Rivista Anarchica Online
Pubblicità di piazza per il nuovo partito
di Marco S. / Roberto A.
Lotta Continua, Potere Operaio ed Il Manifesto stanno preparando il loro partito: in questa prospettiva
si può capire che dietro l'apparente assurdità delle loro ultime iniziative c'è una
esigenza di rilancio
pubblicitario ad ogni costo con occupazioni "artificiali" di case ed "artificiali" manifestazioni di piazza
MILANO - Via Tibaldi
I fatti
Il I Giugno, elementi di Lotta Continua e una quarantina di famiglie di sfrattati (a cui in seguito
dovevano
aggiungersene altre) occupavano uno stabile dell'Istituto Autonomo Case Popolari, non ancora ultimato,
in via Tibaldi. Questo stabile - che di popolare aveva in verità ben poco, sia nelle caratteristiche
di
costruzione sia nei prezzi di riscatto - veniva occupato per protestare contro le promesse non mantenute
del Comune di dare un alloggio a chi ancora viveva in "case" indecenti. Il mattino del 6 giugno, alle 6,
la polizia sgomberava l'edificio senza incontrare resistenza. Sembrava tutto finito: la polizia e le
autorità
avevano evitato una seconda Mac Mahon e i baraccati avevano ricevuto generiche assicurazioni di aiuto.
Invece no: dopo un'assemblea nella sede del "Manifesto", verso le 18 del 6 giugno i gruppi
extraparlamentari leninisti accompagnavano le famiglie degli sfrattati alla facoltà di Architettura
del
Politecnico, dove si installavano alla meglio, aiutati da studenti e professori. A sera, la polizia affluiva
attorno alla facoltà, dov'erano ormai asserragliate circa mille persone, oltre a quelle che
stazionavano nei
pressi; il procuratore della Repubblica De Peppo aveva ordinato lo sgombero, e alle 23 la polizia assaliva
Architettura, provocando scontri violentissimi in tutta la zona circostante che si protraevano sino alle 3
del mattino, e sgomberando la facoltà. La sera dopo, tuttavia, questa veniva rioccupata; vi era
in corso
un Seminario sui problemi della casa, con l'appoggio e la partecipazione del Consiglio di Facoltà
(che
aveva formalmente concesso ospitalità agli sfrattati), quando la polizia, all'alba del 9 giugno,
nuovamente
la disoccupava, facendone uscire a mani alzate gli occupanti per portarli in questura (Preside compreso).
Intanto, era morto il piccolo Massimiliano Ferretti, di sette mesi, la cui salute già precaria
è ulteriormente
peggiorata a seguito dei disagi patiti negli ultimi giorni, particolarmente durante le "disoccupazioni" in
cui
egli, vittima inconscia, era stato coinvolto. Ci sarebbe quindi un lungo discorso da fare, ma si cadrebbe
fatalmente in una facile retorica postuma, offensiva per la memoria di Massimiliano. Chiusa Architettura
fino al lunedì successivo, gli sfrattati dovevano essere accompagnati per evitare il dormitorio
pubblico -
alle ACLI, dove per il momento restavano, in attesa della degnazione di chi ancora una volta aveva
sparso
promesse (che non costano nulla) al vento. Infine, sabato 12 giugno si svolgeva una manifestazione
"contro il riformismo e la repressione borghese" sul tema della vicenda di via Tibaldi, a cui partecipavano
Avanguardia Operaia, Potere Operaio, Il Manifesto, Collettivo Gramsci, vari gruppi marxisti-leninisti,
Lotta Continua, numerosi gruppi e comitati di matrice eterogenea, oltre ad anarchici di alcuni gruppi
milanesi, in tutto 15-20.000 persone che percorrevano le vie della città da piazza Leonardo da
Vinci a
largo Cairoli, seguite per parte del corteo dal Movimento Studentesco e dall'Unione dei Comunisti (M.L.)
i quali, pur accodandosi, avevano ritenuto di dover tenere una manifestazione separata.
Lotta Continua Via Tibaldi ha dimostrato ancora una volta che Lotta
Continua e gruppetti affini, nell'impossibilità di dare
sbocchi politici concreti a una linea politica che non esiste, sono costretti a tentare con ogni mezzo di
rilanciare le "lotte" per farsi un po' di pubblicità squallida sulla pelle dei proletari e dei
sottoproletari
disposti (non per propria colpa) a stare al gioco, a farsi strumentalizzare. Ma dov'è l'"autonomia
proletaria" che Lotta Continua sbandiera indefessamente, con petulanza e incoerenza esemplari e invero
degne di miglior causa? Sta forse di casa in via Spallanzani. (1) La lotta di via Tibaldi è stata
guidata,
protetta, comandata, incanalata, indirizzata, inquadrata e sospinta da Lotta Continua & C., e i
proletari,
pur agendo nel proprio legittimo interesse, non erano di fatto che strumenti inconsapevoli nelle mani di
chi aveva tutto l'interesse ad usarli per i propri fini propagandistici e strategici; né c'è da
stupirsi, perché
ciò è perfettamente conseguente a tutta la logica degli operaisti; ciò che disgusta,
invece, è lo squallore
morale con cui Lotta Continua fa finta di non accorgersi dell'impudenza (che suona insulto di fronte a
chi realmente è oppresso e sfruttato) con cui va allegramente sbandierando il nome di
proletariato, mentre
nello stesso momento cerca nel modo più aperto ed evidente di soffocare e di corrompere sul
nascere la
potenzialità creativa di questo proletariato. È indicativo il fatto che la casa occupata si
trovasse, vedi caso,
proprio vicino all'O.M. e al Feltrinelli, dove Lotta Continua sperava evidentemente di aprirsi spazi nuovi;
se poi consideriamo la pessima posizione strategica della casa, l'assenza di servizi interni e le sue
caratteristiche generali che la rendevano fonte di sensibili disagi agli occupanti, mentre a Quarto Oggiaro,
per esempio, c'erano molte case occupabili, in condizioni complessive certo più favorevoli di
quella di
via Tibaldi), non possiamo non osservare che, nonostante quanto sopra, Lotta Continua e i suoi alleati
(Manifesto, Potere Operaio, etc.) non hanno ancora una volta ritenuto di dover porre i propri interessi
un tantino dietro quelli reali dei proletari; e hanno pensato bene che la "torre" di via Tibaldi faceva
perfettamente al caso "loro", ragionando anche per conto dei proletari, che, ovviamente, un cervello non
lo dovevano avere, in proprio. Così Lotta Continua ha deciso di "lottare" in via Tibaldi; tutto
questo è
bene sottolinearlo perché tutti - compresi quegli anarchici che ancora militano in Lotta Continua
e
gruppetti affini, convinti di partecipare a una azione "anarco-sindacalista" - lo capiscano.
L'"autonomia proletaria" Ancora una volta abbiamo potuto notare
come Lotta Continua e i leninisti suoi comprimari mistifichino
il concetto di "autonomia proletaria". In realtà la monopolizzazione e la strumentalizzazione di
tutta la
vicenda di via Tibaldi (anche nelle bandiere, le scritte, etc.), la ricerca folle e ad ogni costo dello scontro
anche contro la volontà dei proletari "da servire", hanno dimostrato che nulla di più
vuoto e fumoso esiste
delle vesti pseudolibertarie di tanto in tanto assunte dal camaleontismo leninista: Lotta Continua non
può,
per sua natura, realizzare o concorrere a realizzare alcun tipo di autonomia proletaria; appunto
perciò
cerca di far passare tesi mistificatorie sull'argomento. Quando l'autonomia proletaria realmente si
realizzò,
essa non fu opera di leninisti e su basi leniniste, ma fu prodotto di masse già notevolmente
coscienti e
sensibilizzate e comunque influenzate in modo cospicuo dall'idea libertaria, e gestita dalle masse stesse
su basi incontestabilmente libertarie (Torino, Kronstadt, Barcellona, etc.); perché non si
può pretendere
di affermare che l'autonomia proletaria debba essere scevra nel modo più assoluto da qualsiasi
contenuto
"ideologico"; a questo livello, anche i proletari fascisti sono autonomi; autonomi sì dal partito
comunista,
dalla burocrazia delle strutture tradizionali, da un'ideologia che li egemonizzi in senso stretto, ma
"autonomi" anche dai propri interessi e dalla rivoluzione. Ma che razza di autonomia proletaria è,
quella
controllata di fatto da gruppi che parlano di "agire da partito"? L'autonomia proletaria può essere
tale solo
se essa è profondamente e precisamente fondata su basi libertarie e indirizzate in modo
inequivocabile
verso l'anarchismo, perché solo esso può garantire la reale e completa autonomia di
ciascun individuo,
nell'ambito sociale, da ogni sovrastruttura alienante e caratterizzante un sistema fondato
sull'autorità e
sullo sfruttamento.
La posizione degli anarchici Per questo le nostre posizioni divergono
non solo da Lotta Continua e dai gruppetti che hanno promosso
e "gestito" l'occupazione (sul cui modo di comportarsi abbiamo ben fondati motivi di critica), ma anche
da coloro che, non partecipando all'azione, l'hanno poi criticata in un modo che indubbiamente non
possiamo condividere, e da cui teniamo a distanziarci con una chiara discriminante: il Movimento
Studentesco, anziché seguire fino in fondo il proprio ruolo attuale di forza studentesca e
sindacalcorporativa, è stato costretto dai fatti a recitare una parte che non è la sua,
seguendo con l'UCI
una parte del corteo unitario pur di non isolarsi dalle "masse" che stavolta non erano andate in Via Festa
del Perdono, ma dovevano essere inseguite per le vie della città. La forzatura "tattica" risultava
però
evidente, il M.S. non trovava di meglio che gridare al passaggio del corteo "viva il compagno Giuseppe
Stalin" e farsi il suo comizietto scisso alla fine. La nostra, ad ogni modo, non è certamente una
critica di
metodo fine a se stessa; prima è critica di principio, come di principio sono le divergenze che ci
separano
da coloro che non agiscono per gli interessi del proletariato ma per quelli dei tecnoburocrati e dei
borghesi. Il PCI, per esempio, non è a caso bensì adempiendo ad un suo preciso ruolo
storico che proprio
nel periodo precedente alle elezioni si presenta come "partito d'ordine", condannando le prese di
posizione "estremiste e irresponsabili" di tutti coloro - e non solo di quelli che oggettivamente si sono
comportati in modo avventurista - che hanno avuto una parte attiva nella vicenda di via Tibaldi. Nel
contempo, però, non tralascia di notare il comportamento dei "cattivi" poliziotti, e sparge
generose e
convenienti lacrime sul povero Massimiliano Ferretti, calde quasi come quelle in cui poeticamente Pintor
si scioglie sul "Manifesto-quotidiano comunista". In via Tibaldi, c'erano anche alcuni anarchici che
hanno fattivamente partecipato alle occupazioni (tutti
o quasi a livello personale). Ora, indubbiamente questi compagni non hanno con ciò inteso di
"servire
le masse" ovunque esse siano, bensì hanno oggettivamente dimostrato con la loro azione che la
partecipazione dei libertari all'emancipazione del proletariato non sia una vuota affermazione, una
formula
rituale, ma corrisponda invece al desiderio (che si concretizza con una presenza fisica reale) di rendere
politicamente coscienti le masse ponendo nel contempo di fronte a tutte le proprie responsabilità
i loro
strumentalizzatori.
Conclusioni A questi compagni è ora comunque oltremodo
chiaro che Lotta Continua & C. non sono capaci per
propria precisa scelta di distinguere politicamente tra ciò che "è giusto" e ciò che
invece conviene
realmente ai fini della causa e della sua realizzazione ultima, e limitandosi così a una visione
utopistica
e vegetativa della rivoluzione, quale fatalità del tutto scissa dalle nostre azioni quotidiane ed alle
loro più
prossime conseguenze, come se la rivoluzione venisse, con l'Età dell'Oro, per sua spontanea
fioritura o
per ispirazione dei santi spiriti, come suprema degnazione del Cielo. La rivoluzione, invece, si costruisce
giorno per giorno, ponderando e collegando ogni singola azione nella prospettiva della prossima, (altro
che lottadurasenzapaura), evitando quella visione limitativa e giornaliera degli obiettivi rivoluzionari che
contraddistingue gli operaisti: non è saccheggiando i supermercati, distruggendo gli uffici dei
dirigenti,
cercando i fascisti sulle piazze e non dover realmente si annidano, mandando deliberatamente al
massacro
i proletari e gli immigrati (scontri di Torino), cercando sempre e ad ogni costo le "lotte dure", le "lotte
bellissime", gli scontri regolarmente perdenti, dando adito inconsciamente a provocazioni che non
attendono che il momento buono (e così glielo si da), non è in questo modo infantile e
avventuroso che
si fa la lotta di classe, che si prepara la strada per la rivoluzione, anche solo quella leninista e burocratica
(e sarebbe follia pensare che i leninisti vogliano una rivoluzione libertaria). Con questo modo di agire si
forniscono solo nuove armi alla propaganda e alla reazione del sistema (come se non ne avesse
già
abbastanza), per stroncare e reprimere il movimento rivoluzionario.. Un movimento antiburocratico di
massa, che realmente si proponga di essere tale, non è né avventurista né
pseudopartitico, è bensì
l'espressione anche talora a livello minimale (le piccole lotte di tutti i giorni) della generalizzazione della
spinta di classe unificata e razionale, e non certo della fretta distruttiva e suicida di chi non ha né
forza
né idee per imporre la propria logica alle masse, e allora, cerca di farsi passare per "amico" delle
masse,
un "amico" antiburocratico, antistalinista e magari estremista radicale.
Marco S.
(1) Sede "di base" di Lotta Continua a Milano.
TORINO - Porta Palazzo
I fatti sono noti. Il 29 maggio, a Torino, polizia e carabinieri attaccano un corteo di Lotta Continua
contro
la repressione padronale in Fiat. Ne nascono duri scontri, che si protraggono per alcune ore in varie zone
del centro. La conclusione sono 56 arrestati, parte del gruppo extra-parlamentare, parte "compagni di
strada" della popolare Porta Palazzo, parte, come sempre, curiosi presi per sbaglio (oltre, pare, a tre
provocatori fascisti). Il processo è stato celebrato per direttissima e si è concluso ai primi
di luglio con
pesanti pene per gli imputati: condanne superiori all'anno di carcere (e perciò escluse dalla
condizionale)
per 11 degli arrestati (N.d.R.). La responsabilità diretta della battaglia è stata
certamente delle forze dell'ordine. La prima, inconsulta,
carica di una trentina di carabinieri è stata probabilmente il frutto della vecchia rivalità
tra la "benemerita"
e la pubblica sicurezza, una specie di tentativo di battere sullo sprint i concorrenti della PS. Sta di fatto,
comunque, che l'occasione, per tutti i repressori, grandi e piccoli, era troppo propizia per non
approfittarne. C'era la possibilità di dare una buona mazzata (anche nel senso più letterale
del termine)
a Lotta Continua, e, contemporaneamente, di ridare fiato alla comoda solfa del pericolo estremista che
compromette la pacifica convivenza dei cittadini. Entrambe le cose, puntualmente, sono state realizzate,
la prima con l'aiuto disinteressato dei picchiatori fascisti, che hanno dato man forte ai poliziotti, la
seconda
con l'appoggio della solita "Stampa". A questo punto, però, sorge un problema. È
possibile che tutto questo non sia stato messo nel conto, da
chi ha organizzato il corteo? È possibile, cioè, che nessuno abbia pensato alla
possibilità di un risultato
tatticamente negativo (gente in galera, cattiva pubblicità, ecc.)? Sembra di no, avendo a che fare
con
persone che, il più delle volte, hanno sulle spalle anni di esperienza in questo campo. E allora
resta da
spiegare perché il corteo sia stato fatto lo stesso; anche perché era dagli scontri di corso
Traiano che a
Torino l'esperimento non veniva ripetuto. Almeno nei termini con cui è stato "riproposto" il 29
maggio.
La spiegazione, anche se, probabilmente, molti non la troveranno di proprio gusto, viene fornita
inconsciamente dal numero 10 (11-6-'71) di Lotta Continua, imperniato con grande rilievo sui fatti in
questione. ... "La manifestazione di Torino è venuta al culmine di una forte ripresa della lotta
autonoma
alla Fiat: il giorno prima, un corteo di 6.000 operai delle carrozzerie... aveva spazzato le officine dai
crumiri e fatto scappare capi, guardiani e fascisti..." ... "La manifestazione... è stata
un'occasione, per
le avanguardie operaie, di presentarsi, anche fuori della fabbrica, come punto di riferimento di questa
lotta." ... "Quando giovedì i segretari generali dei metalmeccanici sono entrati dentro la fabbrica
a fare
la loro parte di demagogia, gli operai hanno riportato il discorso sugli scontri di sabato, sul loro valore
esemplare..." ... "Sanno (gli operai)... che non c'è forza operaia, organizzazione di massa che
possa
crescere senza una prospettiva e un'avanguardia generale...". (pag.2). Cosa significa questo discorso?
Significa che Lotta Continua si sente in crisi, che comincia ad avvertire
la paura di perdere il contatto con le masse verso cui ha finora indirizzato la propria azione: la lotta per
"far scappare i capi, i guardiani e i fascisti" è ben poca cosa se non conduce a risultati concreti,
ad effettivi
mutamenti delle condizioni e dei rapporti di lavoro (piccoli o grandi che siano), e rischia di non bastare,
alla lunga, a tutti gli operai che non chiedono solo di scaricare la propria ira e il proprio risentimento, ma
di progredire nella lotta. Ed allora è necessario un punto di riferimento "anche fuori dalla
fabbrica", e
poco importa se la portata politica di esso è zero, poco importa se la forza contrattuale non viene
aumentata di un briciolo dalla guerriglia urbana, quello che conta è potere, in fabbrica, "Portare
il
discorso sugli scontri" invece di stare a sentire i dirigenti sindacali. È giusto ricordare, qui, (visto
che Lotta
Continua se lo dimentica) che proprio in quei giorni erano in corso le trattative per la vertenza dei
metalmeccanici, trattative che se da un lato interessavano parecchio gli operai, per gli effetti concreti che
potevano portare (in bene o in male) sulla loro esistenza, dall'altro vedevano completamente estromessa
Lotta Continua, la quale non è ancora arrivata a sedersi al tavolo davanti al padrone, come invece
i
sindacati. Il parlare di paura di perdere i contatti, quindi, non è un'affermazione gratuita e
ingenerosa, ma
è un'interpretazione confortata dai fatti. I sindacati sono ancora troppo forti, perché
hanno da buttare sul
piatto della bilancia risultati concreti, soldi, tempi di lavoro, concessioni, poca cosa spesso, ma sono fatti
e non solo parole. Al dunque, nonostante i cali di credibilità, le sputtanature e tutto il resto, sono
ancora
loro a raccogliere l'eredità delle lotte, a essere capaci di dare un risvolto pratico, tangibile, alle
agitazioni,
ai picchettaggi, al risentimento. Intendiamoci. È chiaro che il ristabilirsi del potere e
dell'autorità sindacale
all'interno della fabbrica è un passo indietro, per l'autonomia delle lotte Fiat e operaie in genere,
e che,
come tale, va combattuto con tutte le forze. Ma non si contrasta questo rinnovato potere cambiando
semplicemente discorso, perché significa solo sostituire una demagogia con un'altra. Il problema
è, si,
esautorare i sindacati, ma per sostituire ad essi la vera autogestione delle lotte di fabbrica. È la
funzione
che svolgono che deve essere abolita, non tanto la loro credibilità, che si distrugge da sola man
mano che
essi vengono effettivamente isolati dal sorgere di altre strutture di lotta, genuinamente
rivoluzionarie. Stando così le cose, il tentativo di sostituire alle lotte interne, un obiettivo
vago fuori della fabbrica (la
"prospettiva generale") vuol dire solo inventare un diversivo, un altro terreno sul quale è ancora
possibile
tenere il controllo delle masse (o sperare di farlo) perché l'altro, la lotta dentro, ha
al momento un
concorrente ancora troppo efficiente. Lotta Continua, non essendo riuscita, in due anni di intervento, a
strappare ai sindacati il controllo delle lotte, tenta di mascherare l'insuccesso con dei falsi obiettivi.
Significa che la ragione d'essere di questo gruppo è solo quella di sostituire alla dirigenza
sindacale la
propria dirigenza, o che, comunque, questo è l'unico effetto obbiettivo del tipo di azione che esso
porta
avanti. È significativo, a questo proposito, vedere come il citato numero di Lotta Continua si
preoccupi,
a più riprese (pag.3, pag.8 e 9, ecc.), di dimostrare di non essere "tagliata fuori" dalle lotte, di
essere
amata e seguita dai proletari, nonostante la propaganda padronale. È significativo vedere come
la
repressione in fabbrica venga sempre presentata (pagg.10 e 11) come un fatto a sé stante, senza
tentarne
la spiegazione nell'attuale contesto: sarebbe pericoloso e imbarazzante, in questo momento, parlare del
tentativo padronale di aiutare i sindacati a riprendere il controllo della situazione, proprio ora che
c'è
bisogno di far digerire alcune pillole amare. È significativo l'articolo di pag.7, evidentemente
scritto per
coloro che incominciano a dubitare del carisma rivoluzionario di Lotta Continua, in cui si fa specifico
riferimento al "clima" di Corso Traiano e al rialzo delle "azioni" del gruppo, oltre che, inconsciamente,
lasciare confondere tra rivoluzione e scontro di piazza. Tutto ciò, come si diceva all'inizio,
potrà non
piacere a molti, che si sono abituati, ormai, a vedere in Lotta Continua l'unica forza rivoluzionaria capace
di un certo seguito tra le masse. Ma così non sarebbe, se si avesse il coraggio di guardare le cose
con un
poco più di attenzione. La caratteristica principale di Lotta Continua, infatti, è di non
avere un'ideologia esplicita, quale che sia.
Il che non significa che i partecipanti non sanno "perché fanno quello che fanno". Probabilmente
lo sanno
benissimo. Ma è un fatto che queste motivazioni non vengono mai portate nei luoghi di
intervento: al loro
posto c'è invece una sorta di "sindacalismo incazzato", che consiste nel raccogliere e far proprie
tutte le
proposte più avanzate di qualunque contesto sociale, esasperandone le conseguenze. Il che
permette
anche di adeguarsi senza sforzo a situazioni molto diverse, dalle lotte operaie a quelle impiegatizie, dagli
interventi nelle scuole a quelli nei quartieri poveri, dai problemi del proletariato industriale a quelli dei
sottoproletari e dei braccianti agricoli. Sempre senza un apporto teorico vere e proprio, ma piuttosto con
delle parole d'ordine generiche (L. C. per il comunismo, Prendiamoci la città, ecc.) che appaiono
rivoluzionarie ma che non spiegano, in realtà, perché quella azione, quella proposta,
quella rivendicazione
siano una strada per la società senza classi. In tre anni di presenza in quasi tutte le lotte
sociali del nostro paese, il gruppo si è ampliato, da gruppo
è diventato una organizzazione con vertice e base, quadri dirigenti efficienti e ramificazioni in
tutte le
maggiori città. Non avendo ideologia da esportare, ha esportato soprattutto strutture vicino ai vari
luoghi
di intervento. Eppure, in tre anni, non ha creato la minima struttura di lotta dentro i luoghi
di intervento,
ha organizzato efficacemente se stesso ma non gli uomini e le donne cui si rivolgeva. Perché
sempre, il
punto focale di ogni lotta è il gruppo, con la sua efficienza, con la
sua struttura, con il suo sapere. E il
gruppo è sempre fuori dall'ambiente in cui si svolgono le lotte, interviene in esse ma non nasce
con esse. Se un gruppo di questo genere voglia fare la rivoluzione, è una domanda cui si
può anche rispondere non
so. Ma che possa farla, quali che siano le sue intenzioni, è certamente impossibile.
Quali che siano le
intenzioni, l'unico effetto di un'azione impostata in questo modo è la creazione di una nuova
dirigenza,
un nuovo interlocutore con cui la classe al potere dovrà, un giorno, fare i conti per la
riproduzione di
privilegi. Il che, ci sembra, è quanto di meno auspicabile possa esistere. Agli sfruttati bastano
ampiamente
i dirigenti attuali.
Roberto A.
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