Rivista Anarchica Online
I padroni delle parole
Cari compagni, ho seguito attentamente sulla
vostra rivista, la discussione sulla "scienza dei padroni"... ... Sono perfettamente
d'accordo con R. Brosio... Il sapere sviluppato entro istituti posseduti in
esclusiva da una classe, rimane sempre un sapere di classe; la scienza rimane idealistica, formalistica,
sterile: essa rimane rivolta contro gli interessi di coloro che non ne sono in possesso. È un sapere
che
nei suoi momenti, sociale, storico, economico, giuridico, tecnico non può essere che in funzione
degli
interessi di chi lo possiede, della classe che lo possiede, come unico e geloso
proprietario. Tutti devono lavorare manualmente, tutti devono studiare - dicono gli
anarchici. Il sapere, CREATO
DAL LAVORO DI TUTTI GLI UOMINI, deve ANCHE essere ORGANIZZATO, SAPUTO da tutti
gli
uomini, deve essere patrimonio comune, non di pochi privilegiati che lo organizzano e lo elaborano
secondo i fini propri e della propria classe. Solo questo è parlare rivoluzionario
e scientifico. È QUESTO CHE RENDE IRRICONCILIABILI
ANARCHISMO E AUTORITÀ. Oggi nelle università del mondo
definito borghese o del mondo socialista, in questi castelli medievali
del privilegio, impera l'idealismo, il formalismo e la teologia esattamente come sempre: formalismo
e dialettica di comodo che hanno la pretesa di determinare la scientificità o meno di ogni ramo
del
sapere e di ogni affermazione, ma che in realtà vengono applicati al fine di rendere tutto
incomprensibile a coloro che non fanno parte dei privilegiati in possesso dei mezzi intellettuali, alla
grande massa degli esclusi. È in questi castelli della contraddizione e
dell'idealismo che viene creata la scienza giuridica,
sociologica, economica ecc.; scienze in cui tutto ciò che è qualcosa viene
trasformato in parola ed in
comodo strumento di questi padroni delle parole, servi essi stessi del
potere. Gli anarchici lottano con e per la fiducia nella ragione. Lottano contro le parole
vuote ed
incomprensibili, contro le parole prive di contenuto reale. Avversano la scienza borghese allo stesso
modo che la società borghese: essa non è ragione come non è ragione tutto
ciò che implica
contraddizione, essa non è che un miserabile sforzo di conciliare lo sfruttamento con
l'incredulità che
oppone la ragione degli sfruttati (conciliare la libertà e l'uguaglianza di cui sempre parlano
borghesi
e piccoli borghesi, con eserciti, polizie, padroni e dittatori). Solo il sapere creato DA
TUTTI GLI UOMINI, ORGANIZZATO DA TUTTI ARRIVERÀ AL PUNTO
IN CUI FORMA REALE DELLE ASPIRAZIONI DI OGNI UOMO E FORMA DELLA
SOCIETÀ
SARANNO LA STESSA COSA. ALLORA TERMINERÀ L'ACCADEMIA E
NASCERÀ LA SCIENZA...
L. G.
Caro Brosio, ho letto con interesse la tua risposta a Guido
Montana e ad Emilio Celiandro: "La scienza dei
padroni", in "A", n.8, novembre 1971. Non desidero considerare globalmente una polemica che non
ho seguito nelle sue prime battute e che va così dilatandosi da perdere i precedenti contorni per
assumere la dimensione di un discorso sulla scienza. Ritengo opportune, però, alcune
precisazioni. - Il mito della scienza "pura" (se per tale intendiamo la scienza che
procede per linee di sviluppo
interne senza porsi obiettivi estranei a sé) non nasce "oggi" con la sostituzione delle cosidette
élites
economiche da parte delle élites tecnoburocratiche (aggiungo a questo punto che non concordo
completamente con la tesi che identifica la classe dirigente con la classe dominante). La scienza come
"sapere neutrale" è un modello storico legato alle vicende della Rivoluzione Francese (o meglio
alle
vicende postrivoluzionarie); alla crisi della cultura illuminista, nel cui ambito la scienza era fortemente
finalizzata ed aveva il compito di contribuire alla razionalizzazione della realtà; all'affermarsi della
specializzazione in campo scientifico con la conseguente perdita di interessi generali. La tentazione
dello scienziato alla scienza "neutrale" e quindi al disimpegno politico, al rifiuto di ogni
responsabilità
culturale, nasce dalla frattura, verificatasi agli inizi dell'800, tra la cultura umanistica e la cultura
scientifica. La tendenza a separare le scienze umane dallo studio della natura favorisce il venir meno
di quell'impegno, comune a filosofi e scienziati illuministi, di intervenire sulla realtà. Ma il
relativo
distacco tra scienze teoriche e scienze applicate (isolato è il caso della Francia, dove le esigenze
del
Governo Rivoluzionario prima e delle guerre napoleoniche poi stimolarono una tecnologia nata e
guidata dalla scienza teorica) non poneva immediatamente il problema della utilizzazione dei risultati
scientifici. Problema che acquistò un peso rilevante nella seconda metà del secolo,
quando le scoperte
scientifiche manifestarono chiaramente la loro incidenza determinante sul potenziamento dell'industria,
dei trasporti e delle comunicazioni. A questo punto, lo scienziato "puro", a cui erano venuti a mancare
un quadro generale della realtà e una problematica filosofica, culturale e sociale, sfruttando la
tesi
comtiana della nobiltà della scienza e della "ancillarità" della tecnica, approfondì
la cesura tra la
ricerca scientifica e l'utilizzazione dei risultati della ricerca, isolandosi nel proprio Olimpo di purezza
teorica e disinteressandosi (spesso apparentemente) dei modi in cui i dati scientifici trovavano
applicazione. Con la conseguenza che i risultati scientifici giocarono a favore dei paesi "sviluppati",
e quindi dell'imperialismo, entrando a far parte dei fattori della corsa alla produzione e agli
armamenti. Mi fermo a questa breve analisi, perché il discorso rischierebbe
di proseguire eccessivamente. Mi
preme però sottolineare la storicità del mito della scienza "pura" (mito non riducibile alla
dimensione
attuale); storicità che è, se non altro, garanzia di una possibilità di intervento
(rivoluzionario) che
spezzi determinati meccanismi, individuando le cause storiche e opponendo loro opportuni rimedi. In
questo caso, uno dei rimedi possibili è il ritorno all'unità del sapere, il superamento delle
due culture. - Mi sembra arrischiato sostenere che "i borghesi non avevano il mito della
scienza, perché avevano
quello del denaro". Certamente i borghesi (di quale periodo?) delle epoche precedenti alla nostra non
avevano né potevano avere il nostro mito della scienza. Ma nella misura in cui ogni
epoca ha il proprio
concetto di scienza (è quanto sostieni e concordo), ha anche il proprio mito della scienza. Non
importano direttamente i contenuti della scienza (cioè, se sono dati che possono essere definiti
scientifici secondo la nostra ottica), né quale scienza specifica sia privilegiata. Il mito della
scienza,
come conoscenza certa di determinati fenomeni, oggetti ecc. accompagna sempre, con maggiore o
minore emergenza, la storia dell'uomo. Al limite, anche nelle antiche società tecnocratiche
(Mesopotamia) o nello stesso Medioevo cristiano, dove la scienza si identificava con la conoscenza
della divinità, esisteva un mito della scienza. Non esisteva invece il mito della tecnica, a cui il
nostro
mito della scienza è strettamente collegato, nelle epoche in cui la tecnica non era una
occupazione
dominante, non interveniva direttamente e in misura massiccia a vantaggio della produzione, come
avviene con la Rivoluzione industriale. Un esempio per concludere. Il processo di fusione dei vari rami
dell'industria tessile, corrispondenti alle fasi della produzione (cardatura, filatura, tessitura) ha luogo
soltanto quando la disponibilità di una fonte di energia centralizzata, stabile, autonoma (la
macchina
a vapore di Watt a moto rotatorio) permette di concentrare le differenti operazioni, via via
meccanizzate, in un unico edificio. La cosiddetta "unione del vapore e del cotone" è premessa
indispensabile per la realizzazione delle grandi fabbriche tessili, simbolo del capitalismo
ottocentesco. - Quanto all'affermazione che la scienza dai primi del Novecento in poi
sia quasi esclusivamente
scienza applicata, ogni buona storia della scienza può dimostrare che è perlomeno
avventata, a meno
che la matematica, la logica, la fisica teorica ecc. non vengano escluse dal novero delle
scienze. - Per riportare una notizia di cronaca, posso dire che al recente Convegno di
Storia della Scienza,
tenuto a Pisa dal 29 novembre al 4 dicembre, il problema della "neutralità" della scienza
è stato uno
dei più dibattuti e i risultati immediati sono stati abbastanza confortanti. Rimando comunque alla
pubblicazione degli Atti del Congresso.
Maurizio A.
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