Quella stupidità gratuita e urlante
C'è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di funzionare come comunità.
Nella vita quotidiana, quella che conducono le persone abituate a considerarsi “normali”, si registra una deriva violenta e prevaricatrice che credo abbia pochissimi precedenti nella nostra storia. Essa risulta dalla convinzione – consolidata da strumenti di comunicazione farlocchi ma considerati affidabili – di essere persone documentate, straordinariamente intelligenti e pertanto capaci di esprimere un parere autorevole e di agire di conseguenza. Spesso l'operazione è tuttavia rovesciata: prima si agisce – in modo preferibilmente violento, contro avversari che si sanno più deboli – e poi, caso mai, si elabora verbalmente una teoria.
La teoria è ideologia nel senso proprio del termine, culturalista: essa serve da giustificazione teorica (spesso con diversi malfunzionamenti interni) del potere di chi lo detiene. Un po' somiglia a quel che scriveva Vonnegut anni fa, in Cat's Cradle, quando faceva dichiarare a uno dei suoi personaggi che le elezioni per eleggere un presidente sono una pratica inutile e primitiva: prima si decide chi sarà presidente, e poi, caso mai, si fanno le elezioni.
La questione della donna rom accusata di tentato borseggio in treno e pertanto malmenata sotto gli occhi della figlia bambina non è solo imbarazzante in se stessa (e, attenzione, non sto esprimendo parere alcuno sulla colpevolezza della donna, e neanche descrivendola come una benefattrice dell'umanità): soprattutto, la vicenda e quel che ne è seguito, dimostra che non ci stiamo fermando a pensare a quel che facciamo.
Saltiamo nel fiume della rabbia diffusa, della stupidità gratuita e urlante, dell'etica del piatto di pasta Barilla che ci rende tutti uguali e con questo unico gesto deroghiamo alla nostra capacità di pensiero per “appartenere” a un gregge che pensiero non ne ha, neanche collettivo. Non riesco a spiegare altrimenti gli abusi successivi subiti da una passeggera dello stesso treno, che aveva appunto assistito sia al tentato borseggio che al pestaggio successivo: tutte donne, le protagoniste di questa storia: lo avete notato? La passeggera in questione ha avuto il torto di pensare con la sua testa ed esprimere un pensiero “divergente”. Per quel che ritengo, la miccia dell'aggressività nei suoi confronti è stata solo in parte la sua decisione di provare a difendere le ragioni di una donna di etnia diversa, palesemente colpevole, e che tuttavia veniva punita in modo ingiusto e soprattutto con una spettacolarizzazione indegna.
No, io non credo che sia stato solo questo il punto. Penso che il vulnus principale della passeggera poi fatta a pezzi verbalmente sia nella realtà che sui social sia stato quello di esprimere una forma di autonomia di pensiero. Si è mostrata libera, cioè, e ha risposto a una sua personale convinzione, io credo sapendo bene che sarebbe stata letteralmente macellata dalle aggressioni verbali e in parte anche fisica di altri.
Allora il punto è questo: è una comunità giusta quella in cui una donna – soggetto debole come tanti altri – scenda da un treno e si avvii verso casa, spaventata e piangente, perché ha osato dire quel che pensava? È una società giusta quella che si rifiuta di comprendere che forse sarebbe meglio capire le ragioni delle cose invece di distruggere le cose stesse?
Facciamo cose strane e per lo più facciamo finta – gli uomini grandi e grossi soprattutto, ma anche certe signore – di essere quello che non siamo. È curioso che ci piaccia – in questo preciso momento storico – somigliare di più ad animali (senza offesa per i medesimi) che a creature raziocinanti. Ma tant'è. Di nuovo con Vonnegut, però, bisogna che teniamo a mente soprattutto una cosa: siamo quello che fingiamo di essere, dunque è meglio che stiamo attenti a quello che fingiamo di essere.
Nicoletta Vallorani
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