rivista anarchica
anno 48 n. 422
febbraio 2018


alle lettrici, ai lettori

Astensione
(non qualunquismo)

Domenica 4 marzo noi non andremo alle urne. Ci asterremo, come abbiamo sempre fatto. Eppure sentiamo il bisogno di spiegare bene il perché di questa scelta, che si ripete da un secolo e mezzo ma non è per noi una scelta obbligata. Non ci piace esser schiavi di niente e di nessuno, nemmeno in questo caso. Ci piace ragionare, argomentare, discutere.
La copertina e il dossier di apertura – con scritti di Andrea Papi, Francesco Codello e Amedeo Bertolo (da un suo articolo del 1972) – cercano di spiegare perché, a nostro avviso, la scelta dell'astensione abbia un suo significato preciso oggi, 2018.
Ci si potrebbe obiettare che i tempi della rivoluzione dietro l'angolo, se mai ci sono stati, sono comunque passati da un bel po' e che rimandare al “giorno x” le possibilità di miglioramento non ha un gran senso. A questa obiezione rispondiamo che il partecipare alle elezioni con grande difficoltà ci pare possa essere considerato tra i “miglioramenti” della vita sociale.
Ad ascoltare le solite promesse fatte in campagna elettorale, forse. Ma molto forse. In realtà l'esperienza ci insegna che “passata la festa, gabbato lo santo”.
Al caso, a togliere originalità e forza al nostro astensionismo vi è il fatto che sempre più cresce il numero di coloro che non vanno a votare, al punto che anche la media europea oscilla ormai intorno alla metà degli aventi diritto, con una tendenza a un ulteriore ribasso. Ma c'è una sostanziale, abissale differenza tra l'astensione di chi, come noi, fa questa scelta perché interessato e impegnato quotidianamente nel tentativo di contrastare il potere e di favorire esperienze alternative di autogestione e comunque di critica, e il disinteresse per la vita sociale e, in questo contesto, anche per il voto, di chi se ne frega comunque. E, fregandosene, alla fine non fa che favorire il potere, i potenti, il loro dominio quotidiano.
Non a caso noi abbiamo sempre parlato del nostro come di un astensionismo rivoluzionario, maturato nel contesto della nostra attività sociale anche politica contro il potere in tutte le sue espressioni. Non serve a niente brontolare e lamentarsi il giorno delle elezioni, restare a casa e disertare le urne, se non ci siano dietro riflessioni e azioni che possano delegittimare il meccanismo elettorale e far comprendere alle persone, alla gente, che solo sforzandosi di riprendere in mano il proprio destino individuale e collettivo e cercando di costruire una società estranea a sfruttamento, repressione e ingiustizie, si potrà dar vita a un percorso – non certo facile – che avrà bisogno della partecipazione di tanta, ma proprio tanta gente cosciente e interessata al proprio futuro.
Il 4 marzo noi non ci saremo. Alle urne, s'intende. Ma per il resto sì, ci saremo eccome, come sempre, come ogni giorno, per portare avanti le nostre battaglie di libertà.
La nostra astensione come rinnovata forma, premessa di partecipazione. In direzione ostinata e contraria. E il fatto che la maggioranza degli aventi diritto al voto avranno, alla fine della giornata, non-votato come noi, non è di per sé il segno di una nostra vittoria.
Disertare le urne non basta. Bisogna impegnarsi. Al di fuori e contro il potere.
E non solo il 4 marzo.