Rivista Anarchica Online
Il barone della lira
di Emilio Cipriano
Il programma dei padroni nella relazione del Governatore della Banca d'Italia
Il 31 maggio si tiene a Roma. Una rappresentazione noiosa nella forma,
condotta con linguaggio da
iniziati che però ha un enorme interesse per le forze determinanti del potere
italiano. È lo show di Guido Carli, Governatore della Banca d'Italia, conosciuto anche come
"il Barone della Lira". Nostro compito sarà quello di enucleare i punti di maggiore interesse
del programma padronale enunciato
da Carli per poter conoscere gli intenti degli sfruttatori e per tenerne conto anche nell'azione politica
quotidiana.
La relazione di Carli
La relazione del Governatore della Banca d'Italia prende le mosse da una analisi della situazione
finanziaria mondiale, con particolare riguardo al fenomeno più macroscopico di quest'ultimo
anno: il
decadimento della funzione del dollaro come moneta internazionale. È rilevante questa
constatazione
perché comporterà tutta una serie di scelte economiche impensabili fino a pochi anni
fa. La guerra nel Vietnam non rappresenta solo la sconfitta del più potente esercito del
mondo, ma ha portato
il sistema economico che lo sostiene ad un punto critico. Infatti la bilancia U.S.A. dei pagamenti con
l'Estero si è chiusa con sempre maggiori disavanzi a causa dell'uscita di capitali sempre maggiori
sia per
sostenere la guerra sia per sostenere al potere governi fantoccio. Risultato di questo processo
inflazionistico è la diminuita competitività sui mercati internazionali dei
prodotti americani per la semplice ragione che non risulta più conveniente come una volta per
gli
imprenditori U.S.A. vendere all'estero prodotti che al cambio ufficiale vengono pagati con valuta estera
con differente potere d'acquisto essendo il dollaro una moneta inflazionata ma non svalutata. Dopo
aver pianto sull'economia degli Stati Uniti, il "Barone della Lira" passa quindi a versare ben più
calde lacrime su quella italiana. Inizia con il deplorare l'azione degli operai che vogliono sempre
maggiori aumenti salariali e che così
facendo mettono in crisi le imprese. Il Governatore Carli precisa però che le
difficoltà maggiori le incontrano le imprese di piccola o media
dimensione, perché non essendo influenti sul mercato non riescono a trasferire sui prezzi i
maggiori costi. Questa constatazione apre per noi una serie di interrogativi molto importanti. Le
grandi imprese private, a partecipazione statale o statali (FIAT, PIRELLI, MONTEDISON, IRI, ENI,
ecc.) riescono a trasferire sui prezzi tutti quegli aumenti e quelle perdite che subiscono dalle lotte operaie,
dal che si arriva all'affermazione che sembrerebbe assurda a tutta prima ma che purtroppo contiene
un'enorme verità: gli sfruttati in questo momento storico stanno inconsciamente facendo il gioco
del
grande padronato privato e della burocrazia statale. Le medie imprese (per intenderci quelle con un
numero di operai dalle 50 alle 300 unità circa) sono
quelle che in questi anni affollano maggiormente gli elenchi delle procedure di fallimento. Non ci
prenderemo certo a cuore la sorte di questi sfruttatori a formato ridotto; la nostra preoccupazione
è invece di riuscire a intaccare il potere dei grandi dell'economia italiana e fino ad ora le lotte
operaie non
ci sono riuscite. D'altro canto Carli rivolge un'esortazione affinché la validità di
rappresentanza dei sindacati venga
mantenuta intatta al fine di poter inquadrare i lavoratori nell'ambito della programmazione come una
componente non soggetta a sbalzi continui. Partendo da questa analisi della realtà economica
italiana il Governatore della Banca d'Italia arriva a
formulare le sue proposte a breve termine per la ripresa produttiva: a) fiscalizzazione
di parte degli oneri sociali delle piccole e medie imprese, cioè sgravio dei contributi a
carico degli imprenditori; b) restituzione dell'I.G.E. sugli esborsi per investimenti
industriali. Accanto a queste proposte cardine (e che più che proposte appaiono direttive
vincolanti tant'è che
successivamente sono state incluse, sia pure parzialmente nel decreto-legge del 3 luglio 1971) ne abbiamo
un'altra di estremo interesse. Carli critica l'eccessivo aumento della rendita edilizia (cioè gli affitti
divenuti
troppo elevati) come fenomeno di perturbazione della posizione di equilibrio. I fitti elevati - dice Carli
-
concorrono ad accentuare le richieste di aumenti salariali e di conseguenza a far rialzare i costi di
produzione che, in ultima analisi, si riflettono in un aumento dei prezzi. Carli, quindi, propone di
estendere la proprietà degli alloggi ai lavoratori ma in maniera veramente
curiosa: non più attraverso il possesso diretto dell'appartamento, bensì indirizzando i
risparmi dei
lavoratori all'acquisto di titoli mediante i quali si finanzieranno le nuove costruzioni. Questa proposta
è indicativa della linea di sviluppo dell'economia italiana: la statalizzazione. Non difenderemo
certo noi la proprietà privata (anche se nel caso di appartamenti ad uso diretto la
proprietà non è certo di danno a nessuno) ma purtroppo scorgiamo in questa proposta
il tentativo di
ingannare una volta ancora gli sfruttati. Non basta più fargli sudare quattro soldi risparmiati
per prendere un appartamento, e sfuggire così alle
grinfie dei padroni di casa, si vuole arrivare anche alla beffa di trasformare la proprietà diretta
sul bene,
e quindi esclusa dall'influenza dello Stato alla proprietà mediata attraverso la titolarità di
un diritto. Senza tener conto che per amministrare questi fondi si avrebbe una fioritura di burocrati
d'ogni livello
pronti a pascersi anche di questi denari strappati e lavoratori. La GESCAL insegna.
Considerazioni e conclusioni
La situazione economico-sociale in Italia è estremamente complessa, presenta situazioni
contraddittorie,
realtà difficilmente analizzabili. Il nostro è un momento di transizione nel quale i
fenomeni sociali si sviluppano con grande intensità,
stiamo assistendo alla morte di un modo di sfruttamento e alla nascita, purtroppo, di un
altro. Vagliando la realtà molto grossolanamente, (non è in questa sede che
intendiamo fare un discorso
esauriente e convincente sul fenomeno storico in atto), a livello operativo, si possono individuare le due
grosse componenti dell'economia italiana: le forze capitalistiche contraddistinte dalla proprietà
privata dei
beni e le forze tecno-burocratiche portatrici del nuovo modo di sfruttamento del lavoro attraverso la
posizione di potere occupata nella gerarchia aziendale e sociale. In questo contesto - ripetiamo
schematico - qual è la funzione della Banca d'Italia? Pur essendo organo prettamente statale,
pur essendo Carli un esempio tipico di burocrate da somme sfere,
nondimeno la politica creditizia della Banca d'Italia assolve la funzione di mediazione tra il risparmio
capitalistico e, soprattutto, piccolo-capitalistico con le esigenze dei grandi trusts a partecipazione
statale. Risulta quindi comprensibile l'aiuto offerto ai piccoli e medi imprenditori per salvare i loro
profitti e
metterli in condizione di attuare ancora la loro funzione sfruttatrice. L'aiuto offerto non è
però disinteressato. Mantenendo in vita questo tipo di aziende la Banca d'Italia fa
un grande servizio agli oligopoli italiani che non sono ancora in grado di produrre quei beni e quei servizi
indispensabili alla loro produzione e alle esigenze dei consumatori. Bisognava quindi realizzare un
programma economico che eliminasse dal mercato queste imprese a
conduzione capitalistica in tempi lunghi al fine di permettere ai trusts di creare nel proprio seno quelle
produzioni oggi in mano alle piccole imprese. Per di più questa politica economica crea i
presupposti di
una ingerenza dello Stato anche in quei settori che fino ad oggi avevano conservato una discreta
autonomia nei confronti dello Stato-imprenditore. Con i provvedimenti di salvataggio tutta un'estesa
fascia di imprese viene a trovarsi alla mercè dello Stato
che dispone dei loro destini elargendo o meno concessioni e sgravi. Nessuno stupore se i maoistelli
nostrani grideranno i loro slogans antitetici al nostro discorso, questi
acceleratori dello sviluppo statale fanno il loro gioco, credono nello Stato e debbono credere che lo
sfruttamento sia solo capitalistico o "revisionista". Noi anarchici lo Stato lo combattiamo come abbiamo
combattuto e combattiamo lo sfruttamento capitalistico. Bisogna però cercare di capire chi
veramente sta dall'altra parte della barricata, per non sparare su chi sta
già agonizzando per colpa del nuovo nemico degli sfruttati. Ed oggi il vero nemico è la
tecno-burocrazia
insediata nei luoghi principali del potere: lo Stato e gli oligopoli. Questo Stato oggi applica una
politica di intervento economico che con un'operazione non troppo
dolorosa esautori definitivamente il potere capitalistico e che nel contempo freni le lotte operaie dando
vigore ed importanza alle centrali sindacali inserendole nel processo decisorio della
programmazione.
Emilio Cipriano
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