alle lettrici,
ai lettori
Astensione
(non qualunquismo)
Domenica
4 marzo noi non andremo alle urne. Ci asterremo, come abbiamo
sempre fatto. Eppure sentiamo il bisogno di spiegare bene il
perché di questa scelta, che si ripete da un secolo e
mezzo ma non è per noi una scelta obbligata. Non ci piace
esser schiavi di niente e di nessuno, nemmeno in questo caso.
Ci piace ragionare, argomentare, discutere.
La copertina e il dossier di apertura – con scritti di
Andrea Papi, Francesco Codello e Amedeo Bertolo (da un suo articolo
del 1972) – cercano di spiegare perché, a nostro
avviso, la scelta dell'astensione abbia un suo significato preciso
oggi, 2018.
Ci si potrebbe obiettare che i tempi della rivoluzione dietro
l'angolo, se mai ci sono stati, sono comunque passati da un
bel po' e che rimandare al “giorno x” le possibilità
di miglioramento non ha un gran senso. A questa obiezione rispondiamo
che il partecipare alle elezioni con grande difficoltà
ci pare possa essere considerato tra i “miglioramenti”
della vita sociale.
Ad ascoltare le solite promesse fatte in campagna elettorale,
forse. Ma molto forse. In realtà l'esperienza ci insegna
che “passata la festa, gabbato lo santo”.
Al caso, a togliere originalità e forza al nostro astensionismo
vi è il fatto che sempre più cresce il numero
di coloro che non vanno a votare, al punto che anche la media
europea oscilla ormai intorno alla metà degli aventi
diritto, con una tendenza a un ulteriore ribasso. Ma c'è
una sostanziale, abissale differenza tra l'astensione di chi,
come noi, fa questa scelta perché interessato e impegnato
quotidianamente nel tentativo di contrastare il potere e di
favorire esperienze alternative di autogestione e comunque di
critica, e il disinteresse per la vita sociale e, in questo
contesto, anche per il voto, di chi se ne frega comunque. E,
fregandosene, alla fine non fa che favorire il potere, i potenti,
il loro dominio quotidiano.
Non a caso noi abbiamo sempre parlato del nostro come di un
astensionismo rivoluzionario, maturato nel contesto della nostra
attività sociale anche politica contro il potere in tutte
le sue espressioni. Non serve a niente brontolare e lamentarsi
il giorno delle elezioni, restare a casa e disertare le urne,
se non ci siano dietro riflessioni e azioni che possano delegittimare
il meccanismo elettorale e far comprendere alle persone, alla
gente, che solo sforzandosi di riprendere in mano il proprio
destino individuale e collettivo e cercando di costruire una
società estranea a sfruttamento, repressione e ingiustizie,
si potrà dar vita a un percorso – non certo facile
– che avrà bisogno della partecipazione di tanta,
ma proprio tanta gente cosciente e interessata al proprio futuro.
Il 4 marzo noi non ci saremo. Alle urne, s'intende. Ma per il
resto sì, ci saremo eccome, come sempre, come ogni giorno,
per portare avanti le nostre battaglie di libertà.
La nostra astensione come rinnovata forma, premessa di partecipazione.
In direzione ostinata e contraria. E il fatto che la maggioranza
degli aventi diritto al voto avranno, alla fine della giornata,
non-votato come noi, non è di per sé il segno
di una nostra vittoria.
Disertare le urne non basta. Bisogna impegnarsi. Al di fuori
e contro il potere.
E non solo il 4 marzo.
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