Rivista Anarchica Online
Gli imputati accusano
di E. M.
Mentre il giornale va in macchina, il processo agli anarchici sta diventando, com'è
giusto, un processo
degli anarchici ed il castello d'accuse costruito dal giudice Amati sta crollando: i poliziotti
"non
ricordano", il metronotte non riconosce Pulsinelli, la "superteste" della polizia viene smascherata come
calunniatrice e mitomane recidiva...
Al "processo agli anarchici" iniziato il 22 marzo a Milano, si sono
concluse le deposizioni degli imputati
ed è iniziata la sfilata dei testimoni. Le intemperanze iniziali di una parte del pubblico sono
cessate dopo
una dura critica da parte dei gruppi anarchici milanesi. Non potendosi dunque appellare alla "legittima
suspicione" (e trasferire tutto all'Aquila come al solito) né proseguire le udienze a porte chiuse,
il processo
si svolge davanti ad un pubblico attento di compagni, parenti degli imputati, persone diverse e poliziotti,
molti dei quali travestiti da "anarchici". Prima di poter entrare in aula i poliziotti controllano i
documenti e le borse delle compagne, ovunque
navigano flotte di carabinieri agli ordini del Vice Questore Vittoria in persona. Presidente del
Tribunale è Paolo Curatolo, di destra; si vanta di "non leggere i giornali" e infatti, ha
scoperto con stupore l'esistenza del "dossier" sui documenti greci relativi agli attentati del 25 aprile 1969
alla Fiera di Milano e alla Stazione Centrale. Il Giudice a latere è Danza (già P.M. al
processo Trimarchi),
estrema destra; il P.M. è Scopelliti, giovane e dinamico accusatore, noto per aver permesso che
il
processo ai carabinieri torturatori di Bergamo andasse in prescrizione e specializzato in interventi dilatori
per salvare i testi di accusa in difficoltà. Una composizione, come si vede decisamente
monocolore.
Un muro di gomma
Contro questo "muro di gomma" si battono gli imputati, affiancati da un collegio di difesa che lascia
poco
spazio ai "non ricordo", "non c'ero" e "non ho visto" dei testi poliziotti dell'accusa. Le testimonianze
degli imputati e dei testi al processo hanno confermato quel che da tempo i compagni
sapevano: il processo per le bombe del 25 aprile, il processo Calabresi-Lotta Continua, il prossimo
processo a Valpreda, sono diverse fasi di un'unica vicenda, la vicenda sanguinosa della "strage di stato",
della strategia della tensione e della repressione. E allora, com'è naturale, un processo indiziario
si
trasforma in un pesante atto di accusa contro lo Stato, le sue manovre, le sue connivenze e le istituzioni
che le proteggono. Gli imputati divengono accusatori e gli inquirenti si difendono con deposizioni
stereotipate sui fatti
accaduti, annaspando in un mare di "non so", "non ricordo", ad ogni domanda imprevista. A
differenza degli inquirenti gli imputati hanno descritto con precisione i fatti, ricordano tutto e in
particolare il clima di minacce, violenza e intimidazioni in cui i verbali contenenti le famose "parziali
ammissioni" furono loro estorti. Le loro accuse sono precise: contro le falsificazioni di Amati, i
metodi fuorilegge di Calabresi, i brutali
maltrattamenti di Panessa. Alle spalle di questi ragazzi sono due anni di carcere, di accuse infamanti, di
calunnie al movimento cui alcuni di loro appartengono.
Dalle deposizioni
Dalle deposizioni dei testimoni altre verità sono emerse: 1) dalla cava nel bergamasco
non fu mai rubato esplosivo, lo dichiarano il consigliere delegato, i dirigenti
e i guardiani della cava; ma il Tribunale mette in dubbio la veridicità dei testi (i rappresentanti
della
Giustizia non possono tollerare testimonianze contrarie alla loro ricostruzione dei fatti)! 2) Il
commesso del negozio dove sarebbero state acquistate le miscele per gli esplosivi non riconosce negli
imputati gli acquirenti del materiale, mentre Amati asserisce che lo stesso commesso ne riconobbe le
fotografie (ma quali fotografie gli furono mostrate durante le indagini?). 3) Non si vuol credere alle
dichiarazioni di Faccioli sulle percosse subite perché nessuno ne ha visto i
segni. Ma, ironia della sorte, il medico di S. Vittore dichiara che, per motivi mai chiariti, Faccioli non
fu
sottoposto alla visita medica (obbligatoria) al momento del suo ingresso nel carcere. 4) Allegra
dichiara in aula che in questura non si è mai picchiato nessuno (ma che faccia tosta! proprio
mentre in una aula vicina, al processo Calabresi-Lotta Continua, l'avvocato Lener, degno difensore di
Calabresi, si oppone furiosamente alla riesumazione del corpo di Pinelli!) 5) la superteste Rosemma
Zublena (che offre un'immagine grigia e dimessa) fa discorsi confusi,
frammentari o troppo precisi, zeppi di "Amati mi disse", "ne parlai col Dr. Amati", fu il Dr. Amati a
dirmi", "andai subito a cercare il Dr. Amati." 6) Nonostante le ripetute richieste nessuno della polizia
sa spiegare perché sin dall'inizio le indagini siano
state indirizzate verso gli anarchici; risulta inutile anche la ricerca di qualche verbale che documenti un
orientamento degli inquirenti anche verso i gruppi di destra. 7) E ancora si scopre che il foglietto con
la descrizione di un ordigno esplosivo (prova fondamentale a
carico di Faccioli) è stato trovato in ben due luoghi diversi (Milano e Pisa) in momenti differenti,
e questo
significa, come minimo, che uno dei verbali di reperimento è falso.
Calabresi
La deposizione di Calabresi è ancora più grave, se possibile; infatti in un momento
di difficoltà egli dice
che durante gli interrogatori non tutte le domande e le risposte del teste venivano verbalizzate, ma "solo
ciò che si voleva fosse verbalizzato". Come dire che si voleva verbalizzare "qualcosa"; ma allora
già si
sapeva cosa verbalizzare? Poco dopo, per giustificare queste sue infelici ammissioni, Calabresi ammette
che uno degli imputati durante un interrogatorio si addossò più attentati di quelli che gli
venivano
contestati, anzi si dichiarò colpevole di attentati che (parole di Calabresi) "sapevamo che non
poteva aver
fatto"! Dal canto suo, il Tribunale non ha certo tenuto un comportamento meno "irregolare": queste
dichiarazioni di Calabresi non sono state verbalizzate dal cancelliere e il P.M. ha addirittura negato di
averle sentite; quando poi la difesa ha chiesto di riascoltare i nastri si è scoperto che il registratore
non
c'era! Per fortuna un giornalista ha registrato tutto per conto suo e le frasi resteranno agli atti, chiare e
lampanti come sono. A Calabresi è succeduto Panessa, detto il "Gorilla", che, da interrogato,
si è dimostrato meno abile che
non quando è lui ad interrogare gli altri. Infatti il neo-maresciallo, messo a confronto con la
Zublena,
smentisce, cerca di confondere le sue precedenti affermazioni circa una fotografia di Pulsinelli ed i suoi
contatti (prima negati poi confessati) con la Zublena. A questo punto, quando la situazione per il
poverino
si sta facendo insostenibile, il presidente lo licenzia!
"Inquietanti dubbi"
Dopo queste udienze perfino l'"Avanti" parla di "inquietanti dubbi sulla regolarità di questo
processo",
ed i difensori di Braschi e Pulsinelli hanno inviato alla stampa un documento che attacca i giudici per il
loro comportamento, che tende solo a "cercare conferme e rendere verosimili le accuse precostituite nei
verbali di polizia", e la prassi ormai abituale che tende a interrompere nei momenti caldi le deposizioni
dei testimoni di accusa o a suggerire ai testi in difficoltà le risposte più adatte. Il gioco
ora è scoperto e alla Magistratura e alla Polizia non resta altro che difendere accanitamente le
loro
tesi perché se un solo punto della montatura dovesse cedere sarebbe il crollo di tutto.
La Zublena è recidiva
Mentre il giornale va in macchina apprendiamo che la "supertestimone" Rosemma Zublena non
è alle
prime armi ed è anzi una calunniatrice incallita. Nell'udienza del 26 aprile, la credibilità
della Zublena è
stata ufficialmente e definitivamente distrutta dagli avvocati difensori. Essi
hanno reso noto che la
"professoressa" è già stata incriminata nel 1967 per calunnia e assolta solo per
insufficienza di prove "sul
dolo". Il giudice, cioè, l'aveva trovata colpevole dei fatti (una serie di folli lettere anonime inviate
a
sindaci, prefetti, ministri, arcivescovi), ma riconoscendo in lei un'anormale
psichica non s'era
pronunciato sulla sua mala fede (necessaria perché si configuri il reato). Il giudice l'aveva
dichiarata
"persona affetta da componente nevrotica di tipo isterico; basta parlare una sola volta per
convincersene, anche senza avere una preparazione specifica sull'argomento." Questi
gli arnesi della polizia. Questi i capisaldi dell'istruttoria del dottor Amati.
E. M.
Il 30 marzo 1969 la guardia notturna Fasano vide un giovane biondo
fuggire alla sua vista, in corso
magenta a Milano, abbandonando un pacco contenente dell'esplosivo. Per questo Pulsinelli, biondo
e anarchico, fu arrestato a Rimini nell'agosto successivo. Il 28 aprile di quest'anno il Fasano, messo a
confronto per la prima volta con Pulsinelli, dopo le contestazioni della difesa
e una diffida, dichiara
"No, sono sicuro che non è lui". Pochi minuti prima aveva dichiarato di riconoscerlo per via dei
capelli!
Fra l'altro, pochi giorni dopo l'attentato, lo stesso metronotte aveva "riconosciuto" l'attentatore in un
giovane studente marxista-leninista della "Statale" che, in base al suo "riconoscimento" era stato
fermato e poi rilasciato perché per fortuna sua aveva un alibi di ferro. Di questi elementi
è fatta
l'istruttoria del giudice Amati: di "riconoscimenti" come quello del metronotte e di "testimonianze"
come quella della psicopatica Zublena che già un magistrato, nel 67,
dichiarò isterica e indegna di
fede. |
Il movimento studentesco est al vostro fianco
Il movimento studentesco est al vostro fianco contro le manovre della borghesia che vorrebbe far
ricadere su di voi ingiustamente detenuti le responsabilità delle bombe messe dai suoi stessi agenti
stop
contro questa classica manovra della borghesia il movimento studentesco habet già condotto et
condurrà sempre una lotta incessante et un'opera di chiarificazione stop contro questo tentativo
di
portare confusione tra le masse popolari un tentativo logoro et che già mostra la corda tutti i
compagni
sono chiamati a fare la più ampia opera di propaganda saluti comunisti
Movimento studentesco statale
Lettera aperta di Braschi, Della Savia, Faccioli, Pulsinelli in risposta al telegramma di solidarietà
del
movimento studentesco dell'università statale di Milano.
Compagni, Non basta una presa di posizione a smentire un atteggiamento che per due anni
è stato di
disinteressamento, confusione, opportunismo. Non si tratta di mettersi a posto la coscienza. L'apologo
degli anarchici "pulce sulla schiena dell'elefante che è il proletariato" è servito a sostenere
che le bombe -
e la repressione suscitata dalle bombe - erano "fatti privati" degli anarchici. Ma, se cercare una copertura
di fronte alla repressione borghese, prendendo le distanze dagli anarchici, è solo opportunismo,
quando
si arriva a dire che gli anarchici sono "storicamente avventuristi" - subito dopo Piazza Fontana - il confine
fra confusione politica e provocazione è solo una sfumatura. Gli attentati del 25 aprile,
avvenuti in un momento in cui per i padroni era ancora pensabile di cavalcare
la tigre delle lotte proletarie col sindacato e con le riforme, dovevano servire a isolare e colpire tutte le
avanguardie (e non solo gli anarchici); a collaudare gli strumenti della repressione (provocazione,
montatura, ecc.), a colpire indirettamente tutto il proletariato (stava per essere discussa alla Camera la
legge sul disarmo della polizia). Grazie alla mancanza di un intervento tempestivo i padroni, collaudato
il terrorismo, hanno messo la strage all'ordine del giorno come arma contro le lotte proletarie; si è
arrivati
cioè al 12 dicembre. Il carcere preventivo, la montatura poliziesca, il segreto istruttorio, ecc.,
da strumenti di controllo sociale,
sono diventate armi politiche "normali". E quando si è arrivati a questo, tutto quello che avete
saputo fare
è stato piangere sulla morte del compagno Pinelli per mettervi in pace la coscienza, quando
invece si
trattava di vendicarlo, di scoprire e denunciare i suoi assassini, le vostre manifestazioni interclassiste
contro una mitica e astratta "repressione" sono state un alibi per rinunciare alla lotta pratica contro i fatti
concreti in cui la repressione si è manifestata, offrendo così una copertura ai
padroni. Non vi parliamo interessatamente, "per noi". Infatti pensiamo di poter prevedere quello che
sarà l'esito
del nostro processo: sentenza di condanna (per salvare la sostanza politica della montatura), e
scarcerazione per noi, grazie a condoni, pena già espiata, ecc. (per contentare la sinistra ufficiale
- che
in effetti ha ampiamente pompato il nostro carcere preventivo - e garantirsene la copertura). Vi parliamo
invece perché mai come in questo momento la verità è rivoluzionaria: in questo
momento in cui si utilizza
Borghese per dare una garanzia di credibilità alle istituzioni e si cerca di squalificare, colpire ed
emarginare le avanguardie - sfruttando episodi tipo Brigate Rosse, rapina di Genova, ecc. - ma
soprattutto
si cerca di "prendere tempo - guadagnare spazio" per quella che è la posta più grossa:
Pietro Valpreda. Noi non crediamo nella giustizia borghese, ma proprio perché non ci
crediamo, pensiamo che il modo
con cui - nella fase attuale - il proletariato può cominciare a "fare" giustizia sia quello di un
intervento
attivo, diretto a condizionare e costringere i giudici dei padroni ad esautorarsi e far fallire - sul piano
politico - i piani reazionari della borghesia, in modo che risulti chiaro che le bombe le mettono i padroni
perché servono gli interessi dei padroni. 25 aprile, bombe sui treni, Piazza Fontana,
Catanzaro, sono le tappe di un unico disegno criminoso dei
padroni; se il 25 aprile è stata la prova generale per il 12 dicembre, il nostro processo è
ugualmente la
prova generale per il processo a Valpreda. Cominciare a far fallire già da oggi con noi la
montatura
poliziesca, significa dare un importante contributo, vincere la prima battaglia di una unica guerra: quella
contro la strage di stato!
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Un documento dei difensori
Milano, 24 aprile. Gli avvocati Di Giovanni, Piscopo e Spazzali difensori dei giovani anarchici
Braschi
e Pulsinelli hanno tenuto una conferenza stampa al Palazzo di Giustizia, al termine della quale hanno
diffuso un documento in cui denunciano il modo vistosamente parziale con il quale i giudici stanno
conducendo il processo. Il documento dice: "La seconda Corte di Assise di Milano, ad avviso dei
due comitati conduce il dibattimento in violazione
delle norme della legge processuale e penale che disciplinano l'istruttoria dibattimentale. I giudici togati
dimostrano in continuità di ricercare nell'istruttoria dibattimentale solo ciò che possa
confermare o rendere
verosimili le accuse inizialmente precostituite nei verbali di polizia e trasfuse puramente e semplicemente
negli atti di istruttoria formalmente compiuti dal giudice Amati". "Quali esempi di questo
comportamento illegittimo gli avvocati ricordano la protezione accordata ai testi
di accusa che vengono 'costantemente schermati', anche con continui e intempestivi riferimenti
all'istruttoria scritta e con richiamo, nei momenti di contestazione di espressioni che finiscono di fatto con
l'essere assunte dai testi in difficoltà, come modello di risposta possibile". Durante la
conferenza stampa è stata ricordata "la prassi oramai instaurata di interrompere nei momenti
caldi le deposizioni dei testimoni di accusa e il continuo appiattimento e svuotamento delle contraddizioni
ormai numerose in cui sono caduti finora, tutti i principali testi di accusa fin dal primo loro apparire".
Il documento conclude affermando che quanto succede in aula "impedisce la verifica del materiale
processuale e finisce col coprire le vere responsabilità per gli attentati alla Fiera e all'ufficio cambi
punto
d'inizio dell'istruttoria e primo atto della manovra provocatoria ed eversiva della destra, culminata nelle
bombe della 'strage di Stato' e tuttora in pieno svolgimento".
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