale.
Ma qui devo concedermi una pausa per descrivere il mio atteggiamento
verso il regime sovietico.
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La copertina dell'edizione Penguin de La fattoria degli animali |
Una società gerarchica
Non sono mai stato in Russia e di quel Paese conosco solo ciò che si può apprendere leggendo libri e riviste. Anche se ne avessi la forza, non vorrei interferire con le questioni interne dell'Urss: non condannerei quindi Stalin e i suoi collaboratori solo per i loro metodi barbari e antidemocratici. È anche possibile che, sia pure con le migliori intenzioni, essi non avrebbero potuto agire diversamente nella situazione lì esistente.
D'altro canto, però, era per me della massima importanza che la gente in Europa occidentale avesse la possibilità di vedere il regime sovietico come esso è realmente. Fin dal 1930 avevo visto ben poche prove che l'Urss stesse avanzando verso qualcosa che si potesse sinceramente chiamare Socialismo. Al contrario, ero colpito dai segni evidenti della sua trasformazione in una società gerarchica, in cui i governanti non avevano più alcun motivo per rinunciare al proprio potere alla pari di qualsiasi altra classe dominante. Del resto, gli operai e l'intellighenzia di un paese come l'Inghilterra non possono rendersi conto che l'Urss attuale e completamente diversa da ciò che era stata nel 1917. Ciò è dovuto, in parte, al fatto che non vogliono capire (cioè, vogliono credere che da qualche parte esista realmente un paese autenticamente socialista) e, in parte, al fatto che, essendo abituati a una relativa libertà e moderazione nella vita pubblica, il totalitarismo è assolutamente incomprensibile per loro.
Tuttavia, si dovrebbe tenere a mente che l'Inghilterra non è poi cosi democratica. È anche un paese capitalistico con grandi privilegi di classe e (anche ora, dopo una guerra che ha dato un forte impulso alla livellazione generale) con grandi differenze di reddito. Ciò nonostante è un paese in cui la popolazione ha vissuto unita per vari secoli senza grandi conflitti interni, in cui le leggi sono relativamente giuste, in cui le notizie e le statistiche ufficiali sono abbastanza attendibili e in cui, ultimo ma non meno importante, il dar voce a posizioni di minoranza non implica un pericolo mortale. In una simile atmosfera, l'uomo della strada non può avere una piena comprensione di cose come i campi di concentramento, le deportazioni di massa, gli arresti senza processo, la censura della stampa, ecc. Tutto ciò che legge riguardo a un paese come l'Urss viene automaticamente tradotto in termini inglesi ed egli del tutto innocentemente accetta le menzogne della propaganda totalitaria.
Fino al 1939 e anche dopo, la maggioranza degli Inglesi non è stata capace di comprendere la vera natura del regime nazista in Germania, e attualmente, col regime sovietico, si trova in larga misura ancora in preda allo stesso tipo di illusione.
Ciò ha provocato dei grandi danni al movimento socialista in Inghilterra e ha avuto gravi conseguenze per la politica estera inglese. In realtà, a mio avviso, nulla ha contribuito cosi tanto alla corruzione dell'idea originaria del socialismo come il fatto di credere che la Russia sia un paese socialista e che quindi ogni atto dei suoi governanti vada giustificato, se non imitato.
La distruzione del mito è essenziale
Da una decina d'anni sono convinto che la distruzione del mito sovietico sia essenziale se desideriamo una ripresa del movimento socialista. Al mio ritorno dalla Spagna ho pensato di smascherare il mito sovietico tramite una storia che potesse essere facilmente compresa da quasi tutti e che fosse agevolmente traducibile in altre lingue. I particolari concreti della vicenda mi vennero però in mente il giorno in cui (allora vivevo in un piccolo villaggio) vidi un bambino sui dieci anni che spingeva per un angusto viottolo un enorme cavallo da tiro, frustandolo ogni volta che cercava di voltarsi. Mi colpi l'idea che se animali come quello riuscissero ad acquistare coscienza della propria forza saremmo impotenti contro di loro, e che gli uomini sfruttano gli animali in modo analogo a come i ricchi sfruttano i proletari.
Presi allora ad analizzare la teoria marxista dal punto di vista degli animali. Mi è apparso chiaro che per questi ultimi il concetto di lotta di classe fra esseri umani non è altro che un inganno, poiché ogni volta che è stato necessario sfruttare gli animali, tutti gli uomini si sono trovati uniti contro di loro: la vera lotta è quella fra animali ed esseri umani. Partendo da questo assunto iniziale, non è stato difficile elaborare il racconto. Ho trovato il tempo di scriverlo solo nel 1943 perché prima ero troppo impegnato con altri lavori che non mi lasciavano il tempo; e nel finale ho incluso degli avvenimenti, come per es. la Conferenza di Teheran, che si stavano svolgendo mentre scrivevo. Sicché le linee generali del racconto erano rimaste nella mia mente per un periodo di sei anni, prima di metterle per iscritto.
Sull'opera non voglio fare commenti; se non parla da sola è un fallimento. Ma vorrei evidenziare due punti: il primo e che, per la simmetria del racconto, i vari episodi, pur essendo tratti da fatti reali della Rivoluzione russa, vengono presentati in modo schematico e secondo un diverso ordine cronologico.
Il secondo punto è passato inosservato a molti critici, forse perché non l'ho sottolineato a sufficienza. Alcuni lettori possono riportare l'impressione che il libro termini con la completa riconciliazione fra i maiali e gli esseri umani. Non intendevo dire questo; al contrario, io volevo che finisse con una stridente nota di discordia, poiché ho scritto quella parte immediatamente dopo la Conferenza di Teheran, che tutti pensavano avesse stabilito le migliori relazioni possibili fra l'Urss e l'Occidente. Personalmente non credevo che tali rapporti sarebbero rimasti buoni a lungo; e come i fatti hanno poi dimostrato, non sbagliavo di molto.
Non so cos'altro potrei aggiungere. Se qualcuno è interessato a dettagli personali, potrei dire anche che sono vedovo con un figlio di quasi tre anni, che di professione sono scrittore e che dall'inizio della guerra ho lavorato soprattutto come giornalista.
La rivista alla quale collaboro più regolarmente è Tribune, un settimanale sociopolitico che rappresenta, generalmente parlando, l'ala sinistra del Partito laburista.
Questi sono alcuni dei miei libri che potrebbero interessare il lettore normale (ammesso che il lettore di questa traduzione riesca a trovarne copia): Giorni in Birmania (un racconto sulla Birmania), Omaggio alla Catalogna (nato dalle mie esperienze nella Guerra civile spagnola) e Critical essays (saggi riguardanti soprattutto la letteratura popolare inglese contemporanea e che sono piu interessanti dal punto di vista sociologico che non letterario).
George Orwell
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