rivista anarchica
anno 48 n. 427
estate 2018





Perché sono contronatura
(e felice di esserlo)

Su un palco politico di Brescia, il neoministro degli interni ha recentemente dichiarato, riferendosi alle donne e alle loro battaglie: «O sei femminista o metti il burqa. Magari qualcuna starebbe meglio col burqa». Alle sue spalle, sullo stesso palco, due donne giovani, simmetricamente una bionda e una bruna, ridevano con autentico divertimento, nella grottesca celebrazione di una rozzezza culturale che un tempo ci si sarebbe vergognati di assecondare.
Mentre la raffinata valutazione sociologica scatenava l'ilarità generale, Brescia era menzionata anche nelle pagine di cronaca per il sospetto femminicidio di una ventinovenne marocchina, scomparsa dopo ripetute minacce e vessazioni dell'ex-marito. Che gli ex-coniugi siano “stranieri” non ha rilevanza alcuna.
A prescindere da ogni considerazione accessoria, il femminicidio è un delitto, e se verificato, esso resta una dimostrazione ineludibile di due cose. La prima è che esiste una relazione sbagliata col femminile della quale è responsabile la stessa cultura che declina come uniche alternative possibili il femminismo o il burqa, e che tangenzialmente è sostenuta oggi da un politico di rilievo, non in privato ma al microfono e su un palco. La seconda è che appare tragicamente difficile, ancora oggi, qui (in un paese occidentale che si pone come culturalmente avanzato) e ora (all'alba di un nuovo millennio), pensare alla donna come una creatura senziente, indipendente, libera come dovrebbero essere tutti gli umani. Questa libertà implica la possibilità di esprimere le proprie opinioni come quella di vestirsi come si preferisce, nel rispetto della libertà degli altri.
Nella distribuzione di perle di saggezza che si sta rivelando il “governo del cambiamento”, quel che più mi colpisce è lo sdoganamento della barbarie, finalmente autorizzata a mostrarsi per quello che è. Forse è sempre stato così, in Italia.
Trovo condivisibile l'opinione di chi non rileva differenze tra la considerazione della donna nella nostra tradizione (autoctona e occidentale) e la posizione che si sta definendo negli alfieri dell'ordine nuovo. L'obiezione che mi permetterei di sollevare riguarda la serenità con cui vengono esibiti e sostenuti esplicitamente comportamenti restrittivi e forme di schiavismo che un tempo si tenevano nascosti, e dei quali ci si vergognava, perché essi rivelavano una cultura retriva e poco evoluta.

L'inutilità del femminismo?

Non cambia la sostanza, certo.
Quel che accade però oggi è che si arriva serenamente a sdoganare la barbarie proponendola come una forma di civiltà. Ed essa viene sdoganata a prescindere dalla credibilità di chi proclama l'inutilità del femminismo, l'innaturalità delle famiglie arcobaleno o l'irrilevanza della libertà individuale. I principi sono principi, e sembrano occupare uno spazio astratto, tra cielo e terra, ben lontano dalla pratica di vita di chi li sostiene e che su di essi edifica la sua figura come statista. E mi colpisce che questa forma di scorrettezza sia ecumenicamente distribuita tra uomini e donne, così come – e in modo consolante – lo è anche la capacità di ammettere che viviamo in una cultura poco equa nei confronti delle donne.
La prima volta che ho assunto una posizione decisa in un organo istituzionale popolato in ugual misura da uomini e da donne, è stata subito messa in giro la voce che fossi lesbica. L'innaturalità della mia presa di posizione come donna è stata abbinata a quella che benpensanti di entrambi i sessi bollano come una deviazione dalle leggi di natura, nello stesso modo in cui il nostro ministro della famiglia e disabilità ha definito “schifezze” le famiglie arcobaleno, lo scorso anno quand'era europarlamentare della Lega.
Ora, la bambina più felice che conosco ha due mamme, quella più serena e più bella ha due mamme, e il bambino più sveglio e sensibile che conosco ha due mamme.Probabilmente è vero: anche se non omosessuale, sono contronatura. E felice di esserlo.

Nicoletta Vallorani