rivista anarchica
anno 33 n. 288
marzo 2003


lettere

 

Rizzi mi disse...

Cari compagni,
sul n. 286 di A, leggo fra gli altri, due articoli trattanti la questione palestinese e la recente pubblicazione de “La burocratizzazione del mondo” di Bruno Rizzi sui quali vorrei intervenire.
Da tempo nella sinistra, compresa l’area libertaria, la questione israelo-palestinese, a poco a poco, riducendone e fuorviandone l’importanza, ha soppiantato la questione primaria da cui deriva, la israelo-araba.
Questa sostituzione di priorità porta da tempo a trascurare, se non ad ignorare del tutto, la causa fondamentale per cui, da cinquant’anni, quella zona medio-orientale è soggetta ad una sanguinosa conflittualità: il non diritto di esistere dello stato di Israele proclamato dal mondo arabo e islamico e, da allora, portato avanti con più aggressioni militari fallite seguite da politiche ambigue affiancate da uno spietato terrorismo.
Se veramente si vogliono aiutare i palestinesi – non bisogna dimenticare che furono gli Stati arabi elettisi a loro tutori ad impedire ai palestinesi, financo con le minacce, che proclamassero il proprio Stato (come invece fecero gli ebrei attenendosi, questi ultimi, alla storica decisione delle N.U. del 1947) per di più strumentalizzandoli, da allora, ai propri disegni politici, economici e religiosi – è prima necessario che il mondo arabo e islamico accetti il diritto di esistere di Israele, vera chiave di volta per risolvere i problemi del posto, senza astuzie levantine di sorta e solidamente garantito dall’Onu e CE. Solamente così ci si avvierà anche alla soluzione della questione palestinese e solamente da allora si potrà valutare obiettivante la politica israeliana verso il mondo arabo, finora tesa non tanto all’ampliamento dei confini territoriali israeliani bensì a doversi ancora garantire il diritto di esistere.
E, in questo senso che è l’unico modo per fare chiarezza fra diritti e doveri delle parti interessate, bisogna fare in fretta perché, mentre dai Paesi arabi verso Israele continua l’esodo delle comunità ebraiche per non soccombere alla furia omicida del fondamentalismo islamico, in Occidente – proprio per la riduttività ed il fuorviamento che è stata data alla questione arabo-israeliana – stanno manifestandosi pericolosi sentimenti ed atti antiebraici che, nel migliore dei casi, produrrebbero inutili soluzioni salomoniche le quali, non solo lascerebbero insoluta la questione fondamentale – il diritto di esistere di Israele – ma l’aggraverebbero ancora di più.
La pubblicazione in lingua italiana dell’edizione integrale de “La burocratizzazione del mondo” di Bruno Rizzi, ottimamente curata e prefata con un poderoso saggio introduttivo di Paolo Sensini e bene stampato dal suo editore, ha provocato un giusto risentimento in Gianpiero Landi, e penso in altri lettori, nel leggere il capitoletto inserito in appendice del libro sulla “questione ebraica” (titolo mutuato da Marx in suo onore) nel quale, pur condannando fermamente il razzismo esprime considerazioni errate sugli ebrei.
Dico subito che con Bruno Rizzi, dai primi anni ’60 fino alla sua dipartita ho avuto un lungo sodalizio umano e culturale e mai, – dico mai! – gli ho sentito profferire alcunché contro gli ebrei che, come mi disse, “era l’unico popolo cosmopolita che ha espresso meravigliose intelligenze”. Diversamente non avrei potuto dargli la mia amicizia e la mia stima.
Fu quando commentammo l’edizione italiana del “Collettivismo burocratico”, da poco uscita nel 1967, che venni da lui informato della sua disavventura giudiziaria. Provai solo sorpresa perché l’uomo che conoscevo non esprimeva affatto concetti razzisti né antisemiti. Come spiegava allora quelle considerazioni offensive che non troviamo nella sua seguente produzione intellettuale (altra cosa è la critica al capitalismo di stampo ebraico a quei tempi comunque enfatizzato). Mi lesse il capitolo da cui vennero estrapolati i due periodi incriminati (il Rizzi dopo un lungo travaglio epistolare era rientrato in possesso della superstite copia del libro) e che per mio conto trascrissi, e amareggiato riconobbe la propria leggerezza nel subire i condizionamenti propagandistici del tempo e disse che in una eventuale riedizione del libro avrebbe riscritto il capitolo del libro, riconoscendo quel suo errore era anch’esso da ascriversi alla “... incompiutezza del suo pensiero”.
Il Rizzi, tuttavia, era convinto che la ragione della condanna che portò al sequestro ed alla immediata distruzione del libro giacente, ancora fresco di stampa, in tipografia (non fu dunque diffuso e se oggi ne parliamo è per sbarazzare definitivamente il terreno da speculazioni future di sorta nei confronti del Rizzi) non era dovuta al suo “contorno” antisemita impiegato – visto che a quei tempi circolava ben di peggio anche nella sinistra- bensì per impedire che la sua indagine sociologica venisse portata a conoscenza del proletariato.
Era certo che potendo frugare negli archivi dei partiti e del padronato si troverebbero le prove che confermerebbero la sua ipotesi. E, così dicendo, intercalava il dire, come se parlasse tra sé e sé con queste precise parole: “Mi un internasionalista, antiebreo?! Roba da mat!”.
Ma se questa mia testimonianza non tranquillizza del tutto G. P. Landi ed altri lettori che la pensano come lui, possono allora valutare il comportamento, per tranquillizzarsi del tutto, che il Rizzi ha tenuto a partire dal processo francese fino alla fine dei suoi giorni:
Non ha avuto rapporti con Vichy e Salò regimi razzisti ed antisemiti.
In Italia ebbe rapporti con i partigiani.
A conflitto mondiale terminato, riprese la sua azione di studio e di formazione individualmente o con altri compagni – solamente e sempre nell’ambito libertario e socialista – pubblicando ciò che produceva (quando non veniva ostacolato dai pregiudizi culturali) attraverso la stampa anarchica socialista della contestazione giovanile e della ricerca sociologica indipendente, sempre sostenendo i risultati della propria indagine socialista per il progresso sociale.
Orgoglioso, ma non superbo, per avere saputo individuare il rapporto di produzione socialista ignorato dai socialisti “infantili” e posto a disposizione di chicchessia voglia sperimentare liberamente e senza ricorrere, finalmente!, alle barricate ed al versamento di sangue umano.
Si tranquillizzino G. P. Landi e gli altri lettori.
Leggendo e studiando Bruno Rizzi si renderanno conto che la sua elevatezza di pensiero lo esclude dalla misera pseudocultura razzista.

Oreste Roseo
(Savona)

 

Frasi comunque inqualificabili

La mia recensione del libro di Bruno Rizzi, La burocratizzazione del mondo (Paderno Dugnano, Edizioni Colibrì, 2002), apparsa su “A” n. 286, pare che abbia creato un piccolo “caso”. Prima è intervenuto il curatore del libro, Paolo Sensini, contestando il rilievo da me dato all’appendice rizziana su “La questione ebraica”, di contenuto chiaramente antisemita (un antisemitismo a mio avviso non adeguatamente rilevato e criticato nella corposa introduzione dello stesso Sensini al libro). La lettera di Sensini è stata pubblicata nel numero 287 di questa rivista, insieme a una mia risposta con la quale personalmente ritenevo chiuso l’argomento. Ora interviene invece Oreste Roseo, tirandomi di nuovo in ballo.
Per la verità, la lettera di Roseo spazia su due distinti argomenti, e i riferimenti alla mia recensione e alla questione dell’antisemitismo di Rizzi si trovano soprattutto nella seconda parte. La prima è dedicata alla questione israelo-palestinese, o israelo-araba come a Roseo sembra più corretto definirla. Su questo argomento, estremamente complesso e che ci porterebbe molto lontano, preferisco in questa sede non addentrarmi. Mi limito a rilevare che a mio avviso, nella creazione e nella crescita devastante della questione medio-orientale fino alla situazione attuale che sembra senza vie di uscita, tutte le parti in causa – nessuna esclusa – hanno gravi responsabilità. Se questo vale sul piano storico, devo aggiungere che personalmente ritengo che oggi l’ostacolo maggiore a una pace nella giustizia venga dalla politica perseguita dallo Stato di Israele. Si può condannare senza appello ogni forma di antisemitismo e al tempo stesso criticare il governo di Israele? Io credo che non solo si può, ma oggi si deve.
Detto questo, vengo alla seconda parte della lettera di Roseo, che mi riguarda più direttamente. Devo dichiarare subito che ho trovato di un certo interesse il contenuto della lettera, soprattutto per il suo carattere di testimonianza. Roseo ha frequentato Rizzi per anni, gli è stato amico e sodale in politica, ne ha raccolto le confidenze. È dunque una fonte preziosa e attendibile, che va presa in attenta considerazione. La sensibilità di Roseo nei confronti dell’antisemitismo è fuori discussione, tutta la sua lettera lo dimostra. Egli stesso ci dice che se durante la sua lunga frequentazione di Rizzi gli avesse sentito “profferire alcunché contro gli ebrei”, non avrebbe potuto dargli la sua amicizia e la sua stima. Roseo dunque non ha mai sentito dalla bocca di Rizzi espressioni minimamente offensive nei confronti degli ebrei, anzi al contrario ha sentito degli apprezzamenti. Quando poi hanno affrontato la questione della censura del libro del 1939, La Bureaucratisation du Monde, è stato lo stesso Rizzi a parlare per primo dell’accusa di antisemitismo formulata contro di lui all’epoca, suscitando sorpresa nel suo interlocutore. Di fronte a tale sorpresa, e alla richiesta di spiegazioni, Rizzi avrebbe riconosciuto “la propria leggerezza nel subire i condizionamenti propagandistici del tempo”, aggiungendo di essere caduto in un errore da ascriversi anch’esso alla “incompiutezza del suo pensiero”. Roseo sottolinea inoltre la mancanza di frasi antisemite in tutti gli scritti di Rizzi successivi al 1939, la sua estraneità ai regimi di Vichy e di Salò, l’attività teorica e politica del dopoguerra avente come interlocutori privilegiati alcuni settori libertari e socialisti della sinistra.
Che dire di fronte a questa testimonianza? Possiamo riconoscere tranquillamente che, per quanto ci consta, il Rizzi del dopoguerra non ha mai manifestato posizioni antisemite. Ma ciò che ha scritto nel 1939 resta. Molte frasi dell’appendice sulla “questione ebraica” sono inqualificabili. Si può inchiodare un uomo a un errore, per quanto esso sia grave, per tutto il resto della sua vita? Io penso di no, ma credo anche che per passare oltre sia necessario un franco riconoscimento dell’errore commesso, bisogna ravvedersi sul serio. Rizzi ha preso – privatamente, ma non è questo l’essenziale – le distanze rispetto alle sue concezioni del 1939. Non lo ha fatto in un modo inequivocabile, tale da spazzare via tutti i dubbi. Riconoscere, di fronte a un amico e compagno, la propria “leggerezza”, adducendo per di più come scusante “i condizionamenti propagandistici del tempo” è già qualcosa, ma forse è troppo poco. Personalmente faccio fatica a vederci un autentico travaglio interiore, la consapevolezza della gravità di ciò che è stato in passato pensato e scritto. Sono però consapevole del fatto che nessuno può scrutare sul serio ciò che si cela nella coscienza di un altro essere umano. Per cui anch’io, di fronte al Bruno Rizzi del dopoguerra, quello che ha conosciuto Oreste Roseo, mi astengo da ogni giudizio e sono anzi disposto a concedergli la buonafede. Di fronte al mistero della sua coscienza, mi fermo in un rispettoso silenzio.

Gianpiero Landi
(Castel Bolognese)

 

Talebani anarchici e testimoni dell’anarchia

Tra la prassi dei cosiddetti talebani anarchici e quella che chiamerei dei “testimoni dell’anarchia”, penso possa esistere una terza via, e precisamente quella che conduce ad intervenire concretamente sulla realtà socioeconomica circostante, da troppo tempo trascurata da noi anarchici se non per pontificare e celebrare.
Direi che salvo sporadiche situazioni locali, nonostante il vento spingesse a nostro favore, non abbiamo saputo cogliere l’occasione di porci come interlocutori, come referente ideale e reale di coloro che rifiutavano e rifiutano la qualità della vita presente e passata.
Lo spunto per questo intervento mi è offerto dalle analogie tra gli episodi che hanno visto per protagonisti i Black Bloc e gli anarco-insurrezionalisti, negli ultimissimi anni, e quelli un po’ più remoti, ma non tanto, storicamente parlando, degli anni ’67-’68-’69. In quegli anni militavo nel Potere Operaio pisano e abitavo a Piombino; erano gli anni dei braccianti ammazzati ad Avola e Battipaglia; della contestazione alla Bussola di Viareggio per i licenziamenti alla Marzotto, alla Saint Gobain ed alla Upim; della contestazione nelle scuole e nelle scuole di tutta l’Italia.
Erano manifestazioni per i diritti al lavoro, allo studio, a rapporti diversi in seno alla famiglia, alla scuola, alla fabbrica e sostanzialmente pacifiche; al massimo volavano uova marce e sputi, come alla Scala di Milano, ma mai con dei presupposti violenti e tanto meno armati, anche se la risposta che fu data ad Avola, come alla Bussola, fu quella di sparare per disperdere sia i braccianti che gli operai e gli studenti.
In quegli anni feci le prime conoscenze culturali e umane degli anarchici. Mi resi conto del grande vuoto nella formazione culturale che avevo ricevuto al liceo e nella scuola quadri del partito comunista, al quale ero iscritto, o della corrente trotzkista e operaista che frequentavo, ma accostandomi politicamente al movimento anarchico fui colpito negativamente dal loro isolamento riguardo alle lotte in corso e dalla incapacità di intervento nel sociale. Conobbi compagni culturalmente molto preparati che mi hanno suggerito letture illuminanti circa la grande rivoluzione francese, la rivoluzione russa e quella spagnola, ma anche capi scuola come Ferrer e anarcosindacalisti di grande statura politica o militanti come Bakunin e Malatesta, però era tutta storia passata che non trovava corrispondenza con una presenza anarchica nel processo storico in corso o con realizzazioni come cooperative, comuni e collettivi anarchici. Frequentando le sedi anarchiche ed i gruppi anarchici sembrava di entrare in circoli o associazioni di ex combattenti, scettici sul “ribellismo” giovanile in corso, o giovani ribelli che pensavano con qualche scoppietto di sottolineare la rabbia popolare magari pensando che quella fosse la giusta maniera di “fare sul serio”.
Queste non sono mie gratuite illazioni non supportate da fatti. Ne voglio citare uno solo del quale sono stato testimone: Piombino 1968-69; manifestazioni quasi quotidiane in tutta la città, assemblee di scuola e di quartiere, interventi quotidiani su tutto il tessuto cittadino con collegamenti in tutta la Toscana, denuncie e mandati di cattura per i più rappresentativi di noi come agitatori, con relativa perdita del lavoro; la stampa che soffia contro questi comunisti di Potere Operaio (gli anarchici, pur presenti fisicamente, erano assenti politicamente)… ed eccoti la bomba carta alla Questura di Piombino con relativa scritta di rivendicazione a sinistra, il fermo dell’anarchico Pietro Bianconi e del genero per estorcergli, col ricatto, che la bomba gli era stata preparata dal sottoscritto! Naturalmente io non c’entravo assolutamente con quello scoppietto inutile, e probabilmente neanche Bianconi, ma qualcuno dell’area anarchica, come intuii successivamente a Livorno, aveva voluto partecipare a modo suo per esprimere la sua rabbia contro la repressione in corso.
Quella bombetta fu una goliardata, politicamente ingenua, ma molto utile per fare alzare la “febbre” del contesto politico a Piombino, scatenare ancora di più la repressione, smembrare il gruppo del Potere Operaio, far perdere il lavoro a molti di noi, consentire ai giudici di reprimere pesantemente con imputazioni di blocco stradale per i fatti della Bussola, diffusione di notizie false e tendenziose, ecc.
Questo episodio di Piombino, che piaccia o no, si ripeté in altre parti d’Italia, anche con matrici diverse, ma che sia stato messo in atto o no da anarchici poco importa; certamente portò acqua al mulino della Questura che, visto l’impatto negativo sull’opinione pubblica di certi scoppietti, misero insieme, con l’aiuto dei mezzi d’informazione e di certi politici, una autentica strategia bombarola della quale fece le spese tutto il movimento antagonista di quegli anni, paralizzandolo in campagne contro la repressione.
Le analogie con la situazione attuale balzano subito agli occhi: a Genova-G8 100 Black Bloc svolsero una funzione oggettivamente provocatoria coinvolgendo negli scontri decine di migliaia di manifestanti pacifici, con le conseguenze che tutti conosciamo, nel tentativo di voler strumentalizzare un concentramento di persone organizzato da altri e di cui, al di là di condividerne o meno i loro contenuti, i Black Bloc non ne erano certamente espressione.
Lo stesso discorso vale per gli ultimi scoppietti degli anarco-insurrezionalisti: mi piacerebbe conoscere la loro estrazione politica e la loro formazione-esperienza come militanti nei gruppi di intervento sociale; quali obiettivi tattici e strategici si prefiggono di raggiungere; se hanno valutato che questi strumenti di offesa, da loro adoperati, possono colpire persone che poco o nulla hanno a che fare con gli avversari cui sembrano rivolti; se sembra loro la maniera corretta di inserirsi nel momento di crescita politica globale che sta attraversando orizzontalmente gran parte dell’umanità, o se appagano soltanto un loro infantile bisogno di protagonismo.
Vorrei essere ancora più chiaro rivolgendomi a quei compagni non più giovani che potrebbero trovarsi inseriti in certi episodi recenti come la bombetta al Duomo di Milano o l’invio di libri esplosivi o lettere con proiettili, per dire loro che queste considerazioni non provengono da un vecchio compagno in pantofole o da un pentito in vena di crisi mistiche e tanto meno da uno che rifiuta di rispondere violentemente a chi ha terrorizzato o terrorizza una larga parte dell’umanità. Niente di tutto questo. Sono stato e sono un compagno anarchico con una formazione politica che è cresciuta positivamente militando in partiti, sindacati e gruppi di intervento che si confrontavano con il mondo del lavoro, con la vita ed i problemi dei quartieri poveri, con il vissuto carcerario, con le problematiche di tutti i giovani, con i movimenti di liberazione nazionale, sociale, economica e culturale.
Si rivolge a voi un compagno che non ha disdegnato e non disdegnerebbe di pestare crumiri, capetti di fabbrica, comandanti di “squadrette carcerarie”, medici carcerari inadempienti ai loro doveri umani e professionali ma al momento politico opportuno; adottare misure concrete per fare evadere compagni o recuperarli alla libertà in tempi brevi con iniziative incentrate, come furono le campagne per Valpreda e Giovanni Marini. I metodi possono essere tanti e la nostra fantasia può sbizzarrirsi, ma devono avere obiettivi concreti, con mezzi discriminanti, e non indiscriminati come gli esplosivi, accettabili e lampanti come significato, agli occhi di coloro cui vogliamo rivolgerci, e dopo aver fatto un lungo e paziente lavoro di chiarificazione, di smascheramento, di aggancio politico a situazioni di oppressione.
Oggi come oggi occorre rimboccarsi le maniche e recuperare quel consenso, quella credibilità, quel seguito, quella chiarezza di mezzi e fini che si ottengono soltanto dopo aver analizzato come si muovono “i padroni del mondo” e portare il nostro programma tra la gente, rafforzati e vaccinati politicamente dalle esperienze passate, senza ambizioni personali o bisogno di protagonismo che niente hanno a che vedere con la lotta degli oppressi contro gli oppressori.

Gianni Landi
(Firenze)

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Pasquale Messina (Milano) 25,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla, 500,00; Claudio Venza (Trieste), 25,00; Stefano Quinto (Maserada), 20,00; Battista Saiu (Biella), 20,00; Silvio Sant (Milano), 5,00; Alessandro Natoli (Cogliate), 8,00; Santi Rosa (Novara), 15,00; Claudio Rolla (Roma), 20,00; Giancarlo Benvenuti (Firenze), 20,00; Massimo Bellini (Riola di Vergato), 20,00; Claudio Topputi (Milano), 50,00; Marina Felli (Roma), 25,00; Giancarlo Nocini (San Giovanni Val d’Arno), 20,00; Cesare Fuochi (Imola), 20,00; Salvatore Piroddi (Arbatax), 5,00; Gabriella Gianfelici e Claudio Neri (Roma), 10,00; Pino Cavagnero (Arenzano), 20,00; a/m Daniela Massari, lascito di Carla Caschetto (morta a Bruxelles nel dicembre 2002), 100,00; Tiziano Viganò (Casatenovo) ricordando Pierluigi Magni, 10,00; Roberto Colombo (Boffalora), 2,00; Enore Fiorentini (Imola), 20,00; Angelo Zanni (Sovere), 10,00; Deborah Francesca (San Leucio del Sannio), 5,00; Paolo Mauri (Milano), 20,00; Giorgio Nanni (Lodi), 50,00; Silvio Gori (Bergamo), ricordando Egisto e Maria Gori, 22,00; Cosimo Valente (Torino), 70,00; Pietro Steffenoni (Lodi), 10,00; Paolo Scarioni (Milano), 15,00; Danilo Vallauri (Dronero), 20,00; Giuseppe Ricci (Varedo), 20,00.
Totale euro 1.202,00.

Abbonamenti sostenitori.
Antonello Lepizzera (Itri), 100,00; Giuliano Cortopassi (Cerveteri) con tanti auguri a Lory e Piero per l’arrivo di Fabrizio, 100,00; Stefano Cempini (Ancona), 100,00; Enrico Calandri (Roma) ricordando Franco Serantini, 200,00; Renato Girometta (Vicobarone), 100,00; Mario Perego (Carnate), 110,00; Luigi Natali (Donnas), 100,00; Loriano Zorzella (Verona), 100,00; Gianni Pasqualotto (Crespano), 100,00; Arturo Schwarz (Milano), 100,00; Fernando Ferretti (San Giovanni Valdarno), 110,00; Luigino Piccolo (Padova), 100,00; L.D. (Ancona) ricordando il suo compagno, 440,00; Fabio Palombo (Chieti), 100,00; Eros Bonfiglioli (Vologna), 100,00; Maurizio Guastini (Carrara), 200,00; Pietro Steffenoni (Lodi), 100,00; Piero Cagnotti (Dogliani), 100,00; famiglia di Piero Bulleri (Volterra), 100,00.
Totale euro 2.460,00.