Rivista Anarchica Online
Leone: una sconfitta tattica
a cura della Redazione
... E così, con buona pace degli
antifascisti i "rappresentanti del popolo italiano" non hanno eletto alla "suprema carica
dello stato" Sua Nanità levatrice temutissima di colpi di stato e di altre diavolerie reazionarie
ed in cambio, con una bella maggioranza di centro destra, ci hanno regalato Leone.
Avevamo vista come improbabile (non impossibile, perché nulla è impossibile nel
mondo dei professionisti della politica) l'elezione di Fanfani, perché uomo di ambizioni
troppo scoperte, di trascorsi politici troppo sporchi, di antipatie troppo accese. L'elezione di Leone
invece ci ha in un primo momento stupiti. Meglio, non ci ha stupiti la scelta della persona
(politicamente abbastanza insignificante) quanto la composizione dello schieramento vincente che ci
è parso troppo scopertamente squalificante e, a prima vista, troppo umiliante per la sinistra
(dalle frange sinistrorse della DC al PCI).
Noi eravamo e siamo convinti che, nonostante l'apparenza e nonostante il gran parlare di
slittamento a destra, la politica italiana sia destinata a spostarsi progressivamente a sinistra sino a
comprendere il PCI nell'area governativa. Siamo convinti che questa sia un'evoluzione
necessaria perché richiesta oggettivamente dallo sviluppo economico ed insieme
dalla situazione politica italiana. Infatti la sopravvivenza e più ancora lo sviluppo del
"sistema" sono legati ad una programmazione sempre più estesa, minuziosa ed
efficiente dell'economia. Ciò presuppone un crescente intervento anche diretto
dello stato (tipico delle ideologie che "confondono" la statalizzazione con la socializzazione) ed un
crescente controllo sui lavoratori, sulla loro combattività e sulla loro produttività.
Poiché in Italia il movimento operaio è controllato dalle tre centrali sindacali (in via di
unificazione), e poiché sui sindacati italiani è forte e ineliminabile l'influsso quasi
egemone del PCI, senza la collaborazione del PCI è inconcepibile in Italia quella relativa
"pace sociale" (cioè la riduzione della "conflittualità operaia" entro limiti accettabili
dal sistema o addirittura utili per il suo sviluppo) senza la quale non è possibile una
programmazione effettiva. Ecco perché riteniamo che, per quanti fremiti reazionari
scuotano bottegai, impiegati, agrari e piccoli imprenditori, un reale slittamento a destra sia
improbabile. Per questo ci siamo stupiti, per un attimo, al vedere eletto un presidente senza
l'approvazione del PCI, anzi apparentemente emarginandolo. Ci siamo stupiti perché (c.f.r. a
9, L'antifascismo) riteniamo la scelta del capo di stato un episodio non determinante ma
indicativo degli equilibri di potere all'interno della classe dominante ed un presidente di
centro-destra apparentemente indicava un'inversione di tendenza.
Ci siamo stupiti ma non ci siamo sognati di attribuire all'elezione di Leone quei significati di
catastrofica svolta a destra che ci eravamo già rifiutati di attribuire all'eventuale elezione di
Fanfani. Infatti al di sopra di questo episodio, la
sostanza della vita politica è rimasta immutata: Colombo, come era previsto e
com'è tradizione, ha dato le dimissioni, ma verosimilmente lo seguirà un altro
governo di centro-sinistra con la stessa politica economica. E allora perché questo
episodio? Innanzitutto non bisogna dimenticare che momentanei ed a volte solo apparenti arresti ed
arretramenti non contraddicono una linea di tendenza oggettivamente determinata. Nel caso specifico
l'arretramento è legato alle contraddizioni interne della DC. La DC è stata infatti con
le sue lacerazioni la protagonista dell'episodio elezioni presidenziali. La DC, come è noto,
più che un partito è una federazione di partiti, un microcosmo in cui sono
rappresentati tutti i livelli di sviluppo economico e tutte le conseguenti scelte politiche del padronato
italiano. All'interno della DC, pertanto, si riproduce anche la lotta fra i diversi gruppi di potere, fra
riformisti e reazionari, fra sinistra e destra e l'unità della DC è sempre un miracolo di
compromessi, un delicatissimo equilibrio di interessi la cui unica matrice comune è la
conservazione del potere. Nell'elezione presidenziale, le resistenze della destra democristiana ad
una candidatura scopertamente di sinistra hanno portato al lunghissimo
impasse ed infine al compromesso unitario di un candidato neutro. Questi, ponendosi
di fatto come alternativa al candidato delle sinistre è stato volentieri votato dai moderati del
PRI e del PSDI ed ancora più volentieri dai liberali e dai missini.
Una sconfitta, per la sinistra, episodica e non indicativa d'altro che delle contraddizioni
democristiane (cioè padronali). Una sconfitta non solo episodica ma anche
tatticamente accettata dalla sinistra che ha evitato infatti di proporre o sostenere
candidature alternative possibili di centro-sinistra (un Moro, ad esempio)
che avrebbe evitato quasi certamente una maggioranza di centro-destra ma rischiato insanabili e non
volute fratture interne alla DC. Una sconfitta tattica, dunque, che ha paradossalmente portato
più vantaggi che svantaggi alla politica di centro-sinistra ed in particolare alla DC ed al
PCI.
Infatti il grosso problema della DC era ed è la fuga a destra della parte più
idiotamente retriva del suo elettorato, che le contesta il dialogo con i comunisti: quale migliore colpo
propagandistico per fermare l'emorragia a destra, che l'elezione di un presidente non sospettabile di
filo-comunismo, attraverso una maggioranza di centro-destra? D'altro canto il PCI si trova alle prese
con un problema simmetrico di contestazione da sinistra, accusato dagli extra-parlamentari (e
sospettato anche da parte della sua base) di tiepidezza rinunciataria, di cedimenti nei confronti della
DC: quale migliore risposta propagandistica a quelle accuse (e a quei sospetti) che un "fermo blocco
di sinistra" con PSI, PSIUP e Manifesto?
Bisogna tener presente che né alla DC può interessare la collaborazione di un
PCI privo di prestigio fra i lavoratori (e quindi non in grado di controllarli) né al PCI interessa
la DC troppo indebolita da una emorragia di voti a destra. All'appuntamento storico, DC e PCI
devono arrivare forti e prestigiosi, altrimenti la loro collaborazione sarebbe improponibile o
fallimentare. Date le resistenze che nei due partiti e fra i loro elettori esistono a questo incontro
apparentemente contro natura, la marcia di avvicinamento deve essere cauta, deve accettare
delle soste di recupero. Come l'elezione di Leone.
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