rivista anarchica
anno 48 n. 422
febbraio 2018





Massenzatico (Re)/
La prima conferenza internazionale di geografie e geografi anarchici

Beh, arrivare in auto lungo la strada principale di Massenziatico, frazione a 7 chilometri da Reggio Emilia, e vedere qualche bandiera rossa e nera con la A cerchiata che sventola sulla recinzione delle Cucine del Popolo fa una bella impressione. L'occasione per essere lì è stata la prima Conferenza internazionale delle geografie e dei geografi anarchici ICAGG 2017 (International Conference of Anarchist Geographies and Geographers): l'uso del plurale non solo è voluto, ma vuole proprio sottolineare una delle particolarità sia di questa conferenza sia dell'approccio anarchico in geografia: quello multiplo dello spazio e quello multiplo dei singoli approcci.
Le ambizioni degli organizzatori anch'esse erano molteplici per la prima conferenza internazionale geografica dichiaratamente anarchica: una partecipazione numerosa, una ampiezza geografica della partecipazione, una buona qualità degli interventi, l'opportunità di un primo incontro che possa diventare l'inizio di una rete di contatti. E infine che fosse un incontro piacevole. Personalmente non avevo idea di quanto interesse potesse suscitare a livello internazionale una iniziativa del genere. Anche se da almeno 20 anni, cioè dalla prima (di 7 ormai) conferenza di Geografia Critica tenutasi a Vancouver nell'agosto del 1997, l'approccio critico e radicale in Geografia ha avuto un seguito importante e crescente. L'approccio anarchico e/o libertario era presente, ma l'uso esplicito dell'aggettivo anarchico come riferimento centrale per una conferenza geografica non c'era ancora stato.
Nella fase di raccolta delle adesioni più di 60 si sono mostrati interessati e infine il programma definitivo prevedeva 52 interventi nell'arco di tre giorni. Come sempre ci sono state defezioni all'ultimo momento e concretamente sono state fatte 44 presentazioni. Europa e Americhe (Nord e Sud) sono stati i due continenti da cui sono arrivati il maggior numero di partecipanti. Personalmente lo trovo un grande successo. Che però ha posto agli organizzatori il problema dei tempi e degli spazi. La scelta di non fare sessioni parallele, ma di usare una sala unica per permettere a tutti di sentire e discutere con tutti ha necessariamente irrigidito le possibilità di scelta dei temi e del numero dei presentatori, come pure ha vincolato la decisione circa i tempi e le modalità delle presentazioni. E questo ha suscitato qualche malumore in alcuni, soprattutto giovani, per le caratteristiche poco anarchiche di tale impostazione.
La gran parte dei presentatori a vario titolo lavorano nell'accademia a livello universitario; nel programma finale hanno effettivamente parlato 40 di questi e solo 4 che si sono definiti studiosi indipendenti e/o attivisti. Certo è stata una conferenza intellettualmente impegnativa per chi ha cercato di seguire tutti gli interventi. L'uso dell'inglese, lingua “coloniale”, è stato un vincolo che ha creato, comprensibilmente, qualche difficoltà ad alcuni ed ha suscitato anche un confronto vivace in parallelo alla già citata questione organizzativa della conferenza.
Oltre al successo numerico, a mio giudizio, un grande risultato è stato quello della partecipazione non solo geograficamente ampia, ma anche di una larga maggioranza di giovani di ambo i sessi; direi in maniera sostanzialmente egualitaria per il genere. Folto il gruppo dei giovani francesi stimolato dall'attivismo di Philippe Pelletier dell'università Lione 2. Lascia ben sperare per il futuro delle geografie anarchiche.
L'appartenenza all'accademia di molti giovani presentatori non ha impedito loro di scegliere casi “spaziali” molto concreti, vicini a tipologie di attivismo politico o esplicitamente a casi di lotta o uso alternativo di spazi. Questo è stato l'aspetto più dinamico e molto interessante della conferenza. Cioè il tentativo di leggere con un approccio libertario una serie di iniziative concrete che usano lo spazio, lo reinterpretano, lo modificano oppure lo “reinventano”.
Sono stati analizzati casi di lotta urbana o di riuso di spazi abbandonati oppure di spazi pensati per un uso diverso da quello progettato dall'alto. I casi concreti analizzati si trovano in America Latina (dal Cile al Brasile e al Messico) e in Europa (dall'Irlanda a Lovanio, da Barcellona e alla Grecia) e si va dallo spazio verde utilizzato ecologicamente agli edifici occupati per attività sociali o di sostegno a emarginati, anziani o migranti. Anche la questione dei confini è stata oggetto di studio con la riflessione su dinamiche geograficamente localizzate, dal confine USA-Messico ad alcuni tratti di confini europei legati ai recenti movimenti (2015-2016) di migranti.
In effetti i presentatori più maturi si sono dedicati maggiormente a riflessioni di tipo teorico, ma anche qualche giovane vi ci si è avventurato. Il livello è certo stato buono, ma talvolta troppo accademico. Questa dicotomia teoria-prassi è stata, forse, l'aspetto più significativo, e per questo utile, della conferenza. Evidenziare il salto generazionale dell'approccio allo spazio con un maggior attivismo dei giovani e una maggiore riflessività dei meno giovani. Col rischio di un auto confinamento spaziale localistico degli uni a fronte del distacco intellettuale della teoria. La prossima conferenza internazionale, se e quando ci sarà, potrà dare indicazioni in tal senso e si potrà verificare l'utilità di questa prima di Reggio Emilia.
Le Cucine del Popolo sono state un supporto non semplicemente fisico alla conferenza. Al primo piano il salone per le presentazioni e al piano terra il salone dei pranzi e delle cene come pure per il divertimento serale: musica e, una sera, un “poeta” locale certo fuori dagli schemi. Il bel sole, gli spazi a disposizione hanno contribuito a favorire gli incontri personali e a garantire spazi individuali e di gruppo per smussare tensioni e incomprensioni che una iniziativa così intellettualmente valida, ma impegnativa, non può che suscitare. Anche questo, alla fine, vissuto “anarchicamente”.

Fabrizio Eva




Nonviolenza e anarchia/
Un confronto in Sardegna

Alla Casa per la Pace di Ghilarza, in Sardegna, si è svolto dal 21 al 25 di giugno il seminario di studi su “Nonviolenza e Anarchia”, condotto da Alberto L'Abate e con la facilitazione di Carlo Bellisai. Nella struttura del Movimento Nonviolento per cinque giorni i tredici partecipanti hanno vissuto in autogestione, dedicandosi alla lettura collettiva di testi e alla discussione su temi specifici.
Da un'idea condivisa con lo studioso e attivista nonviolento Alberto L'Abate, è nato all'interno del Movimento Nonviolento Sardegna un gruppo di studio che ha preparato e posto le basi per il seminario su nonviolenza e anarchia, lavorando alla ricerca delle affinità e delle differenze fra il pensiero e la prassi della nonviolenza e dell'anarchismo. Questo attraverso la lettura, sintesi e schedatura di testi, ma anche tramite il confronto diretto e il dibattito fra i partecipanti. L'obiettivo prefissato era quello di provare a dare una risposta a queste domande:

  1. Quali aspetti sembrano avvicinare il pensiero anarchico a quello nonviolento? O viceversa il pensiero nonviolento a quello anarchico?
  2. Quali sono gli aspetti che sembrano dividerli, o comunque distanziarli?
  3. Su quali basi sembrano possibili confronti, collaborazioni, visioni e azioni comuni?
Probabilmente ci siamo riusciti solo in parte, sia per i pochi giorni a disposizione, sia per le defezioni dell'ultim'ora – per altro ampiamente giustificate – di diversi degli iscritti al seminario, in particolare di alcuni di quelli provenienti dall'area anarchica. Ad ogni modo ci sembra giusto e sensato condividere le conclusioni (parziali e provvisorie) cui siamo giunti, insieme a parte del materiale da noi stessi elaborato prima e durante le giornate di studio.
Ecco la mappa di sintesi conclusiva: punti in comune e divergenze tra nonviolenza e anarchia.

Nonviolenza e anarchia/i punti in comune
  • L'antimilitarismo. Tutte le guerre sono ingiuste, senza distinzioni. Obiezione di coscienza (totale e/o servizio civile).
  • L'educazione antiautoritaria. La pedagogia tolstoiana come ponte. Ma anche Danilo Dolci e altri.
  • L'assertività. Il potere di tutti e la responsabilità individuale.
  • La connessione tra pace e giustizia. L'ingiustizia sociale non porterà mai ad una vera pace. Le stesse guerre sono spesso il frutto avvelenato di gravi situazioni di ingiustizia.
  • L'insopportabilità dell'ingiustizia. Davanti ad ingiustizie e soprusi è impossibile restare indifferenti.
  • La lotta contro la violenza strutturale. La violenza delle istituzioni e della cultura dominante va svelata e combattuta.
  • Il metodo del consenso. Rifiuto della democrazia delle maggioranze: rispetto del dissenso e delle minoranze.
  • Gruppi di affinità. Per una costruzione condivisa, appassionata, conviviale, aperta del futuro.
  • Rispetto delle differenze. Le diversità come arricchimento del gruppo. Concordanza mezzi-fini.
  • Organizzazione dal basso. I Centri di Orientamento Sociale (COS di Capitini), il municipalismo libertario (Murray Bookchin), l'autogestione (Colin Word), come pratiche alternative dal basso di erosione dello Stato e di presa in mano diretta.
  • Ricerca interiore. Importanza dell'autostima e della forza interiore: integrazione tra personale e politico.
  • Internazionalismo. Superamento dei nazionalismi, per un mondo senza frontiere e muri.
  • Primato della coscienza. L'uomo non è solo un essere economico. Siamo anche coscienza, natura, cultura, sentimenti.
  • Federalismo. Per un superamento d'ogni organizzazione centralista, che porta inevitabilmente all'abuso di potere e al dominio dell'uomo sull'uomo.
  • Boicottaggio e sabotaggio. Tra le forme di lotta usate, in certe circostanze, da entrambi.

Nonviolenza e anarchia/le differenze (linee di faglia)

Oltre alle affinità, sono state individuate alcune differenze difficilmente ricomponibili, delle vere e proprie linee di faglia che separano nettamente le due scuole di pensiero su alcuni temi rilevanti.

Rapporto con lo stato e le istituzioni
Rifiuto della legge, abbattimento.
Trasformazione, superamento della legge.
Disobbedienza.

Controllo dal basso
Nella transizione verso una società anarchica: controllo del popolo sui portavoce-rappresentanti, a rotazione e sempre revocabili.
Una prassi da attuare nella società attuale, per permettere ai cittadini di esercitare un qualche controllo sull'operato delle istituzioni.

Azione diretta
Azione diretta anarchica. È contemplata la possibilità di esercitare una violenza difensiva.
Azione diretta nonviolenta. Solo forme di autodifesa nonviolente.
Il ruolo corrompe irrimediabilmente la persona. Il poliziotto e il militare come servitori dello Stato.
Fiducia nella persona oltre il ruolo. Il poliziotto e il militare come potenzialmente “convertibili” alla causa.

Antigerarchia
Radicalità. Astensionismo elettorale.
Gradualità. Possibilità di voto consapevole.

Religione
Fede, spiritualità, laicità, ateismo, rispetto.
Ateismo. Anticlericalismo.

Queste differenze di approccio nei confronti di temi importanti marcano probabilmente alcuni tratti fondamentali delle identità nonviolente e anarchiche. Né d'altra parte era nostro intento quello di cercare di omologare le due scuole in un unico sistema di pensiero. Siamo consapevoli che proprio le diversità vanno mantenute e rese il più possibile chiare, pena l'inaridimento del confronto che – questo sì – non deve mai venir meno.

a cura del Gruppo dei partecipanti al seminario di Ghilarza
(21-25 giugno 2017)




Trieste/
Ricordando Paola Mazzaroli

Paola Mazzaroli del Gruppo Anarchico Germinal di Trieste ci ha lasciati/e il 22 dicembre scorso dopo una lunga malattia. Aveva 62 anni. Le molteplici attività di Paola mi inducono a riflettere sui molti modi possibili e concreti di vedere, e vivere fino in fondo, l'Anarchia.
Talvolta diceva: “Cosa sarebbe stata la mia vita se non avessi incontrato l'Anarchia?”. In effetti le si addiceva bene una visione decisamente antiautoritaria del mondo, un approccio al di fuori di schemi istituzionali gerarchici e inevitabilmente oppressivi.
Una costante del suo atteggiamento libertario è stata, per decenni, un'attitudine all'allegria. Trovava motivi per ridere e per scherzare in molti aspetti della vita quotidiana e della stessa militanza. Vedeva elementi di contraddizione e di riso in tante situazioni sociali e individuali. Con la sua grande amica Patrizia Cocevar, che l'aveva introdotta nel mondo anarchico, trovava aspetti umoristici negli argomenti e nelle frequentazioni che si affrontavano spesso nel Gruppo Germinal.

Trieste, Primo Maggio 2017, Paola Mazzaroli

Il suo carattere, non sempre facile, comprendeva l'immediata simpatia per certe persone, un sentimento che si poteva accompagnare a quello dell'antipatia subitanea verso altre. Se qualche interlocutore non le piaceva, e non la convinceva, non aveva remore a comunicare la propria sensazione. Talora l'impressione iniziale, positiva e o negativa, permaneva nel tempo, al di là di eventi che avrebbero potuto cambiarla. La sua sensibilità la spingeva ad esprimere sia grandi affetti sia rigetti totali.
Paola era spontaneamente portata al riconoscimento dell'eguaglianza quale base fondamentale dei rapporti umani. Perciò comunicava in modo naturale con gli studenti, quando lavorò (negli anni Ottanta) come docente in un istituto tecnico, o con i “pazzerelloni” (verso la fine degli Anni Settanta) al tempo dei contatti con il mondo del disagio mentale quando a Trieste si stavano aprendo le porte dell'Ospedale Psichiatrico mettendo alla prova la tolleranza cittadina.
La sua inclinazione lavorativa ruotava attorno alla valorizzazione dell'attività manuale, concreta, tangibile. Così si esaltava per la lavorazione della pietra carsica, per la raccolta delle erbe selvatiche, per la pittura informale, per la cucina sempre diversa. Anche su questo ultimo punto scrisse delle pagine originali e molto vive.
Il rifiuto della logica burocratica e delle scadenze formali la spinse ad abbandonare un lavoro a tempo indeterminato nella scuola dove, al di là dell'impegno didattico, trovava motivi di profonda tristezza e il rischio del senso del vuoto, l'anticamera della depressione. Un modo per resistere all'ambiente scolastico era quello di aderire alle commissioni d'esame per studenti del suo ramo d'istituto tecnico e spostarsi in altre città italiane, soprattutto del Sud.
Si trovò benissimo a Bari e a Napoli. In particolare sotto il Vesuvio godette pienamente dello spirito creativo e irregolare dei partenopei di cui ammirava il gusto di vivere e di arrangiarsi in ogni situazione. Parlava spesso, e con enorme contentezza, delle uscite in mare con un compagno d'Ischia con problemi fisici: insieme vogavano e ridevano delle proprie difficoltà.
Per non sottostare alla gerarchia istituzionale o produttiva, aveva quindi scelto la modalità artigianale con tutte le conseguenze stimolanti e da queste traeva la forza per superare gli ostacoli relativi. Alla ricerca di spazi di vita libera e solidale, aveva avuto una lunga esperienza all'interno della comune Urupia, non a caso nel Sud Italia e dedita alla produzione agricola. Qui aveva conosciuto un ambiente nel quale gli ideali si facevano quotidianità effettiva e affettiva. Una realtà che l'attirava anche se la lasciò dopo alcuni mesi, ma che costituì un riferimento fondamentale per gli anni successivi. E diventò un riferimento stabile per la diffusione dei prodotti di Urupia, risultato di idee solidali e libertarie, un ambiente dove sembrava possibile superare i condizionamenti dello Stato e del mercato.
Analogamente strinse rapporti stretti con una realtà di sostegno finanziario alle attività autogestite, la MAG 6 di Reggio Emilia. Anche qui Paola costituì un punto importante per il sostegno a progetti di base, proposti da gruppi o singoli con la finalità di sperimentare modalità economiche non competitive e non speculative. Grazie al suo stimolo, il Gruppo Germinal chiese e ottenne dalla MAG6 un grosso prestito a lunga scadenza per l'acquisto della sede nella quale ci troviamo e operiamo.
L'allergia verso le scadenze e le ritualità istituzionali la portò a respingere senza incertezze l'invito a partecipare ad un matrimonio di compagni del 2004. Disse: “Se fosse solo una festa, sarei senz'altro venuta e avrei collaborato”. Un atteggiamento che si può comprendere all'interno di una visione radicalmente antagonista ed estrema contro lo Stato. Un punto di vista pregiudiziale che molti di noi hanno avuto negli anni Settanta, periodo di grazia dello scontro a tutti i livelli e della contestazione profonda. Per lei quegli anni rappresentavano l'”iniziazione” all'anarchismo e il contesto nel quale il conflitto antiautoritario era vero e sentito. Non a caso, l'anno scorso, in occasione del quarantennale del 1977, avrebbe voluto che lo si ricordasse con la dovuta attenzione. Il Settantasette, momento della rottura più decisa con lo Stato e che vide un movimento estraneo e contrario a ogni gestione partitica, fece intuire una società davvero alternativa, un progetto globale che non si poteva certo esaurire né riassumere in una lotta armata di avanguardia.
Mentre le Brigate Rosse, nella primavera del 1978, sequestravano e uccidevano uno dei principali esponenti politici italiani, e parte dei movimenti rivoluzionari ammiravano la “geometrica potenza” esibita dal partito armato, qui a Trieste il gruppo Germinal apriva, con un paio di simpatizzanti, una libreria. Utopia 3, situata nel portone a fianco dell'attuale sede, rappresentò un impegno totale per Paola (come per altri compagni), che si dedicò quasi ogni giorno per tre anni a far funzionare questa sfida culturale ad una città sostanzialmente nostalgica e qualunquista. Qui si inaugurarono le presentazioni di libri a Trieste (una quarantina), qui si misero in circolazione libri e riviste che offrivano una lettura libertaria per militanti e per bambini. E anche Paola resistette, nel 1981, alla chiusura, in sostanza causata da motivi personali, di questo spazio e riprese le attività centrate nella sede di via Mazzini 11.
In questo periodo funzionò pure un'altra esperienza di comunicazione alternativa: Radio Libertaria, poi Radio Onda Libera. Paola vi collaborava con entusiasmo e costanza e riteneva, molto giustamente, che si trattasse di uno strumento di seria propaganda delle idee, della storia e delle iniziative alternative in corso. E riconosceva, come tutti, che la stessa esistenza della Radio dimostrava come fosse possibile organizzarsi senza avere alle spalle sponsor di alcun tipo: bastava la “utopia concreta” di un compagno tecnicamente molto preparato e generosamente disponibile, per farsi ascoltare con mezzi del tutto autoprodotti e indipendenti. Anche questa esperienza finì in modo conflittuale, ma non dissuase Paola, e pochi altri, dal continuare nella militanza.
Le lotte antimilitariste e antibelliciste la videro in prima fila, animatrice di mobilitazioni puntuali, più o meno coinvolgenti di settori giovanili e cittadini. Il suo impegno ecologista si concretizzò nelle proteste contro la catastrofe nucleare di Chernobil nel 1986 i cui effetti disastrosi si fecero sentire anche nella regione mentre le autorità locali negavano l'esistenza del pericolo. Poco dopo partecipò a un movimento spontaneo contro il progetto di insediare nell'area triestina una grande centrale a carbone. Stavolta l'obiettivo fu raggiunto grazie anche alla frenetica attività dei militanti del Collettivo Energia Ecologia.
Il suo interesse principale, che maturò negli anni Novanta, derivò dalla scoperta delle innovazioni, teoriche e pratiche, portate dal femminismo. Vi vedeva forti affinità con la lotta antiautoritaria a tutti i livelli, perciò pure nei rapporti interpersonali e nelle relazioni di genere. Il suo femminismo spiccatamente extraistituzionale valorizzava specialmente le affinità individuate nei nuovi movimenti delle donne curde che non si limitano certamente all'inevitabile lotta armata, ma stanno contribuendo alla nascita di una nuova società basata sull'uguaglianza tra le persone, la laicità, l'attenzione ecologica, l'autonomia federale.
La sperimentazione e la curiosità erano due pilastri della sua vita. Perciò realizzò molti viaggi con il semplice, ma assai sentito, intento di conoscere altri modi di vivere, altri ambienti naturali, altri contesti sociali. Con Clara Germani consolidò, nei frequenti viaggi, un'amicizia che rafforzò il comune impegno nel Gruppo e nel movimento.
Negli ultimi tempi, com'è naturale, lo spirito anarchico di Paola aveva dovuto fare i conti con una condizione personale di debolezza fisica, ma lei reagì insistendo nell'impegno in modo quasi disperato. Ancora la vediamo al corteo del Primo Maggio scorso diffondere il “Germinal” n. 125, in pratica l'unica voce di dissenso e critica superstite della dozzina circolante a Trieste nel Primo Maggio degli anni Settanta. Per diversi anni lei si concentrò a preparare e presentare il nostro foglio come risultato di un lavoro di coordinamento fra gruppi e singoli. Le fasi finali del “Germinal” in sostanza ruotavano attorno alla sua persona.
Nella sua intensa partecipazione agli appuntamenti degli anni più recenti e nelle riunioni di riflessione interna del Gruppo, emergeva talvolta qualche insoddisfazione per ciò che sarebbe stato doveroso fare e ciò che di fatto si riusciva a concretizzare. Più volte proponeva di scendere immediatamente in piazza per rispondere ad una nuova guerra o ad una repressione statale. E accettava con difficoltà la limitatezza delle forze del Gruppo, da qualche anno costituito da diversi compagni e compagne e quindi più forte di quando si teneva aperta e attiva la sede di via Mazzini praticamente in tre militanti.
In generale la sua critica, che ripeteva di frequente, era quella della carenza di un'identità anarchica specifica che emergesse con un chiaro inequivocabile discorso sia teorico che pratico. Secondo lei, l'identità particolare del Gruppo rischiava di venir sacrificata dalla partecipazione a movimenti più settoriali, per quanto interessanti e propositivi. Invece questo tipo di iniziative di base non avrebbero dovuto esaurire le potenzialità speciali del movimento anarchico specifico, della FAI e non solo.
Queste posizioni erano comunque affiancate da un grosso lavoro sostenuto con tenacia per aprire la nuova sede, dove per anni si era dedicata a risolvere i complicati lavori tecnici per la ristrutturazione. Paola ha voluto collaborare, spesso promuovendole, a realtà vicine nelle quali, come nel caso del Coro delle Voci Arcutinate, convogliava il proprio desiderio di liberazione completa con il piacere di espressione artistica.
Grazie Paola, per il tuo contributo generoso e originale, per le discussioni sincere e animate, per la pronta risposta alle mille provocazioni del dominio autoritaritario disumano e soffocante.
P.S. Mandiamo un abbraccio solidale alle sorelle Betta e Chiara che l'hanno sostenuta durante la lunga e logorante malattia.

Claudio Venza




Palermo/
Ricordando Antonio Cardella

Antonio Cardella (Palermo, 1930 / 2017), l'amico affettuoso, l'ineguagliabile compagno anarchico, non è più tra noi. Quella sua cera cordiale, ridente e rasserenante, s'era sforzato di regalarcela quasi fino all'ultimo, più tribolato e dolorosissimo, passo della sua vita. Lo ricorderemo sempre per la sua lucida capacità di analisi, per la sua intelligente facoltà di progettazione, per le sue acute e spiccate intuizioni, per la sua alta concezione di un'anarchia dell'oggi e del domani, di un'anarchia socialmente e politicamente inclusiva, praticabile e vivibile, ma soprattutto per la intransigente qualità dei rapporti umani, e di noi in relazione all'ambiente che ci ospita.
Fin da ragazzino, durante la guerra, andava maturando l'intenzione di partecipare all'occupazione delle terre; questa attenzione al mondo contadino lo ha accompagnato per tutta la vita, sia in ambito politico che a livello culturale/antropologico.

Antonio Cardella

Giornalista dall'ironia sferzante nei confronti di ogni forma di potere, fu corrispondente dall'Indocina per “Il Mondo” di Pannunzio e collaborò sempre con testate anarchiche quali il settimanale della Fai (Federazione Anarchica Italiana) “Umanità Nova”, “L'Internazionale”, “A Rivista Anarchica”, “L'Agitazione del Sud”.
Conobbe il mondo dell'Algeria in lotta per l'indipendenza dal dominio coloniale francese, così come la rivolta del '56 in Ungheria contro la repressione sovietica, nonché le rivolte dei minatori nelle miniere delle Asturie nella Spagna franchista.
Spesso lontano da Palermo per motivi professionali e politici legati alla sua attività di giornalista e alla sua militanza nella Fai, fu attivo negli anni della protesta sessantottina. A Palermo fu tra i fondatori del circolo culturale “65 A” e, in seguito alla “caccia agli anarchici” successiva alla strage di Piazza Fontana, nel '69 finì in carcere all'Ucciardone di Palermo, per poi essere scagionato in breve tempo.
Successivamente, per incarico della Fai, contribuì alla costituzione del Comitato Politico-Giuridico di Difesa (al quale aderirono alcuni legali quali Di Giovanni, F. Piscopo, G. Spazzali, R. Ventre e altri). Tale Comitato, assieme a Soccorso Rosso Militante (di Franca Rame e Dario Fo), alla Federazione Anarchica Italiana, a Lotta Continua e a Camilla Cederna de “L'Espresso”, fu determinante non solo per la difesa dei compagni anarchici ingiustamente arrestati per gli attentati del 12/12/'69, ma anche per la mobilitazione su tutto il territorio nazionale (sua l'idea del Processo Parallelo nelle piazze e nelle strade) di una opposizione che riuscì a smontare le false ricostruzioni degli apparati polizieschi e dei servizi segreti dello Stato, tese a colpevolizzare gli anarchici.
Fervido militante della Fai, a partire dagli anni'50, all'interno di essa ricevette e portò a buon fine, assieme ad altri militanti, diversi incarichi di notevole responsabilità quali la redazione di “Umanità Nova”, la Commissione di Corrispondenza, il Crifa (Commissione Relazioni Internazionali Federazioni Anarchiche), il Cad (Comitato Anarchico di Difesa).
A Palermo, infine, fu cofondatore, dalla fine degli anni '60, dei gruppi anarchici “Nestor Makhno”, “Federazione Anarchica Palermitana”, fino all'attuale Gruppo “Alfonso Failla”.
Studioso delle tradizioni popolari siciliane, nel settembre del '76 curò la prima edizione di “Sicilia e le Isole in bocca”, per la casa editrice palermitana Il Vespro. Dato il grande successo del libro (caratterizzato dall'utilizzo inconsueto della carta paglia, da una copertina coloratissima di cartone pressato nonché da un apparato iconografico prodotto da noti pittori), seguirono numerose ristampe a cura di altre case editrici fino a pochi anni fa.
Appassionato di musica classica (faceva parte del Direttivo dell'Associazione Siciliana “Amici della Musica”, della quale fu socio sin dagli anni '60; su sua sollecitazione il Gruppo Makhno riscoprì l'attualità, anche sotto il profilo musicale, della lezione di T.W. Adorno, filosofo da lui particolarmente amato), fu scrittore eclettico e poliedrico. Fra le sue pubblicazioni: l'intervista a Cassola del 1977 (Conversazione su una cultura compromessa), il saggio antropologico Santi, riti e leggende del popolo siciliano (2002), la rievocazione della storia della Fai dal 1970 al 1980 (Anni senza tregua, 2005) insieme a Ludovico Fenech, il volume collettivo Il buco nero del capitalismo del 2012 (con A. La Via, A. Tirrito e S. Vaccaro). Del 2017 è L'anarchismo di Elio Vittorini, riedizione per “I Quaderni di Libert'Aria” di un suo saggio pubblicato nel 1967 su “Umanità Nova”.
Antonio Cardella è stato, per le generazioni dagli anni '60 in poi, punto di riferimento per la sua visione laica e aperta della politica e dell'etica sociale, per la sua capacità di mantenere e praticare gli ideali anarchici anche nei rapporti privati e negli affetti.

Gli anarchici e i libertari di Palermo

La redazione di “A” si associa al dolore delle compagne e dei compagni palermitani. Due i momenti principali della nostra collaborazione: la mobilitazione sulla Strage di Stato e la sua intensa collaborazione ad “A” nella fase conclusiva della sua vita. Con le sue caratteristiche personali di militante aperto e attento agli altri, colto, curioso e affabile è stato per noi un caro amico, così i suoi famigliari Giovanna, Igor e Valentina. E la comune stima per l'anarchico siracusano Alfonso Failla (cui è intestato il gruppo anarchico cui Antonio apparteneva) ha fatto da ulteriore collante tra di noi. Nel solco di quell'umanità e di quell'umanesimo anarchico che sono stati la cifra della sua vita.