politica
Ma quale “volontà popolare”?
di Andrea Papi
Se ne parla continuamente. Tutti dicono di operare in suo nome. È la foglia di fico perfetta per coprire le malefatte del potere.
Nelle ore convulse seguite alle elezioni politiche italiane del 4 marzo scorso, in particolare da quando ha preso avvio il tentativo di definire insieme un contratto governativo da parte del Movimento 5 Stelle e della Lega, siamo stati bombardati dall'ossessione della “volontà popolare”, quasi un mantra assillante, un vero tormentone.
Ogni forza politica in campo, da quelle che si sentivano vittoriose a quelle che erano state bastonate dal responso delle urne, l'ha invocata e continua a invocarla a gran voce. In modi più o meno espliciti, tutti si propongono suoi veri interpreti. Continuiamo a subire l'uso di concetti e parole dall'impatto efficace che ammiccano accattivanti, quando invece nascondono ipocrisie e inganni consapevolmente propinati con grande dovizia.
Ma cos'è la tanto invocata “volontà popolare”? Nella realtà del fare politicante è un alibi che serve a coprire sia le nefandezze del comando, sia il bisogno di comandare da parte di chi riesce a imporsi. Tanto invocato e decantato dai manovratori della cosa pubblica, il popolo è talmente appellato e abusato che se ne sono annullate le possibilità di senso. Laddove dovrebbe essere l'insieme delle persone che compongono una nazione, i cittadini sotto l'egida di uno stato secondo la vulgata in auge, è invece stato ridotto di fatto a una massa indifferenziata impossibile da definire e identificare con sensatezza. Mentre dovrebbe dare “substantia” alle scelte del potere supremo, ormai è tutto e nulla allo stesso tempo, cioè niente.
I componenti di un territorio, assemblati e regolamentati da una specifica entità statale, in qualche modo dovrebbero appunto corrispondere a un “popolo”. Purtroppo per chi li invoca, non sono affatto un'entità fissa, ma un insieme estremamente fluttuante. Sono individui ognuno con una propria storia e una propria rappresentazione della realtà, soprattutto esigono il riconoscimento della dignità personale. Accorpare in un unico assembramento teorico astratto una presunta “volontà” di tutti non può che essere una semplificazione estremamente pericolosa, fuori dalla realtà perché non è corrispondente al vero che tutti vogliano la stessa cosa.
Ci possono senz'altro essere delle scelte comunemente condivise
da un certo numero di persone, sempre riferite però a
situazioni specifiche e in genere momentanee. Interpretarla
ed evocarla come risultato di una lizza elettorale, dove solo
una parte dei potenziali elettori ha espresso opzioni diverse,
non può che essere un inganno verbale particolarmente
arrogante.
Tendenze e volontà imperative
Il governo legapentastellato che ha preso corpo e si è
insediato non può essere in alcun modo la concretizzazione
di una supposta “volontà popolare”, come
vorrebbero gabellarci, mentre è l'azione congiunta e
concordata di politicanti che sono abilmente riusciti a estorcere
un consenso popolare per essere eletti. Siccome per legge non
sono tenuti ad attenersi ad alcun mandato neanche blando, si
sono fra l'altro accordati per imporre il proprio congiunto
diktat di governo contraddicendo una gran parte degli assunti
propagandati in campagna elettorale, durante la quale a parole
se ne son date reciprocamente “di santa ragione”,
illudendo elettori e osservatori vari che non avevano nessuna
possibilità di mettersi insieme per incompatibilità
congenita. Al contrario poi... Miracoli del politicantismo in
auge e della convenienza delle “poltrone”, ora tanto
ambite prima disprezzate. Come sottolineato da Sabino Cassese,
si tratta di un “contratto tra i due migliori perdenti,
che insieme non fanno la maggioranza degli elettori”.
Vera grande abilità di questi imbonitori è l'uso
del linguaggio. Si son riempiti la bocca con frasi ad effetto
come “il governo del cambiamento”, “fare le
cose”, “risolvere i problemi”. Sul fronte
spiccatamente di destra sono pure rispuntati dei novelli “patrioti”,
il cui compito primario autoassegnatosi sembra sia quello di
far sì che in ogni situazione ci siano “prima gli
italiani”, slogan in auge che tanto sembra piacere anche
all'establishment governativo appena insediatosi. Un linguaggio
che tradisce tendenze e volontà imperative poco rassicuranti.
Se fossero il risultato di uno straccio di visione politica,
in questi circa ottanta giorni di continue estenuanti trattative
non avrebbero dichiarato tutto e il contrario di tutto, con
grande faccia tosta affermando cose che il giorno dopo venivano
bellamente smentite e il giorno dopo ancora riprese come se
niente fosse.
Sul contratto tra Lega e 5stelle
Ma che significano queste frasi imbevute di ambiguità?
Il “cambiamento” non è categoria neutra,
che abbia valore in sé, benefico in quanto tale. Certo,
sono riusciti a cogliere uno stato d'animo grandemente diffuso,
per cui siamo tutti stanchi dell'inconcludenza dei vari politicanti
che si sono succeduti in questi decenni per ritrovarci sempre
allo stesso punto di inefficienza e di sistematiche vessazioni
burocratiche, di corruzioni, ingerenze mafiose e via di questo
passo.
Ma
nella loro propaganda elettorale hanno caricato di aspettative
una parte consistente di gente promettendo che miglioreranno
le condizioni di vita con ricette miracolose per ogni male.
A ben guardare, in verità non hanno mai messo in discussione
la sostanza del sistema, solo il modo di amministrarlo. Il cambiamento
di cui si avrebbe veramente bisogno va ben oltre l'efficienza
amministrativa che, se veramente migliorata, forse ci illuderebbe
di essere un po' più accettabile. Le lacerazioni che
ci fanno soffrire sono in realtà ben più potenti
e più profonde dei mali endemici del “sistema Italia”,
perché derivano dal “sistema nervoso” e dal
“metabolismo” delle strutture su cui si sorregge
il fluido impianto del dominio globale vigente. Non si può
governare per un cambiamento significativo gestendo dall'interno
l'esistente dentro questo sistema di cose.
Quando Di Maio dichiara con enfasi comiziante «Lo stato
ora siamo noi!», forse non si rende conto che afferma
qualcosa allo stesso tempo grave e irreale. Grave perché
come tutti i potenti vogliono dare a intendere, o per ingenuità
o per falsità, che nel momento in cui lo possiedono il
potere smette di essere “cattivo”. Con loro diventerebbe
addirittura “buono”. Irreale perché, al di
là di ogni illusione identificativa, lo stato è
una struttura che s'impone dominando su chi gli è sottoposto.
Può essere benigno o terribile, a seconda di chi ne dirige
le leve, ma è sempre un'entità ben distinta dal
resto della società, che non può essere identificata
con i suoi cittadini, o sudditi che dir si voglia, perché
ne sono subalterni. Anche se pronunciata con intenti differenti,
è un'affermazione che assomiglia troppo alla famosissima
“L'état, c'est moi!” (lo stato sono io) attribuita
al re Sole, che esprimeva l'assolutismo monarchico.
Che cosa significa “noi facciamo le cose che vanno fatte”,
come se si trattasse di qualcosa di oggettivo? Le cose che si
“devono” fare sono sempre quelle che si decidono
fra altre, in genere seguendo criteri legati a scelte che esprimono
intendimenti, distinzioni, valutazioni. I migranti vanno cacciati
o no? È legittimo essere armati per difendersi nel caso
si sia aggrediti o rapinati? L'inceneritore va costruito oppure
si impiantano altri sistemi di smaltimento? Gli esempi sarebbero
tantissimi, ma in ogni campo in cui ci si muove ci si rende
conto che il proprio operare non è mai neutro o equidistante,
mentre è sempre la risultante di impostazioni culturali,
di modi di pensare, di scelte di campo.
Oppure ancora che cosa vuol dire “noi risolveremo i problemi”?
Una compagine che promette, con cipiglio sicuro, una cosa simile
o mente sapendo di mentire o è inconsapevole. Se risolvere
vuol significare trovare la soluzione per cui ciò che
ti affligge scompare e non ti farà più soffrire,
come penso sia stato recepito, allora i problemi cui si riferiscono
non potranno essere risolti in quanto endemici al sistema.
Ma una società altra bisogna volerla
Anche quando si riuscisse ad alleviarne singolarmente gli effetti,
a far si che non si amplifichino permettendo di affrontarli
in modo sostenibile, essi non scomparirebbero. Le disuguaglianze
continueranno ad aumentare e a pesare molto sulle relazioni
sociali, determinando sistematiche ingiustizie e iniquità.
I debiti che il dispotismo finanziario ci rifila continueranno
a incombere sulle nostre vite, perché sono il sale di
cui si nutre la forma attuale del dominio per sottometterci.
Le proposte emergenti dal “contratto” legapentastellato
di aumentare le carceri e le forze di polizia, di indurire le
pene carcerarie, di fare un brutale repulisti degli immigrati
che il loro stato di polizia considera clandestini, come pure
di volere gli asili nido gratis solo per gli italiani, evidenziano
una voglia di inasprimento securitario, sostenuto da una boria
sovranista e una protervia repressiva che coccolano e rassicurano
solo le tensioni xenofobe e le spinte autoritarie.
Volendo continuare ad apparire “sinceri democratici”,
come continuano a dichiarare, presumo che difficilmente riusciranno
ad applicare alla lettera una filosofia così illiberale
come quella proclamata. Non certo per mancanza di volontà,
ma perché incapperanno nolenti in intoppi e impreviste
impossibilità pragmatiche. Al di là di ogni ipocrita
parvenza, purtroppo la loro impostazione trasuda spinte dittatoriali
mascherate da formalismi democraticistici, alla Putin alla Erdogan
o alla Orban per intenderci, e tradisce una voglia di recrudescenza
autoritaria che non fa sperare nulla di buono. È un ribaltamento
delle pulsioni e delle dinamiche, sia psicologiche sia sociali,
che per esempio avevano al contrario contraddistinto le spinte
del sessantottismo di mezzo secolo fa, quando una “giovanile
pancia” collettiva richiedeva di ribaltare il mondo attraverso
spazi di libertà vissuta e esperienze non convenzionali
all'insegna della creatività.
Il popolo, la patria, solo parole
Il loro linguaggio così controverso e ambiguo per tanti
versi rimanda alla nota “neolingua” di orwelliana
memoria, dove si esaltava la guerra come espressione di pace,
la schiavitù come formulazione di libertà e l'ignoranza
come evidenza della forza. Dietro ci sono intenti che ben poco
hanno a che fare con idealità non solo libertarie, ma
anche liberali e democratiche, almeno nel senso autentico che
questi concetti dovrebbero esprimere.
È la stessa falsa idea di libertà che sembrano rivendicare che invero è contro il principio di libertà. Per esempio quando Salvini la propugna come voglia di liberazione dalla Germania intesa come Merkel. Tedesco od italo, se va padrone, il sangue nostro deve succhiar. La patria libera è un'irrisione se pure il basto ci fan portar, recita con convinzione una vecchia canzone anarchica. La validità di queste parole è chiarissima. Non basta liberarsi di un padrone, si sarà veramente liberi quando non ci saranno più padroni, neanche soprattutto quelli “amici”.
Solo un salto di dimensioni cosmiche in una società altra potrà cominciare a risolvere veramente i problemi che oggi ci opprimono. Purtroppo per tutti noi, una società altra bisogna volerla. E nel clima generale sociale che si sta determinando, di cui chi ha votato questi signori dando consenso al loro potere è senz'altro una parte consistente, non solo non la vuole, ma ne prova ripugnanza. La tendenza che oggi sembra continuamente affiorare è quella di essere governati da personalità percepite come forti, nella speranza di trovarsi alleviati nelle proprie “irrinunciabili” sofferenze. In questo contesto culturale il popolo, la patria, non sono spendibili se non per inseguire logiche liberticide, in nome di spinte dispotico-autoritarie.
Così l'esercizio del politicantismo, che si esprime quasi esclusivamente in una folle rincorsa all'egemonia governativa a tutti costi, è sempre di più pura lotta di potere. Fra l'altro, paradossalmente di un potere che è sempre meno tale, sempre di più condizionato dai poteri globali delle lobby finanziarie, delle multinazionali, degli accordi militaristi che ci sovrastano.
Così il popolo, la patria, sempre di più sono solo parole. Fluiscono per voler dire tutto e non riescono a trasmettere ormai più niente, se non vuoti concetti e grandi confusioni.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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