rivista anarchica
anno 47 n. 421
dicembre 2017/gennaio 2018





La sindrome della sincronicità


1.
Dalle tante costole della psicoanalisi, fin dai suoi primi vagiti di teoria venuta al mondo – si pensi alla scissione tra Freud e Jung –, hanno proliferato – e continuano a proliferare – varianti, viluppi, ibridi e le più svariate contaminazioni. Tra queste, la psicoterapia basata sulla “psicogenealogia” di Anne Ancelin Schutzenberger, che già usufruisce della variante riconducibile ai “sociogrammi” di Jacob Levi Moreno. Tanto per dare un'idea del tipo di lavoro e dei risultati della Schutzenberger, da un suo libro, La sindrome degli antenati, strappo due racconti che lei stessa riporta a testimonianza esemplare. Il primo. Si rivolge alla psicoterapeuta una cliente – Ariane – che le dice di aver due problemi: ha avuto tutta una serie di incidenti d'auto e, essendo morto suo padre della sua nascita, si chiede perché l'abbia chiamata come l'ha chiamata. Come di chi le ha dato la patente, della madre non si parla.
La psicoterapeuta si mette al lavoro e scopre che, nel 1957 esce il film Love in the Afternoon (Amore nel pomeriggio, nella traduzione italiana) di Billy Wilder, che in Francia viene distribuito con il titolo di “Ariane”. Con Gary Cooper e Maurice Chevallier, l'interprete femminile, nella parte di Ariane, è Audrey Hepburn. La trama è tratta da un romanzo di Claude Anet, Arianna: amore nel pomeriggio, pubblicato nel 1920 (Mursia, Milano 1957, nella traduzione italiana), romanzo di cui si scopre esistere una riduzione teatrale. A questo punto – ormai sicura di essere sulla strada giusta – la psicoterapeuta affida alla paziente un'indagine nell'ambito familiare e si porta così alla luce un ricordo di una zia: è vero, il padre di Ariane aveva recitato in uno spettacolo teatrale che si intitolava Ariane, jeune fille russe.
Interrogata, una zia le risponde: tuo padre recitava in uno spettacolo teatrale che si intitolava Ariane, jeune fille russe (che è peraltro il titolo di un altro film, ben precedente, tratto ancora da Anet, diretto da Paul Czinner nel 1931 e interpretato da Gaby Morlay), dove il tema rimane quello della studentessa russa che seduce un quarantenne: studentessa moderna, indipendente, coraggiosa, un po' solitaria, innamorata di un uomo brillante e originale che viaggia molto e che l'ama. Tutto qui ma quanto basta. Il padre è rimasto affascinato dal personaggio: questa l'ipotesi risolutiva e fatto sta che, finalmente liberata dalle catene del passato altrui, Ariane si identifica nel personaggio, comincia a viaggiare intorno al mondo (presumibilmente, non guidando lei) e smette definitivamente i panni della paziente,
Il secondo. Cendrine, un'altra giovane paziente, nota innanzitutto che sua madre è morta di cancro il 12 maggio di un anno imprecisato. Poi nota che anche suo zio, il fratello della madre, muore in un incidente d'auto il 12 maggio (senza che a nessuno venga il sospetto che abbia incontrato Ariane) e che il 12 maggio, di vecchiaia, è morta anche una sua nonna. La psicoterapeuta incalza e si viene a scoprire che in un 12 maggio di molti anni prima, in un incidente, era morto anche il nonno e, in guerra, il suo prozio, ovvero il padrino del nonno. È a questo punto o durante l'indagine che ci si accorge che Cendrine non sta bene, si fa visitare, le viene riscontrato qualcosa su cui dover intervenire e, conseguentemente, le viene fissata la data per l'operazione chirurgica. Che, manco a dirlo, è il prossimo 12 maggio. La provvidenziale psicoterapeuta le consiglia di far spostare la data e lei “si salva”.
Per la Schutzenberger è allora chiaro che “se imparassimo dal nostro terzo orecchio e dal nostro terzo occhio ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere (...) ripetizioni e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diverrebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere”.

2.
Lo so. Tirando in ballo il “terzo occhio” e la “terza orecchia” e lasciando in pace il “secondo naso” ce ne sarebbe più che a sufficienza per disinteressarsi della cosa. Passano gli anni – anche i secoli – ma un certo armamentario esoterico utilizzato da maghi e lestofanti rimane. Tuttavia, al di là di talune dichiarazioni incautamente sopra le righe che farebbero insospettire finanche il dr. Watson, resta da spiegare il motivo del potere persuasorio di una procedura che, a ben vedere, caratterizza molte, se non tutte, quelle alternative più e meno divergenti che hanno preso lo spunto dalla psicoanalisi.
Ammesso e niente affatto concesso che ciascuno di noi debba mirare ad un'esistenza più “chiara” e “più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere” – come se qualche colpa ancestrale ci avesse distolto da un “noi stessi” paradigmato o programmato da chissachi o da chissache –, secondo la Schutzenberger, allora, si tratta di saper individuare “ripetizioni” nonché quel particolare tipo di ripetizioni che sono le “coincidenze” cui – a ben vedere – vanno associate anche le “ripetizioni transgenerazionali inconsce”, veri e propri “tranelli” da evitare con cura e grazie alla cura.
Per esempio: nella regione di Nancy-Epinal, nell'est della Francia, molti bambini si ammalano (ripetizione) il 6 dicembre (coincidenza). È il giorno di San Nicola, giorno in cui, anticamente, i bambini dovevano rimanere in ginocchio sulla scala in attesa del Santo – per i doni – e, ahiloro, del Castigamatti – per le punizioni. Oppure: “la nostra casa a Lozière è stata bruciata dai tedeschi domenica 5 giugno 1944 perché all'interno vi era un deposito di armi per la resistenza... In quell'occasione ho perso ‘tutto'” (...) “Mi ha sorpreso esser derubata della mia borsa e aver ‘perso tutto' nuovamente il 5 giugno 2000)”. Oppure ancora: Alain de Mijolla ha analizzato i problemi familiari di Arthur Rimbaud il cui padre si è arruolato quando lui compiva i sei anni. Ebbene, ha scoperto che, cent'anni prima, anche il suo bisnonno aveva abbandonato un figlio di sei anni. In sede diagnostica, pertanto, si potrà parlare di “sindromi di anniversario”, più specificamente di “sindromi di anniversario inattese”, o, più volgarmente, di “conti non saldati nella famiglia d'origine”.
Da un lato, allora, c'è la paziente costruzione di un “genosociogramma” che, sulla scia dei diagrammi relazionali di Moreno, estendendolo a dismisura nel passato, rende conto dell'”atomo sociale”, ovvero delle “relazioni significative nella vita di ciascuno” o, detto altrimenti dell'entourage affettivo di una persona. Dall'altro, c'è l'evidenziazione del detto e del “non detto” dei “legami” e dei “rapporti socio-affettivi presenti e passati”. “Lavorando” – si noti la forza retorica del verbo – “alla comunicazione non verbale e a quella verbale, sui ‘buchi', le ‘dimenticanze', le fratture, le ‘spaccature', le sincronicità e le coincidenze nelle date di nascita, morte, matrimonio, separazione, incidenti, manifestarsi delle malattie, insuccessi negli esami, riavvicinamenti, ricorrenze importanti del mondo personale e familiare del soggetto (...) e del suo contesto socio-economico, nonché sulla realtà psicologica individuale” ecco che la persona comprende meglio la “sua vita” e può “darle senso”.
In quello stato di necessità del conferire “senso” alle vite altrui – in questa intrusione colonizzante nella memoria e nella consapevolezza altrui – si rivela dunque il carattere di finzione ideologica ineliminabile da ogni pretesa psicoterapeutica – una finzione ideologica che, peraltro, risulta strettamente funzionale all'ordine sociale ed alle sue gerarchie. Così, in definitiva, avremmo anche la spiegazione delle capacità persuasorie e del potere “terapeutico” di queste pratiche. Esibizionista incallito, il re, come al solito, è nudo, ma nessuno lo può dire – e, ormai, men che meno il bambino, se non vuole ritrovarsi “paziente” in quattro e quattrotto. Ferma restando, allora, l'alleanza implicita tra aguzzino e vittima, ci si può permettere qualsiasi nefandezza sul piano scientifico – anche quella di sanare la differenza dal paradigma dei caratteri individuali attribuiti alla persona singola ricorrendo agli “engrammi” che – nonostante siano definiti come “traccia lasciata dagli eventi nella memoria, attraverso il funzionamento bioelettrico del cervello” –, con un'aggiustatina ad hoc – un engramma “più psicologico che fisiologico” – passerebbero allegramente dall'uno all'altro di generazione in generazione.
Focalizzandomi soltanto sulla radice del problema – di quel problema che, in diversa misura, è condiviso da tante persone che si limitano a soffrirne o a gioirne nonché dai vari studiosi, da Flammarion, Kammerer, Jung, Schutzenberger, fino al mio amico Giorgio Galli, che, invece, ci costruiscono su teorie –, vorrei essere drastico – e chiaro. Tutte le teorie della sincronicità si basano su una concezione fisicalistica della “ripetizione” – ovvero si basano sull'idea che il risultato del confronto tra due eventi sia un'uguaglianza di per sé, indipendente dall'operare di qualcuno. Si acquisisca consapevolezza di ciò e, poi, se scelta rimane, si scelga.

3.
Scrive il fisico Giuliano Toraldo di Francia che la psicoanalisi – Freud alla mano – “consiste di tre parti”: “il metodo d'indagine della psicologia”, “metodo di terapia di certe nevrosi” e “la teoria della psiche”, ovvero una teoria che riguarda il suo modo di funzionare. A proposito della prima e della terza, Toraldo si dichiara “perplesso” o, anzi, “molto perplesso”, perché nella psicoanalisi non gli pare “esista alcun modo per forzare l'intersoggettività”. A proposito della seconda parte, invece, “come scienziato”, dice che “se funziona, funziona e basta”. Triste, tristissima, sarebbe allora la scienza se assumesse la pragmaticità a criterio della propria correttezza. Non ponendosi rovelli di tipo politico – non interrogandosi affatto sull'origine della sofferenza psichica degli esseri umani e sull'evoluzione di figure professionali atte a caricarsene annichilendola, diminuendola o accrescendola –, Toraldo di Francia dice che “se funziona, funziona e basta” – chiude pragmaticamente il discorso e dice di farlo da “scienziato”, il che equivarrebbe ad una sorta di ratifica autorevole.
Ora, anche trascurando il fatto che se gli si chiedesse di definire meglio cosa intenda per quella “scienza” di cui si ritiene rappresentante andrebbe nei pasticci, almeno ai miei occhi – al primo e al secondo, non al terzo cui va tutto bene – appare ben strano quello scienziato che non si interroghi sul perché una cosa funzioni o non funzioni. Sempre e comunque si tratta di una rinuncia – un'omissione di soccorso nei confronti dei tanti socialmente coatti, alle prese con figure professionali che traggono i propri alimenti dettando loro la vita – dalla nascita alla tomba – e, per buona pace di tutti, dandole un senso.

Felice Accame

Nota
La sindrome degli antenati è pubblicata da Di Rienzo editore, Roma 2015. Per le mie citazioni, cfr. pag. 17, 30, 36, 46-47, 94-95 e 150-151. Per la citazione di Giuliano Toraldo di Francia, cfr. In fin dei conti, Di Rienzo, Roma 1997, pagg. 77-78). Per un'analisi delle categorie mentali di “stesso” e “diverso” - alla base della costituzione delle “ripetizioni” -, cfr. i miei Tre saggi metodologici con pretese terapeutiche, edito da Biblion nel 2106.