Rivista Anarchica Online
L'emancipazione della donna
di Antonella Schroeder
Se il proletario è sfruttato è schiavo, sua moglie è ancora più schiava e
sfruttata
Movimento di Liberazione della Donna, Rivolta Femminile, Fronte
Italiano di Liberazione Femminile,
denominazioni diverse di gruppi diversi per scelte ed obiettivi, ma con un comune denominatore: il
problema della donna. Il recente congresso (svoltosi a Roma) dei vari movimenti femministi (ci si
perdoni il termine antiquato)
ha svelato, con uno show che ha di volta in volta divertito, inquietato, disgustato,
interessato chi ha avuto
modo di leggerne qualcosa sui giornali, che anche in Italia esiste un fermento attivo di lotta per
l'emancipazione della donna. Emancipazione vera, non quella mistificatrice della donna-che-lavora
fuori-casa-e-quindi-è-uguale-all'uomo. Da un po' di anni a questa parte, infatti, si è
andato sempre più affermando il mito della donna che lavora,
della donna inserita in una realtà sociale e quindi realizzata, ma si è parlato molto meno
delle funzioni che
realmente svolgono queste donne "emancipate" nel mondo del lavoro: operaie, telefoniste, commesse,
dattilografe, perforatrici, contabili, impiegate d'ordine, segretarie, ecc., tutte funzioni che non si possono
certo considerare creative e interessanti. Anche qui dunque la donne destinata a ricoprire ruoli già
decisi,
ad essere una rotellina di quel mostruoso ingranaggio che è la società in cui viviamo,
dove la fantasia e
l'intelligenza di tutti vengono sciupate ogni giorno perché per pensare, creare, decidere, ci sono
i padroni
o, nella maggior parte delle aziende i nuovi padroni, cioè i dirigenti. È difficile
valutare la portata e le reali finalità, rivoluzionarie o riformistiche che siano, di questi
movimenti per l'emancipazione della donna. Una cosa è certa: la sentita partecipazione di chi
milita in tali
movimenti. Perché è ormai chiaro che nell'attuale società con le sue strutture
repressive, ma con lo
spiraglio consentito da visioni più o meno diffuse di rapporti sociali sostanzialmente diversi,
più liberi ed
egualitari, la condizione della donna con le sue mansioni-tipo e i suoi obblighi atavici non può
che essere
sentita come un peso e un vincolo umiliante e frustrante da chi è donna sì per natura, ma
non schiava per
scelta. La donna è stanca di essere l'oggetto, lo strumento, il "mezzo per", vuole essere soggetto,
vuole
vivere autonomamente, autogestirsi, essere padrona del proprio corpo e della propria vita: vuole poter
scegliere. È pur vero che le scelte sono tanto più limitate quanto più le
strutture sociali sono limitanti, cioè repressive
e autoritarie. Ebbene, l'unico modo che ha la donna per "liberarsi" è quello di partecipare
assieme
all'uomo, (1) allo stesso livello dell'uomo, alla lotta per la distruzione di questa società basata sulla
disuguaglianza, sullo sfruttamento, sullo spreco delle capacità umane, e alla creazione di nuove
forme
libertarie di associazione, fatte su misura umana, in cui ciascuno dei partecipanti svolga lavoro manuale
e lavoro intellettuale (arricchendosi quindi continuamente e dando il meglio di se stesso), in cui i bambini
vivano, crescano, giuochino, facciano le loro esperienze insieme (solo così non costituiranno
più una
schiavitù per la donna), in cui i compiti e le funzioni creative e decisionali vengano eseguiti a
turno da tutti
i partecipanti... In breve, l'unico modo che la donna (come l'uomo) ha di liberarsi è di costruire
il
socialismo anarchico. È di fondamentale importanza però che la donna sia
con l'uomo e non subordinata all'uomo: è evidente
sennò che già nella lotta verso l'uguaglianza si attuerebbe una discriminazione profonda
e
quantitativamente paradossale che è in antitesi con i fini della lotta stessa. (2) La donna non
è libera, ma non è libero nemmeno l'uomo, questo è un fatto. Bisogna
però ammettere che esistono differenti gradi di libertà (o di non-libertà, che
è poi la stessa cosa).
È innegabile che la donna è meno libera dell'uomo, perché la sua condizione
biologica (è pur sempre la
donna che fa i figli), e soprattutto la secolare tirannia che si è verificata storicamente nei suoi
confronti,
l'hanno portata ad essere una macchina che produce lavoro, che produce figli, che produce piacere, che
non produce pensiero, se non in rari casi che vengono guardati come bizzarre
estrosità della natura (la
donna non deve pensare, intanto perché sarebbe contro natura, e poi perché il suo ruolo
è un'altro!), che
può essere usata o accantonata senza grossi problemi etici e senza preoccupazione di ribellioni.
Ma adesso
si ribella. Rifiuta i limiti ben precisi, voluti da ogni sistema autoritario (anche Stalin proclamò la
validità
"socialista" della famiglia ed esaltò la virtù "socialista" della verginità), entro cui
la si vuole costringere.
Rifiuta una famiglia fondata sulla schiavitù e su un rapporto economico utile ai padroni. Chiede
di poter
scegliere se diventare madre o no (e non certo con l'aborto, che è l'ultimo disperato rimedio cui
ricorre
la donna più povera a rischio della sua vita o della sua salute). Chiede di scegliere se vivere con
un uomo
o da sola senza sentirsi "inferiore", di scegliere se lavorare in casa o fuori senza essere trattata da "paria".
Chiede di non essere condizionata fin dall'infanzia a svolgere un ruolo che non le congeniale o non la
realizza compiutamente, chiede in poche parole di vivere da persona e non da burattino. La reazione
a questo appello, ancora confuso, contraddittorio e spesso sproporzionato o assurdo (3)
(dall'America è giunto il grido "castriamo l'uomo" e sembra che anche in Italia qualcuna la pensi
così; a
noi pare che questo sarebbe poco proficuo, se non altro perché la popolazione femminile non
è del tutto
lesbica, anzi, da recenti statistiche pare che la maggioranza prediliga ancora il rapporto eterosessuale...)
è, come prevedibile, di ironica condiscendenza; non è difficile immaginare il sorrisetto
sardonico di chi,
costituzionalmente abituato a comandare, si accorge di un primo, non preoccupante palpito di ribellione
da parte di chi è comandato. Ma è importante ugualmente che ci sia questo palpito, come
è importante
qualsiasi palpito rivoluzionario anche nella società più reazionaria. Ed è
importante che venga raccolto
l'appello di chi, uomo donna che sia, considera la società come una rete di individui uguali che
operano
in piena libertà, da chi, con o senza etichette, intende lottare per quei valori di libertà e
uguaglianza che
soli, per noi, rendono la vita degna di essere vissuta.
Antonella Schroeder
(1) Non è proclamando la non collaborazione o la non comunicazione con
l'uomo o fondando movimenti
per reazione alle proprie frustrazioni personali che si conseguirà l'obiettivo di abbattere lo
sfruttamento
e di costruire l'uguaglianza di tutti gli uomini (maschi e femmine). Questo tipo di lotte non preoccupano
i padroni (maschi per lo più, ma anche femmine), che ben volentieri ci vedono divisi e sviati dalle
lotte
e dagli obiettivi realmente rivoluzionari.. (2) Anche nei gruppi extra-parlamentari quasi sempre la
donna si ritrova in posizione subordinata. È
sintomatico, ad esempio, che tutti i leaders siano maschi. Ma la risposta egualitaria non
è la lotta
femminile per la leadership, ma la lotta contro la funzione di leader in quanto
tale. Anche nei gruppi più
rivoluzionari la compagna si ritrova quasi sempre a svolgere solo funzioni esecutive (dattilografa,
volantinatrice...). Se avviene questo, però, non è solo per colpa dei compagni, ma anche
per l'insufficiente
maturità politica delle compagne che le fa nuovamente strumentalizzare nell'ambiente politico
come in
quello familiare. (3) No alla donna contro l'uomo, ma no anche alla donna
come l'uomo. Conquistare la propria libertà
significa potere esprimere compiutamente se stessi, in una fusione armonica e profonda della propria
complementarità naturale, cercando ciò che liberamente ci può
unire, non ciò che artificialmente ci
divide.
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