scuola
Quella visita scolastica nella redazione di “A”
di Rino Ermini
Nel 2002 Rino Ermini, anarchico, docente in un istituto tecnico in provincia di Milano, toscanaccio di Scandicci (Firenze), ci telefona per mettersi d'accordo per una visita in redazione con alcuni suoi studenti. Un'esperienza decisamente originale, che qui ricorda. E noi proponiamo ai lettori. Magari per una replica.
Ho ancora presente la visita
che feci con quattro mie studentesse molti anni fa alla redazione
di “A” Rivista Anarchica. Di queste ragazze ricordo
i nomi e i volti. Di una in particolare, che passo ogni tanto
a salutare nel posto in cui ora lavora; le altre tre non le
vedo più da tempo, una andata a sposarsi in Sicilia,
l'altra veterinaria con una ONG in Africa, l'ultima
finita agronoma in Canada.
Eravamo in seconda superiore di un Istituto tecnico agrario.
La decisione di venire un pomeriggio con loro a Milano dal paese
di provincia nacque pochi giorni prima di Natale, quando agli
inizi di una lezione di storia esordii, come facevo spesso,
con una stupidaggine.
“Care ragazze e cari ragazzi, vi pregherei di stare attenti
e non rompere troppo le scatole perché oggi pomeriggio
devo andare a Milano e non vorrei andarci col nervoso addosso”.
“Prof, che ci va a fare a Milano, proprio in questi giorni
di Natale, lei che predica sempre contro il consumismo?”
“Vado a comprare dei libri. Siete contenti?”
“Se andava per rimorchiare, venivo con lei”, disse
Francesco.
“Io”, disse Marzia, che era la più sveglia
della classe, “vengo solo a condizione che non portiamo
i maschi, ma solo le femmine; i maschi, poverini, sono stupidi”.
Putiferio dei maschi.
“Scusatemi”, ribattei io quando tornò la
calma, “ma chi ha detto che vi voglio portare a Milano?”
“Prof”, intervenne Elena, “noi siamo la classe
migliore e più simpatica, lei lo dice sempre, perciò
ci porterebbe volentieri. Lo so”.
“Guarda che certe cose le dice in tutte le classi”,
intervenne Erica 1 (in quella classe ce n'erano ben tre
di Eriche), “non solo, ma anche, ragazze ascoltatemi bene,
quando dice a una studentessa che è una delle migliori
che abbia mai avuto è una cosa che dice a tutte. L'ha
detto addirittura a Catia Renzi, quella di quinta che è
già stata bocciata quattro volte. E non è tutto:
quando dice alle femmine che siamo meglio dei maschi, analoga
cosa la dice ai maschi quando noi non siamo presenti. Non ci
si può fidare. È una serpe”.
“Prof, ma lei non era anarchico e anticlericale”?
“O, sentite un po', state facendo uno dei soliti
giochini per non fare lezione: piantiamola di menare il can
per l'aia e cominciamo”.
“Va bene prof, ma a Milano, alla fine, ci porta o non
ci porta?”
“Vi ci posso anche portare, ma solo quattro, è
ovvio, perché in macchina i posti quelli sono. Alle due
ci troviamo davanti a scuola. Aspetto cinque minuti e vado via.
Chi deve venire lo decidete voi. E sia chiaro, a Milano si fa
il giro che avevo già deciso di fare: libreria, redazione
delle Rivista anarchica, Statale, visita a una chiesa.
“O, l'avete sentito? va anche in chiesa”, disse
Chiara, “o non era ateo, anticlericale e anarchico?”
“Chiara, zitta lì. E ora basta, perché oggi
la lezione è frontale: parlo io e voi ascoltate e prendete
appunti, come al solito. Finché non vi deciderete a fare
la Rivoluzione. E ho detto Rivoluzione, con la R maiuscola,
non un casino della madonna”.
Alle due erano lì in quattro ragazze: Marzia, Chiara,
Erica 1 e Daniela. Dissero che per la scelta avevano proceduto
a sorteggio e che erano “uscite” loro ed io dissi
che sì, come no, ci credevo senza batter ciglio. La realtà
era stata un'altra: avevano diviso in gruppi di quattro
quelli che volevano fare questo giro con me e avevano deciso
“democraticamente” che il primo gruppo era il loro;
gli altri gruppi stavano a significare che io, per non fare
ingiustizie, avrei dovuto tornare a Milano fino a che tutti
non fossero stati accontentati. Ecco, mi dissi, tu pensi di
essere molto furbo e loro ti fregano sempre.
Andammo
in macchina fino a Molino Dorino. Poi linea rossa della metropolitana.
Facemmo una rapida visita alla sede della FAI, in Viale Monza,
quindi alla redazione di “A” rivista anarchica.
Ci trovammo il “redattore principale” ed altre e
altri. Un ambiente pieno all'inverosimile di carte, libri,
faldoni di documenti e computer. Atmosfera tranquilla e gentile.
Evidente la curiosità di queste ragazze che non erano
mai entrate in una sede anarchica e che qui come a viale Monza
si erano trovate in un ambiente che non corrispondeva affatto
al loro immaginario.
Più d'una volta io avevo fatto lezione sugli anarchici,
sia dal punto di vista storico che riguardo all'attualità,
spiegando che l'anarchismo era molte cose, ma non l'individuo
losco col coltello fra i denti. Ma, si sa, un'immagine e
alcune frasi demenziali buttate lì in un telegiornale
la vincono facilmente su una lezione in un'aula scolastica,
fosse anche la migliore delle lezioni possibili.
Una cosa importante
Nella redazione di “A”, fra le loro curiosità e le risposte chiare, gentili e a volte ironiche dei presenti, si ebbe la sensazione di una sorpresa, da parte delle ragazze; di aver colto cioè qualche cosa di importante e diverso da quel che erano l'ordinaria quotidianità ed i luoghi comuni presi per veri. Furono pochi momenti, ma sono certo che ebbero un seguito, che entrarono nella crescita e nella vita di quelle mie studentesse, non come una grande cosa, ma certo come una cosa importante.
Al ritorno scendemmo a San Babila e andammo a piedi fino in piazza del Duomo. Da un ragazzo nero che li vendeva, comprarono ciascuna un cappello rosso natalizio con le lucine. Mi sentivo ridicolo a camminare accanto a loro che lampeggiavano, e orgoglioso allo stesso tempo; più che altro mi sentivo bene, leggero. Parlavano in continuazione e in continuazione mi chiamavano in causa disposte ad ascoltare spiegazioni su ogni cosa, e pronte ad alleggerire con i loro interventi, le loro battute e le loro risate.
Una era a scuola molto brava e sveglia, una faceva un po' fatica ma era appassionata di storia e soprattutto di storia delle donne; una, anche lei con qualche difficoltà scolastica, era ragazza dolcissima e serena; la quarta, apparentemente sempre quieta, non riusciva ad aprir bocca senza fare dell'ironia: insomma un bel gruppo che in qualche misura improntava di sé l'intera classe e averle così tutte in una volta, a fianco, in giro per Milano, dava una bella sensazione.
Le portai alla Statale. Era già buio. Girammo per i cortili e per qualche aula aperta. C'erano ancora degli studenti, isolati o a gruppetti. Andammo in biblioteca. Anche qui c'era un po' di gente. E silenzio, ma non assoluto. Qualche mormorio. Luci soffuse nei cortili, con un refolo della nebbia di Milano. Uscimmo dalla Statale e andammo in una chiesa lì nei pressi, deserta, dove c'erano non poche cose interessanti dal punto di vista della storia dell'arte. Parlai io, dando un po' di spiegazioni, a loro che di storia dell'arte erano praticamente digiune. Tornammo fuori e girammo per le vie del centro, a guardare negozi, a camminare a caso. Mangiammo insieme un panino seduti a un bar e tornammo in tarda serata.
La mia scuola in particolare, e la mia idea di scuola pubblica, erano fatte anche di queste cose, e credo che non fosse affatto male.
Rino Ermini
|