La sindrome della sincronicità
1.
Dalle tante costole della psicoanalisi, fin dai suoi primi vagiti
di teoria venuta al mondo – si pensi alla scissione tra
Freud e Jung –, hanno proliferato – e continuano
a proliferare – varianti, viluppi, ibridi e le più
svariate contaminazioni. Tra queste, la psicoterapia basata
sulla “psicogenealogia” di Anne Ancelin Schutzenberger,
che già usufruisce della variante riconducibile ai “sociogrammi”
di Jacob Levi Moreno. Tanto per dare un'idea del tipo di lavoro
e dei risultati della Schutzenberger, da un suo libro, La
sindrome degli antenati, strappo due racconti che lei
stessa riporta a testimonianza esemplare. Il primo. Si rivolge
alla psicoterapeuta una cliente – Ariane – che le
dice di aver due problemi: ha avuto tutta una serie di incidenti
d'auto e, essendo morto suo padre della sua nascita, si chiede
perché l'abbia chiamata come l'ha chiamata. Come di chi
le ha dato la patente, della madre non si parla.
La
psicoterapeuta si mette al lavoro e scopre che, nel 1957 esce
il film Love in the Afternoon (Amore
nel pomeriggio, nella traduzione italiana) di Billy
Wilder, che in Francia viene distribuito con il titolo di “Ariane”.
Con Gary Cooper e Maurice Chevallier, l'interprete femminile,
nella parte di Ariane, è Audrey Hepburn. La trama è
tratta da un romanzo di Claude Anet, Arianna: amore nel pomeriggio,
pubblicato nel 1920 (Mursia, Milano 1957, nella traduzione italiana),
romanzo di cui si scopre esistere una riduzione teatrale. A
questo punto – ormai sicura di essere sulla strada giusta
– la psicoterapeuta affida alla paziente un'indagine nell'ambito
familiare e si porta così alla luce un ricordo di una
zia: è vero, il padre di Ariane aveva recitato in uno
spettacolo teatrale che si intitolava Ariane, jeune fille russe.
Interrogata, una zia le risponde: tuo padre recitava in uno
spettacolo teatrale che si intitolava Ariane, jeune
fille russe (che è peraltro il titolo di un
altro film, ben precedente, tratto ancora da Anet, diretto da
Paul Czinner nel 1931 e interpretato da Gaby Morlay), dove il
tema rimane quello della studentessa russa che seduce un quarantenne:
studentessa moderna, indipendente, coraggiosa, un po' solitaria,
innamorata di un uomo brillante e originale che viaggia molto
e che l'ama. Tutto qui ma quanto basta. Il padre è rimasto
affascinato dal personaggio: questa l'ipotesi risolutiva e fatto
sta che, finalmente liberata dalle catene del passato altrui,
Ariane si identifica nel personaggio, comincia a viaggiare intorno
al mondo (presumibilmente, non guidando lei) e smette definitivamente
i panni della paziente,
Il secondo. Cendrine, un'altra giovane paziente, nota innanzitutto
che sua madre è morta di cancro il 12 maggio di un anno
imprecisato. Poi nota che anche suo zio, il fratello della madre,
muore in un incidente d'auto il 12 maggio (senza che a nessuno
venga il sospetto che abbia incontrato Ariane) e che il 12 maggio,
di vecchiaia, è morta anche una sua nonna. La psicoterapeuta
incalza e si viene a scoprire che in un 12 maggio di molti anni
prima, in un incidente, era morto anche il nonno e, in guerra,
il suo prozio, ovvero il padrino del nonno. È a questo
punto o durante l'indagine che ci si accorge che Cendrine non
sta bene, si fa visitare, le viene riscontrato qualcosa su cui
dover intervenire e, conseguentemente, le viene fissata la data
per l'operazione chirurgica. Che, manco a dirlo, è il
prossimo 12 maggio. La provvidenziale psicoterapeuta le consiglia
di far spostare la data e lei “si salva”.
Per la Schutzenberger è allora chiaro che “se imparassimo
dal nostro terzo orecchio e dal nostro terzo occhio ad afferrare,
a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere (...) ripetizioni
e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diverrebbe più
chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò
che dovremmo essere”.
2.
Lo so. Tirando in ballo il “terzo occhio” e la “terza
orecchia” e lasciando in pace il “secondo naso”
ce ne sarebbe più che a sufficienza per disinteressarsi
della cosa. Passano gli anni – anche i secoli –
ma un certo armamentario esoterico utilizzato da maghi e lestofanti
rimane. Tuttavia, al di là di talune dichiarazioni incautamente
sopra le righe che farebbero insospettire finanche il dr. Watson,
resta da spiegare il motivo del potere persuasorio di una procedura
che, a ben vedere, caratterizza molte, se non tutte, quelle
alternative più e meno divergenti che hanno preso lo
spunto dalla psicoanalisi.
Ammesso e niente affatto concesso che ciascuno di noi debba
mirare ad un'esistenza più “chiara” e “più
sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo
essere” – come se qualche colpa ancestrale ci avesse
distolto da un “noi stessi” paradigmato o programmato
da chissachi o da chissache –, secondo la Schutzenberger,
allora, si tratta di saper individuare “ripetizioni”
nonché quel particolare tipo di ripetizioni che sono
le “coincidenze” cui – a ben vedere –
vanno associate anche le “ripetizioni transgenerazionali
inconsce”, veri e propri “tranelli” da evitare
con cura e grazie alla cura.
Per esempio: nella regione di Nancy-Epinal, nell'est della Francia,
molti bambini si ammalano (ripetizione) il 6 dicembre (coincidenza).
È il giorno di San Nicola, giorno in cui, anticamente,
i bambini dovevano rimanere in ginocchio sulla scala in attesa
del Santo – per i doni – e, ahiloro, del Castigamatti
– per le punizioni. Oppure: “la nostra casa a Lozière
è stata bruciata dai tedeschi domenica 5 giugno 1944
perché all'interno vi era un deposito di armi per la
resistenza... In quell'occasione ho perso ‘tutto'”
(...) “Mi ha sorpreso esser derubata della mia borsa e
aver ‘perso tutto' nuovamente il 5 giugno 2000)”.
Oppure ancora: Alain de Mijolla ha analizzato i problemi familiari
di Arthur Rimbaud il cui padre si è arruolato quando
lui compiva i sei anni. Ebbene, ha scoperto che, cent'anni prima,
anche il suo bisnonno aveva abbandonato un figlio di sei anni.
In sede diagnostica, pertanto, si potrà parlare di “sindromi
di anniversario”, più specificamente di “sindromi
di anniversario inattese”, o, più volgarmente,
di “conti non saldati nella famiglia d'origine”.
Da
un lato, allora, c'è la paziente costruzione di un “genosociogramma”
che, sulla scia dei diagrammi relazionali di Moreno, estendendolo
a dismisura nel passato, rende conto dell'”atomo sociale”,
ovvero delle “relazioni significative nella vita di ciascuno”
o, detto altrimenti dell'entourage affettivo di una persona.
Dall'altro, c'è l'evidenziazione del detto e del “non
detto” dei “legami” e dei “rapporti
socio-affettivi presenti e passati”. “Lavorando”
– si noti la forza retorica del verbo – “alla
comunicazione non verbale e a quella verbale, sui ‘buchi',
le ‘dimenticanze', le fratture, le ‘spaccature',
le sincronicità e le coincidenze nelle date di nascita,
morte, matrimonio, separazione, incidenti, manifestarsi delle
malattie, insuccessi negli esami, riavvicinamenti, ricorrenze
importanti del mondo personale e familiare del soggetto (...)
e del suo contesto socio-economico, nonché sulla realtà
psicologica individuale” ecco che la persona comprende
meglio la “sua vita” e può “darle
senso”.
In quello stato di necessità del conferire “senso”
alle vite altrui – in questa intrusione colonizzante nella
memoria e nella consapevolezza altrui – si rivela dunque
il carattere di finzione ideologica ineliminabile da ogni pretesa
psicoterapeutica – una finzione ideologica che, peraltro,
risulta strettamente funzionale all'ordine sociale ed alle sue
gerarchie. Così, in definitiva, avremmo anche la spiegazione
delle capacità persuasorie e del potere “terapeutico”
di queste pratiche. Esibizionista incallito, il re, come al
solito, è nudo, ma nessuno lo può dire –
e, ormai, men che meno il bambino, se non vuole ritrovarsi “paziente”
in quattro e quattrotto. Ferma restando, allora, l'alleanza
implicita tra aguzzino e vittima, ci si può permettere
qualsiasi nefandezza sul piano scientifico – anche quella
di sanare la differenza dal paradigma dei caratteri individuali
attribuiti alla persona singola ricorrendo agli “engrammi”
che – nonostante siano definiti come “traccia lasciata
dagli eventi nella memoria, attraverso il funzionamento bioelettrico
del cervello” –, con un'aggiustatina ad hoc –
un engramma “più psicologico che fisiologico”
– passerebbero allegramente dall'uno all'altro di generazione
in generazione.
Focalizzandomi soltanto sulla radice del problema – di
quel problema che, in diversa misura, è condiviso da
tante persone che si limitano a soffrirne o a gioirne nonché
dai vari studiosi, da Flammarion, Kammerer, Jung, Schutzenberger,
fino al mio amico Giorgio Galli, che, invece, ci costruiscono
su teorie –, vorrei essere drastico – e chiaro.
Tutte le teorie della sincronicità si basano su una concezione
fisicalistica della “ripetizione” – ovvero
si basano sull'idea che il risultato del confronto tra due eventi
sia un'uguaglianza di per sé, indipendente dall'operare
di qualcuno. Si acquisisca consapevolezza di ciò e, poi,
se scelta rimane, si scelga.
3.
Scrive il fisico Giuliano Toraldo di Francia che la psicoanalisi
– Freud alla mano – “consiste di tre parti”:
“il metodo d'indagine della psicologia”, “metodo
di terapia di certe nevrosi” e “la teoria della
psiche”, ovvero una teoria che riguarda il suo modo di
funzionare. A proposito della prima e della terza, Toraldo si
dichiara “perplesso” o, anzi, “molto perplesso”,
perché nella psicoanalisi non gli pare “esista
alcun modo per forzare l'intersoggettività”. A
proposito della seconda parte, invece, “come scienziato”,
dice che “se funziona, funziona e basta”. Triste,
tristissima, sarebbe allora la scienza se assumesse la pragmaticità
a criterio della propria correttezza. Non ponendosi rovelli
di tipo politico – non interrogandosi affatto sull'origine
della sofferenza psichica degli esseri umani e sull'evoluzione
di figure professionali atte a caricarsene annichilendola, diminuendola
o accrescendola –, Toraldo di Francia dice che “se
funziona, funziona e basta” – chiude pragmaticamente
il discorso e dice di farlo da “scienziato”, il
che equivarrebbe ad una sorta di ratifica autorevole.
Ora, anche trascurando il fatto che se gli si chiedesse di definire
meglio cosa intenda per quella “scienza” di cui
si ritiene rappresentante andrebbe nei pasticci, almeno ai miei
occhi – al primo e al secondo, non al terzo cui va tutto
bene – appare ben strano quello scienziato che non si
interroghi sul perché una cosa funzioni o non funzioni.
Sempre e comunque si tratta di una rinuncia – un'omissione
di soccorso nei confronti dei tanti socialmente coatti, alle
prese con figure professionali che traggono i propri alimenti
dettando loro la vita – dalla nascita alla tomba –
e, per buona pace di tutti, dandole un senso.
Felice Accame
Nota
La sindrome degli antenati è pubblicata da Di
Rienzo editore, Roma 2015. Per le mie citazioni, cfr. pag. 17,
30, 36, 46-47, 94-95 e 150-151. Per la citazione di Giuliano
Toraldo di Francia, cfr. In fin dei conti, Di Rienzo,
Roma 1997, pagg. 77-78). Per un'analisi delle categorie mentali
di “stesso” e “diverso” - alla base
della costituzione delle “ripetizioni” -, cfr. i
miei Tre saggi metodologici con pretese terapeutiche,
edito da Biblion nel 2106.
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