Rivista Anarchica Online
L'accademia rossa
di Mirko Roberti
La storiografia marxista costruisce sui falsi la "verifica" storica dell'ideologia
Prima di passare ad un esame del ruolo svolto dalla storiografia marxista,
in seno al movimento operaio
e socialista, ci sembra indispensabile chiarire il rapporto che intercorre tra l'ideologia e la storiografia
marxista. Per capire quale sia la natura di questo rapporto noi sceglieremo una metodologia che
confronti
direttamente i fatti storici e l'ideologia. In questo modo potremo capire quando l'ideologia
è stata
utilizzata per fini di dominio che la storiografia ha poi pensato di giustificare. (Ci possiamo riferire anche
a situazioni storiche in cui il movimento marxista non è riuscito ad impossessarsi del potere: in
questo
caso il ruolo della sua storiografia è stato quello di costruire una storia che
giustificasse il fallimento
delle drastiche ed univoche profezie annunciate cento anni or sono). In questo modo noi potremo
giudicare l'analisi marxista, e tutta la sua costruzione ideologica, non più in rapporto ad un
metodo che
ricerchi una logica critico-filologica interna alla sua produzione teorica, ma in rapporto
diretto ai fatti
storici. Seguendo questa metodologia veniamo a saltare a piè pari il discorso sulla
intenzionalità autenticamente
liberatoria o no del progetto marxista. Per noi un simile discorso non è materialistico
perché troppo
prigioniero di molteplici ed opinabili interpretazioni e quindi carico pertanto di ogni sorta di
ambiguità.
Solo ciò che si è manifestato storicamente può essere assunto
come oggetto di discussione e di giudizio.
È vero che non esiste una oggettività assoluta nei fatti storici perché questi
ognuno li interpreta dal suo
particolare punto di vista; noi intendiamo però per oggettività quello che nelle
intenzioni intendono
anche i marxisti: la tendenza degli sfruttati a liberarsi dal gioco dello sfruttamento qualsiasi forma esso
abbia. Tendenza espressa in forme diverse ma sempre inequivocabili nella sostanza. Il confronto
ideologia-fatti storici toglierà pertanto ogni artifizio, sia linguistico che dialettico alla
storiografia
marxista. Così potremo vedere qual è la consistenza delle sue "verità" e ci
sarà chiara allora l'intera
dimensione di mistificazione e di falsità su cui è costruita. Il confronto diretto
ideologia-fatti storici potrà
pure spiegarci la natura sociale dei movimenti e delle classi che hanno utilizzato la bandiera marxista.
In questo modo potremo anche capire le "vere" aspirazioni e i "reali" obbiettivi del movimento marxista.
Ecco perché noi non vogliamo giudicare l'ideologia come un oggetto fisico o naturale. Ci
sarà chiaro
allora il rapporto che unisce l'ideologia e i suoi "consumatori". Questo rapporto, tra i "produttori" e i
consumatori dell'ideologia marxista, riflette con omologia perfetta lo stesso rapporto che ha investito
parte del movimento operaio con la divisione tra dirigenti e masse. Vogliamo aggiungere inoltre che noi,
quando intendiamo parlare dei marxisti non facciamo nessuna distinzione tra "riformisti" e
"rivoluzionari", e all'interno di questi tra leninisti, stalinisti, trotzkisti, maoisti ecc. Perché questo
non ci
permetterebbe di cogliere proprio una delle più indiscusse contraddizioni dell'ideologia marxista.
Infatti
tutti "interpretano" Marx ritrovandosi poi, nel terreno della prassi storica, molto lontani ed in lotta fra
loro.
Il meccanismo della mistificazione
Il ruolo più importante che la storiografia marxista ha svolto, all'interno del movimento
operaio, è stata
la funzione di continuo "recupero", di correzione incessante per saldare le continue sfasature, le latenti
o esplicite contraddizioni esistenti tra l'ideologia da una parte e i fatti storici dall'altra. Si spiega
così
come a volte siano stati i fatti ad essere distorti e manipolati grossolanamente, perché difficile
poteva
risultare una ricerca di verifica. Per esempio, per quanto riguarda la Prima Internazionale in Italia, i
marxisti fino al 1911 hanno avuto la mano libera nell'infamare la figura di Bakunin. Solo in quell'anno
uscì un libro di Giovanni Domanico sull'Internazionale. In questo libro per la prima volta viene
pubblicata
tutta una serie di documenti che dimostrano le false accuse che i marxisti facevano a Bakunin (1).
Però
il più delle volte sono stati i "testi" ad essere sottoposti ad un costante lavoro di
reinterpretazione come
per esempio gli opposti giudizi di Marx, sul proletariato parigino, prima e dopo la Comune dei 1871 (2).
Lavoro continuo di reinterpretazione dunque sempre diverso e multiforme perché diverse e
multiformi
sono tutte le situazioni storiche che smentiscono continuamente il verbo depositato nei "testi". Infatti
tutte le volte che le situazioni storiche non confermavano i testi, ci ha pensato la storiografia marxista
a mettere d'accordo questi e quelli. Se osserviamo la nascita e lo sviluppo della storiografia marxista,
parallelamente alla storia e allo sviluppo del movimento operaio e socialista, si può osservare
come siano
passati dalla manipolazione storica più grossolana dei fatti, alla manipolazione storica
più sottile dei
"testi". In altre parole mano a mano che venivano definitivamente accertati in modo oggettivo
determinati fatti storici sulla cui evidenza e verità nessuno poteva più dubitare, si
assisteva ad una
continua rettifica di interpretazioni e di correzioni teoriche. In questo modo si mostrava quale
capacità
dialettica di "recupero" possedesse l'ideologia marxista e quanto fosse vero quindi il giudizio che gli
anarchici della Prima Internazionale davano su di essa. Un giudizio che i fatti storici hanno
pienamente confermato: l'impostazione marxista, grazie al metodo
storico-dialettico, permette a chi ne fa uso di affermare qualunque "verità" e di emettere
qualunque
giudizio per poi superarli perché questo metodo si basa appunto sulla contraddizione
permanente.
Tre esempi
Non potendo, per ovvi motivi di spazio, abbracciare tutta la problematica della storiografia
marxista,
prenderemo ora tre grandi fatti storici come la Prima Internazionale in Italia, la Rivoluzione Russa e la
Rivoluzione Spagnola. In questi tre fatti cercheremo di cogliere alcune delle più grossolane
contraddizioni tra ideologia e prassi. Tralasceremo pertanto di annotare tutte le svariate e innumerevoli
bugie su cui la storiografia marxista ha costruito gran parte delle sue "verità". Questo
perché oltretutto
non basterebbe nemmeno l'intero giornale per elencarle tutte. Noi invece vogliamo discutere la
impostazione di interpretazione marxista di questi fatti, partendo
proprio da una delle concezioni basilari dell'intero impianto teorico. Tutti sappiamo che Marx ed Engels
elaborarono gran parte delle loro teorie basandosi sulla convinzione "scientifica" che solo lo sviluppo
della borghesia industriale avrebbe prodotto come una antitesi il proletariato operaio urbano e quindi
le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista. Infatti tutti i marxisti sono concordi nel ritenere
che
solo la classe operaia è veramente rivoluzionaria. Ora noi confronteremo quest'analisi
fondamentale
marxista con i fatti e vedremo quale ruolo ha svolto così la sua storiografia.
La Prima Internazionale in Italia
Abbiamo preso come esempio la Prima Internazionale in Italia ma vogliamo affermare che, pur nella
diversità delle situazioni particolari, il discorso che faremo potrebbe essere allargato
generalmente a tutti
i paesi latini dove la Prima Internazionale è stata prevalentemente libertaria. Per spiegare la
fortuna del
socialismo libertario in Italia, Marx ed Engels affermavano che questo era composto non da socialisti
ma da "piccolo-borghesi" (3). Nell'Italia degli anni 1870 non esisteva un proletariato operaio
urbano, fondamentalmente tutto il paese
aveva un'economia agricola (4). Non era possibile pertanto per i marxisti ammettere che esistesse
un movimento socialista capace
veramente di combattere contro la borghesia. Venti anni dopo i teorici italiani marxisti, Antonio
Labriola, Filippo Turati, ecc., riprendevano questo tema per dimostrare che solo lo sviluppo economico
aveva portato alla crescita di un vero movimento socialista. Questo perché allora stava nascendo
il
Partito Socialista Italiano (5). In questo modo spiegavano che tutti i tentativi insurrezionali falliti degli
anarchici dimostravano la correttezza dell'analisi Marx-Engelsiana. Non bisognava cioè cadere
"nell'impazienza rivoluzionaria" che in altri termini significava allora non mettere in primo piano il
volontarismo, l'azione diretta, pena cadere nell'avventura e nella provocazione. Eppure proprio grazie
a questa continua azione "soggettivistica" il movimento socialista in Italia potè svilupparsi.
Nessuno osa
più oggi contestarlo. Del resto anche le cosiddette "azioni insurrezionali" erano praticate
più per il valore
pedagogico di propaganda che per un'effettiva possibilità di poterle generalizzare. I primi che
sostenevano questo punto di vista erano proprio gli internazionalisti che conducevano materialmente
queste azioni (6). Ora a distanza di cento anni chiunque può constatare che, date le
condizioni particolari del momento,
niente era più realista dell'azione svolta dagli internazionalisti. Non ritenendo essi assolutamente
fondata
la concezione "quasi fatalistica" che i marxisti italiani contrapponevano loro, praticavano un tipo di
azione adatta per quel momento senza aspettare opportunisticamente che le condizioni maturassero da
sole. Dobbiamo notare inoltre che alla lunga l'azione anarchica si rafforzò proprio nelle regioni
più
progredite d'Italia e dal 1882 al 1892 il termine "operaista" era sinonimo di anarchico (7). Gli storici
marxisti ora, non potendo più contestare l'importanza del socialismo libertario nell'Italia del
1860-90,
hanno inventato alcune idiozie. La più grossa consiste nella tesi secondo cui il socialismo
italiano sarebbe
un fenomeno di partogenesi dovuto all'influenza di Pisacane. Questo per negare la grande, salutare e
feconda influenza di Bakunin in Italia (8). Ora chiunque può documentarsi sulla reale
consistenza, da
parte dei socialisti del tempo, della conoscenza della vita e dell'opera di Pisacane (9). Con il Congresso
di Genova del 1892 il Movimento Socialista italiano, come tutti sanno si divise in due tronconi, quello
legalitario e quello rivoluzionario, si ufficializzava il passaggio da una teoria e prassi di lotta economica
e politica unite a quella della divisione dell'organizzazione in partito e sindacato. Per spiegare questa
divisione gerarchica e autoritaria voluta dai marxisti, che a quel tempo erano "i
riformisti", gli storici odierni sono arrivati al punto di mistificare completamente il significato originario
e profondo della Prima Internazionale. Per esempio Antonio Bernieri nella prefazione ad un libro di
Engels, ripubblicato pochi anni or sono, mistifica completamente il senso degli statuti stesi dalla Prima
Internazionale nel meeting di Londra del 1864 che, come tutti sanno, sostenevano essere la lotta
economica e la lotta politica inscindibili. Bernieri, mistificandone il senso, cerca di trovare in essi
l'antecedente della giustamente famigerata IX Risoluzione della Conferenza di Londra del 1871, quella
risoluzione che, fatta approvare banditescamente dai marxisti (essendo gli anarchici assenti
perché quasi
tutti massacrati nella Comune di Parigi) portò alla rottura dell'Internazionale, al sorgere in ogni
paese
della divisione gerarchica tra partito e sindacato ed alla sostituzione della lotta internazionalista con la
lotta nazionalista-borghese della conquista del potere politico (10).
La Rivoluzione Russa
Dobbiamo ora vedere come la storiografia marxista è riuscita a "spiegare" il "successo"
ottenuto con la
conquista del potere, durante la Rivoluzione del '17. Perché si tratta proprio di "spiegare" come
sia stato
possibile ciò, essendo la Russia un paese fondamentalmente agricolo e quasi feudale. Per
comprendere
tutto questo non si può prescindere dall'opera teorica e pratica di Lenin. Lenin infatti,
interpretando
sempre Marx, riuscì a capovolgere completamente la tesi, su cui si era fondata tutta la
critica dei teorici
della Seconda Internazionale, sulla nascita e sullo sviluppo della Prima Internazionale nei paesi latini.
Da
tutti considerato come un lucido interprete di Marx, Lenin, in lotta con la stragrande maggioranza dei
marxisti del tempo, portò all'esasperazione quello che Kautsky, Jaurès, Labriola ecc.,
definivano con
disprezzo "soggettivismo di classe". Abbiamo visto come fino a questo momento i teorici marxisti della
Prima e Seconda Internazionale, avessero sviluppato la concezione secondo cui non era possibile uno
sviluppo "scientifico" e reale del movimento operaio e socialista senza il passaggio obbligato dai signori
feudali alla borghesia e da questa al proletariato. Ora Lenin, interpretando sempre Marx,
nel 1903
capovolge queste posizioni nel suo famoso libro "Che fare?". Infatti alle "condizioni storiche",
cioè allo
sviluppo delle strutture industriali, sostituisce le "strutture" capaci di generare lo stesso
la crescita del
socialismo. Ma quali sono queste strutture? Sono le strutture del partito bolscevico, i futuri quadri
dirigenti, che hanno il compito di violentare le condizioni storico-economiche. Viene
insomma
recuperata completamente o "scoperta" la famigerata tesi "soggettivistica" tanto deprecata con orrore
dai saccenti storici e teorici marxisti suoi contemporanei. Solo che questa volta non si tratta di azione
soggettivistica per creare un'organizzazione che sviluppi l'azione diretta degli sfruttati, che allarghi la
capacità rivoluzionaria delle masse; anzi, al contrario, si tratta di portare dall'esterno una
coscienza
politica che le masse, secondo Lenin, non hanno. Una azione quindi, profondamente autoritaria che
sforcerà nello stato tecnico-burocratico attuale. Siamo ora in presenza di due "interpretazioni"
opposte
e contemporanee di Marx. Per spiegare come sia stato possibile in un paese contadino fare la rivoluzione
marxista, la storiografia ha completamente mistificato tutto il contributo del movimento rivoluzionario
populista, anarchico, ecc., che dal 1873, anno in cui viene distribuito in Russia clandestinamente "Stato
e Anarchia" di Bakunin, al 1917, aveva impostato la sua azione prevalentemente sulle masse contadine.
In questo modo sarà possibile per gli storici marxisti "costruire" una storia del movimento
rivoluzionario
russo e della rivoluzione in modo arbitrario. Verranno inventate di sana pianta le consistenze del
proletariato operaio urbano (11), tutta l'organizzazione bolscevica sarà "scoperta" anche nei
centri
agricoli, mentre invece sarà dimenticato, per esempio, che la socialdemocrazia russa aveva
affermato dal
1880 allo scoppio della rivoluzione del '17 che non era possibile fare la rivoluzione facendo leva sulle
masse contadine. Chiunque oggi può documentarsi su quello che scrivevano a quel tempo,
Plechanov,
Lenin e altri su questo fondamentale problema (12). Gli storici marxisti delle diverse correnti, per
esempio trotskista e stalinista, pure essendo completamente in disaccordo sull'interpretazione di certi
fondamentali avvenimenti, come sul reale accerchiamento della Russia da parte dei paesi occidentali
intorno agli anni 1925-27, sono concordi nel mistificare o "dimenticare" certi "episodi" come Kronstadt
e la Makno-vicina. Sono concordi cioè nel giustificare lo strangolamento di quello che tutti
sanno ormai
essere stata l'espressione autentica della rivoluzione russa (13). I marxisti hanno così conquistato
il
potere grazie soprattutto all'azione delle masse contadine che per decenni erano state vituperate per la
loro, come scriveva Plechanov, "costituzionale caratteristica reazionaria". La rivoluzione russa ci ha
dimostrato fino in fondo cosa significa l'ideologia marxista e quale consistenza abbia la sua pretesa
scientificità.
La Rivoluzione Spagnola
L'accusa che i marxisti hanno sempre fatto agli anarchici fino a questo momento è quella
di essere riusciti
a far presa solo sui piccoli borghesi e sulle popolazioni arretrate e contadine. Tant'è che in
Spagna la
Catalogna, la regione più progredita e industrializzata, era quella dove nel 1936 gli anarchici
avevano
l'egemonia quasi assoluta del movimento socialista (14). Nel corso della Rivoluzione Spagnola si
fronteggiarono due modi completamente opposti di condurre la guerra. Gli anarchici sono stati accusati
dagli storici marxisti di aver provocato la rottura del fronte antifascista perché troppo "avanti"
nell'attuare la collettivizzazione delle terre dei contadini. Così vedremo qui i marxisti difendere
la piccola
proprietà e le "libertà" contadine. Ovviamente non di libertà si trattava ma di
inaudito e criminale
sabotaggio della rivoluzione. Due modi dicevano di fare la guerra, ma, diremo subito, anche di fare la
rivoluzione. Gli anarchici, nel corso della rivoluzione spagnola, perseguirono tenacemente e
conseguentemente l'obiettivo di una trasformazione veramente socialista della società, lottando
continuamente contro l'equivoco e la tendenza, da parte di tutta l'ala marxista ad eccezione del
P.O.U.M., all'alleanza con le formazioni antifasciste borghesi. Gli anarchici concepivano guerra e
rivoluzione come lo stesso problema. Scriveva Berneri a quel tempo, con eccezionale lucidità,
che non
era possibile scindere l'una dall'altra e che solo la lotta rivoluzionaria avrebbe potuto vincere la guerra
contro i fascisti. I marxisti al contrario volevano prima la sconfitta fascista e poi la costruzione
socialista. Purtroppo prevalse la tesi marxista, che nel maggio del '37 attuava in pieno le sue
sciagurate convinzioni.
Questo divenne possibile anche per il criminale ricatto che i comunisti attuavano sull'intero movimento
antifascista. Ricatto che consisteva, come sappiamo tutti, nell'aiuto militare, fra l'altro non generoso, che
Stalin dava in cambio solo di una progressiva egemonia dei comunisti nel fronte antifascista. I comunisti
pertanto accusavano gli anarchici di essere "estremisti" perché si opponevano alla alleanza
borghese e
volevano la collettivizzazione delle terre. Dunque il magnifico sforzo collettivo di centinaia di "comuni
libertarie" che costruivano la rivoluzione sarebbe stato "estremismo". Il bello è
che a muovere le accuse di violentare la situazione saranno proprio gli stalinisti, cioè quelli che
nella Russia sovietica appoggiavano i trapianti forzosi di milioni di contadini voluti da Stalin per
popolare
le zone urbane ed industrializzare il paese. La verità è questa che, in Spagna come in
Ucraina, gli
anarchici operarono secondo una logica pragmatista adeguata alle particolari condizioni
obbiettive, per
un lavoro non solo di propaganda e di educazione politica, ma soprattutto per un lavoro di
organizzazione che fosse conforme alle esigenze degli sfruttati di quel momento. In
Spagna, il
movimento libertario non attuò una linea politica prevalentemente "operaista". Sia in Andalusia
che in
Catalogna, due regioni ad economia una agricola l'altra industriale, la caratteristica dell'azione anarchica
non stava tanto nel raggiungere un determinato obiettivo, ma nel modo libertario in cui
questo obiettivo
veniva perseguito (15). Gli storici marxisti hanno mistificato e falsificato tutto questo per spiegare
l'azione comunista che si basava appunto su un metodo opportunista e sabotatore. Con la nefasta
influenza marxista sul fronte antifascista la rivoluzione fu soffocata con la conseguenza della sconfitta
militare contro il fascismo. Criminale opportunismo fu quello dei comunisti in Spagna perché,
mentre
ancora si combatteva contro i fascisti, Stalin iniziava l'approccio diplomatico con la Germania nazista
(16).
Conclusioni
Abbiamo visto come, in situazioni storiche diverse, l'analisi marxista delle condizioni favorevoli per
la
rivoluzione socialista sia stata clamorosamente smentita. Per spiegare il successo della Prima
Internazionale in Italia hanno dovuto dire che il socialismo è nato dopo, oppure affermare che
in Italia
gli anarchici, tramite l'azione di Bakunin, non hanno avuto nessuna influenza sullo sviluppo del
socialismo. Per giustificare lo scoppio e il successo della rivoluzione russa, rivoluzione prevalentemente
contadina, hanno dovuto dimenticare tutte le previsioni che avevano fatto per decenni e "reinterpretare"
tramite Lenin, Marx. Per giustificare l'opportunismo, il tradimento, il sabotaggio, nella rivoluzione
spagnola hanno inventato pretese azioni "estremistiche" degli anarchici. Noi abbiamo visto e compreso
così la funzione della storiografia marxista. E abbiamo anche compreso che solo sul terreno
storico i
marxisti vanno giudicati. Le loro "intenzioni" pertanto rimangono a testimoniare l'inutilità
teorica della
loro pretesa "scientificità".
Mirko Roberti
(1) Vedi Giovanni Domanico, I Volume sull'"Internazionale" ed. Casa editrice italiana, 1911. Vedi
anche
il libro del Guillaime sull'"Internazionale". I testi possono essere consultati presso la biblioteca Feltrinelli
di Milano. (2) A questo proposito si può vedere la lettera di Marx a Kugelmann dove pochi
mesi prima della
Comune giudicava il proletariato parigino incapace di fare la rivoluzione, sia perché influenzato
dalle
"teorie astratte di Proudhon" sia per le condizioni non abbastanza mature perché la Francia era
poco
industrializzata. Un anno dopo scriveva tutto l'opposto. Vedi Marx, "Lettere a Kugelmann" ed.
Rinascita
1950, e Marx "Guerra Civile in Francia". Si possono consultare anche le lettere di Engels a Bebel e
Liebknecht del 1870 dove consigliava i socialdemocratici di votare in Parlamento i crediti di guerra
contro la Francia! (3) Vedi C. Marx e F. Engels, "Corrispondenza con italiani" ed. Feltrinelli
1964. (4) Vedi E. Luzzatto, "L'economia italiana dal 1861 al 1914" Milano 1963. (5) A questo
proposito si può vedere F. Turati "Le vie maestre del socialismo" Milano 1966 pag.
22-23. (6) Vedi il libro "Gli internazionalisti", "La banda del Matese" di P.C. Masini ed. Avanti
1958. In
particolare lo scritto di S. Kravcinskij a pag. 148. (7) A sfatare tutte le grossolane falsità
sulla inconsistenza anarchica nel proletariato operaio in Italia,
sono apparsi ora L. Brigulio "Il partito operaio italiano e gli anarchici" ed. di Storia e Letteratura.1969;
"Congressi nazionali socialisti e tradizione operaista 1892-1902" Tipografia antoniana 1971; Diana Perli
"I Congressi del partito operaio italiano" tipografia antoniana 1972. (8) A questo proposito tra i
tanti lavori sul socialismo della Prima Internazionale in Italia vedi Aldo
Romano "Storia del movimento socialista in Italia" tre vol. ed. Laterza 1966. Questo libro riporta la tesi
della partogenesi del socialismo italiano. Ognuno può confrontarle con M. Nettlau, "Bakunin
e
l'Internazionale in Italia" ed. Samonà e Savelli 1972. Per una panoramica di insieme
sull'interpretazione
marxista vedi anche "Il movimento operaio e socialista. Bilancio storiografico e problemi storici" ed.
Del
Gallo 1965. (9) Vedi L. Brigulio "Il partito operaio ecc." (10) La prefazione di Antonio Bernieri
"La Internazionale e gli anarchici" F. Engels Editori Riuniti 1965
e E. Ragionieri "Il marxismo e l'Internazionale" Ed. Editori Riuniti 1972. (11) Non è
possibile avere una documentazione obiettiva sulla rivoluzione Russa, perché solo alcune
testimonianze particolari possono contestare la storia ufficiale sovietica. Comunque a questo proposito
vedi D. Mitrany "Il marxismo e i contadini" La nuova Italia editore, 1954. Si possono pure confrontare
le diversissimi versione dei trotzkisti e degli stalinisti. Vedere pertanto V. Serge "L'anno prima della
rivoluzione russa" ed. Sugar 1964. Per gli stalinisti vedi Bakhzuscin, Bazilevic, Foght e Pankratva
"Storia dell'U.R.S.S."; ed. di cultura sociale, Roma 1953. (12) Vedi G. Plechanov "Il socialismo e
la lotta politica" e "Le nostre divergenze" questi due libri si
possono consultare presso la biblioteca Feltrinelli di Milano. Vedi anche Lenin "Che cosa sono gli amici
del popolo". (13) A questo proposito, vedi P. Avrich, Kronstadt Ed. Mondadori 1971; P. Arsinov,
La comune di
Kronstadt Ed. Crescita Politica; Storia del movimento machnovista Ed. Sapere 1972; Volin, La
Rivoluzione Sconosciuta Ed. Silva 1970; N. Machno, La rivoluzione russa in Ucraina Ed. La Fiaccola
1971. A. Kollontai, L'opposizione operaia Ed. Azione Comune; I. Hetht, La rivolta di Kronstadt Ed.
Azione Comune 1962. (II) Vedi ancora D. Mitany, Il marxismo e i contadini Ed. La Nuova Italia
1954. (14) Vedi G. Brenan "Storia della Spagna" Ed. Einaudi 1970. Particolarmente i capitoli VII
e VIII. (15) A questo proposito consulta V. Richards "Insegnamenti della Rivoluzione spagnola"
Collana Porro
Ed. R.L.1957; G. Levan "Né Franco, né Stalin" Istituto editoriale italiano. Anche questi
si trovano alla
biblioteca Feltrinelli. (16) Vedi il fondamentale libro di Angelo Tasca "Due anni di alleanza
germano-sovietica" La Nuova
Italia editore, 1951.
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