Rivista Anarchica Online
Dopo la mafia il P. M.
di R. D. L.
Si è conclusa con un rinvio a giudizio per tentato omicidio, l'istruttoria contro l'anarchico Rocco
Palamara, colpevole di essersi difeso da un'aggressione mafiosa.
Africo Nuovo Nella provincia di Reggio
Calabria venendo da Locri verso Melito, lungo la statale 106, si incontra Africo
Nuovo. La prima cosa che colpisce sono gli abitanti seduti od appoggiati ai muri delle case, la
componente
principale dell'economia del sud è anche qui presente: la disoccupazione. In media gli abitanti
di Africo Nuovo riescono a lavorare 120 giorni all'anno come braccianti della
compagnia forestale. Per gli altri 200 giorni di disoccupazione percepiscono un assegno di L.46.000.
Un quarto degli abitanti (Africo Nuovo ne conta 3500) emigra al nord, un po' per disperazione e
un po'
perché convinta dalla pubblicità che promette case e lavoro per tutti. Africo Nuovo
nasce nel 1951, dopo un'alluvione che distrusse Africo allora situato in una zona impervia
e priva di comunicazioni dell'Aspromonte; la miseria a quell'epoca (difficile riuscire ad immaginarselo)
era ancora peggiore di quella odierna. L'alluvione distrusse l'unico bene che gli africesi avevano: la
casa. Si ricostruì il paese in una zona più
accessibile, le case erano tutte di legno e tra gli scampati al disastro si rafforzò un legame
comunitario che
diede vita ad un embrione di comunismo libertario: stessa casa, stesso tenore di vita, ecc... Da questa
esperienza singolare nascono nel popolo di Africo Nuovo le tradizioni comuniste libertarie
accompagnate da una forte combattività politica.
La scalata al potere del prete mafioso Frattanto comincia a sorgere
la potenza di Giovanni Stilo, nonostante l'ostilità del popolo che comprende
come si stia instaurando una oligarchia mafiosa per lo sfruttamento del paese. Giovanni Stilo
è un africese divenuto parroco nel periodo fascista per l'appoggio di alcuni gerarchi. Nel
dopoguerra si impossessa dei contributi della POA. Nel '51 si impossessa dei fondi per gli alluvionati.
In
seguito alla riforma agraria forma una cooperativa agricola e riesce ad ottenere contributi per 12 milioni
(da scontarsi in 30 anni) per comprare due appezzamenti: Sellaro e Rizzo. Rivende subito Sellaro
ricavando 12 milioni e distribuisce le terre di Rizzo ad alcuni suoi scagnozzi frodando i contadini membri
effettivi della cooperativa. Più tardi propone una cooperativa di pastori, anche in questo caso
beccandosi
i contributi e mantenendo solo sulla carta la cooperativa. Nel 1956 prende il potere effettivo ad Africo
facendo eleggere sindaco il fratello Salvatore. Nel giro di pochi anni il prete diventa una vera potenza,
non solo per Africo, ma per zone molto lontane arrivando ad allacciare relazioni anche con ambienti
politici di Roma. Costruisce in breve lasso di tempo un grandioso edificio dove ospita la scuola
elementare, la media, gli
istituti magistrali, il liceo scientifico e inoltre un collegio amministrato dalle suore. Egli è il preside
onorario di tanto tempio della cultura. Da ogni parte della Calabria, e anche fuori della Calabria,
giungono nel periodo degli esami, maturi
signori per realizzare una loro ambizione intellettuale, tornandosene a casa con un diploma e lasciando
ad Africo 200.000 lire. Ciò dimostra che il prete Stilo, contrariamente a quanto si dice, è
sensibile alle
esigenze della cultura ed egli nel suo grande cuore vorrebbe vedere tutte le sue pecorelle diplomate. Certo
c'è anche l'interesse economico, ma cosa sono pochi milioni di lire di fronte ad un'opera di bene?
Gli
alunni interni di queste scuole versano 36.000 lire al trimestre compresi i mesi estivi. Tra tutti questi
diplomi elargiti con munificenza il buon preside ne ha rilasciato nel 65 uno veramente falso finendo in
tribunale. L'ambiente del tribunale dev'essere piaciuto a Giovanni Stilo se è vero che da allora
datano le
sue amicizie ed i suoi incontri con carcerati e delinquenti mafiosi. Per completare questo breve ed
incompleto (incompleto si badi bene) curriculum del nostro signorotto ricordiamo la sua amicizia e
"comparanza" con il ministro della Pubblica Istruzione Misasi. Sono le esigenze della cultura!
Il circolo dei sovversivi In questo clima nasce il circolo giovanile "Che
Guevara" uno dei fondatori ed il principale animatore del
circolo è l'anarchico Rocco Palamara, muratore. L'attività del circolo si limita,
inizialmente, allo studio
di testi anarchici e marxisti (le due tendenze politiche dei membri del circolo. In questo periodo
l'amministrazione comunale è composta da elementi apolitici appoggiata dalla mafia di Don Stilo.
Il
circolo cerca di organizzare uno sciopero per protestare contro la lentezza degli organi competenti che
non provvedevano a risolvere il problema urgente dell'acquedotto. Don Stilo ha considerato questa
iniziativa una intromissione nei suoi poteri ed ha sguinzagliato i suoi sgherri in una rappresaglia contro
il circolo, facendolo bruciare.
Gli attentati mafiosi e l'arresto dei Palamara Dopo questo attacco ne
seguiva un altro diretto contro il compagno Rocco Palamara, contro il quale in
due occasioni (la seconda in pieno centro cittadino) venivano sparati numerosi colpi d'arma da fuoco che
ferivano sia il compagno Rocco che suo cugino (cfr. A1 e A4). Palamara si difende, risponde alle
rivoltellate e mette in fuga i mafiosi. Qualche giorno dopo viene arrestato assieme al fratello ed al cugino.
Sono passati undici mesi e Rocco Palamara, suo fratello e suo cugino sono ancora in carcere
colpevoli
di essersi opposti allo strapotere della mafia e colpevoli di non essere morti in seguito agli attentati orditi
contro di loro. Il compagno Palamara non è stato intimorito da queste azioni contro di lui,
né l'ingiusta carcerazione ha
fiaccato il suo spirito combattivo. In due lettere inviateci egli ci mette al corrente delle ultime fasi del suo
caso: "Qualche giorno fa è stata conclusa l'istruttoria relativa al mio caso. Il risultato è
quantomai
grottesco ed incredibile, ancora peggio delle mie pur pessime previsioni: oltre a me (che per difendermi
ho ferito due dei tre mafiosi che ci hanno assalito a casa mia, dopo che sotto i loro colpi era già
caduto
mio cugino) sono rinviati a giudizio per tentato omicidio e rissa anche mio fratello e mio cugino,
ambedue
minorenni, perché, secondo l'accusa: "... pur non avendo preso parte alla sparatoria, hanno
partecipato
con la presenza a rafforzare la volontà omicida dello sparatore". A nulla sono valse le
testimonianze che
precisano come i tre assalitori siano venuti di corsa a casa mia e ci abbiano assalito in seguito ad una
decisione presa (insieme con altri) a 200 metri di distanza! A nulla sono valse le testimonianze affermanti
che mio fratello, al momento del fatto, era in altro posto, lontano da casa mia! A nulla sono valse la
deposizione e le indagini dei carabinieri locali nelle quali è confermato il nucleo essenziale della
mia
deposizione! Per niente è stato tenuto in considerazione che sono stato io, di mia spontanea
volontà, a
denunciare i fatti! Né è stata tenuta in considerazione la nostra buona condotta, mentre,
per farsi un'idea
di quella dei nostri avversari, basterebbe citare l'accaduto di un mattino, un mese dopo i fatti in questione,
quando nel centro abitato di Africo uno dei mafiosi attentò alla mia vita esplodendomi alle spalle
numerosi colpi di pistola ai quali sfuggii per miracolo. Attentato, badate, che potrebbe essere stato deciso
dal Gran Consiglio degli "Uomini d'onore" della mafia locale". La lettera termina quindi: "Cari
compagni, come ricorderete ai giudici di Catanzaro bastò un semplice
confronto per liberare i quattro fascisti, fermati per la strage, sui quali gravavano gravi indizi e che tra
l'altro si erano messi già in contraddizione. Nel nostro caso, invece, vedete, i giudici preferiscono
non
credere ai testimoni, preferendo dar credito alle accuse dei nostri avversari. Comunque questa non
è una
regola dovuta al pessimismo dei giudici di Locri, perché alle mie accuse nei confronti del prete
Stilo (che
non sono le prime) non è seguito alcun provvedimento giudiziario ai danni del medesimo. Vedete
bene,
dunque, che, almeno da queste parti, gli anti-mafiosi sono posti di fronte ad un bivio infernale: o cadere
vittime dei mafiosi o marcire in galera vittime della "giustizia". Ormai per me e i miei fratelli non ci
sarà
voce in capitolo se non al processo, che potrà essere fatto anche dopo che ci saremo buscati due
anni di
carcere preventivo. Ma ho una preghiera da rivolgere a tutti i compagni: diffondete questa verità
affinché
tutti gli operai sappiano quale categoria di uomini e con quali rischi conduce la vera lotta
anti-mafia".
Marcire in galera Nella seconda lettera (la quarta da quando è
in carcere) il compagno Palamara ci comunica: "Questa volta vi informo che per il prossimo ruolo
dei processi la nostra causa non c'è e quindi, per noi,
vuol dire attendere ancora più di un altro anno la celebrazione del processo, tempo che,
naturalmente,
dobbiamo trascorrere in carcere. Le cose si aggravano dunque! La presente situazione è di
conseguenza
una tragedia per gente innocente come noi. Ma a parte la mia assurda situazione, che mi sto buscando
due anni di carcere per essermi difeso a casa mia, la tragedia è doppiamente grottesca per i miei
fratelli,
(un fratello e un cugino che dovranno anche essi restare in carcere giacché malgrado la loro
età - uno 17
e uno 18 anni - sono stati anche loro incriminati di tentato omicidio solamente perché accusati
di essere
stati presenti alla sparatoria). Ora ammesso per assurdo che i testimoni abbiano preso un granchio e che
quindi non è vero, come loro affermano che mio fratello era in un altro posto e che sono stati
i mafiosi
ad assalirci e sparare per primi, è lecito incriminare di tentato omicidio, e tenere in carcere per
due anni
in attesa di giudizio, due minorenni per semplice sospetto di essere stati presenti a un fatto svoltosi
proprio
sul davanzale di casa loro? I miei fratelli essendo studenti hanno già perso un anno di scuola e
adesso ne
dovranno perdere altri due in attesa che la corte ritorni a novembre/dicembre prossimo. Sì,
è triste veder
marcire in questi luoghi i propri fratelli, per un movente così assurdo e non poter fare niente per
loro; e
fà rabbia pensare che tutto questo accade in uno stato dove ipocritamente si dice che "la
sovranità
appartiene al popolo". Approfitto adesso per accennarvi alcune gesta di uno degli "eroi" più in
vista di
questa storia: il pubblico ministero. Questo personaggio merita un posto di primo piano in questa
faccenda. È stato lui infatti a chiedere il rinvio a giudizio per tentato omicidio per i miei fratelli.
E ancora:
per quanto vi sembrerà incredibile, questo tipo nella sua assurda requisitoria ci nega persino il
movente
politico dei fatti: con un balzo acrobatico, scavalcando l'incendio del circolo, i precedenti della sera dei
fatti e tutte le testimonianze, arriva per incanto a concludere che "i fatti si devono a delinquenza
comune".
Per arrivare a questo il P.M. non ha esitato a ricorrere alle calunnie: oltre che ad inventarsi di sana pianta
alcuni "fatti" mi attribuisce persino "dichiarazioni" che non ho mai fatto. Come posso dimostrare dai
verbali dell'interrogatorio. Il giorno che potrò farlo però, cioè al processo, mi
sarò già buscato con i miei
fratelli due anni di carcere mentre il P.M. potrà sempre dire che è stata una
"svista". Per il processo ancora due anni dunque! Ma le cose andranno ancora peggio e gli anni
saranno due o più
e per me non sarà una sorpresa: sono preparato ad aspettarmi di tutto. Ma sia ben chiaro: tutta
questa
rabbia che ci fanno accumulare un giorno scoppierà e allora non saremo solo noi a soffrire.
Diranno in
molti: "Rivoluzione!".
R. D. L.
Al momento di andare in macchina apprendiamo che Rocco
Palamara è evaso dal carcere di
Locri. Reparti di carabinieri stanno battendo furiosamente le montagne dell'Aspromonte. Lo
stato-mafia non vuole rinunciare alla sua vittima.
Coraggio Rocco! Viva la libertà. In questo spazio
doveva esserci la foto di Palamara che non pubblichiamo per non rischiare di
dare un sia pur minimo aiuto agli sbirri. |
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