Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 2 nr. 16
novembre 1972 - dicembre 1972


Rivista Anarchica Online

Rompete le file!
di Claudio Venza

Il militarismo reazionario, il neomilitarismo riformista e l'antimilitarismo rivoluzionario

Negli ultimi tre-quattro anni le analisi sulla funzione dell'esercito e del militarismo, sua espressione, sono state numerose e di vario genere. Questa attenzione può essere spiegata con lo sviluppo dello spirito e delle azioni antiautoritarie verificatosi, anche se con fasi alterne e contraddittorie, dopo il '68. L'agitazione degli studenti, pur con tutte le caratteristiche negative date dalla natura di classe relativamente privilegiata e dalle dirigenze di avanguardia, aveva comunque messo sotto accusa varie strutture autoritarie. A partire dalla scuola l'interesse si era allargato agli ospedali psichiatrici, alle carceri e, quando la ventata libertaria stava scemando, finalmente anche all'esercito.
Hanno così avuto fortuna alcune ricerche che solo pochi anni prima sarebbero rimaste pressoché sconosciute. Valga per tutte "La macchina militare" di Angelo D'Orsi (Ed. Feltrinelli) che si avvia alle 20.000 copie vendute (1).
In generale all'esercito italiano si riconoscono delle funzioni economiche (bilancio annuo di quasi 2.000 miliardi, rapporti con l'industria bellica, approvvigionamenti,...), politiche (appoggio delle alte gerarchie ai gruppi di destra, minaccia permanente di un colpo di stato, schedature dei sovversivi, interventi antisciopero), ideologiche (lavaggio del cervello della naja, manifestazioni nostalgiche e nazionaliste, associazioni di ex-combattenti e dei vari corpi).
Altro materiale molto interessante è stato elaborato dai vari gruppi antimilitaristi, ma è poco noto e spesso sparito dalla circolazione per evitare grane giudiziarie ad autori e diffusori. Tra l'altro le ricerche sull'esercito, quando vengono pubblicizzate, corrono il rischio di diventare corpi di reato, un reato chiamato vilipendio.
Il potere statale tollera studi di livello accademico, ma non sopporta che si demistifichi fra le masse la sua prediletta pupilla militare. Il reato di vilipendio è un'ennesima dimostrazione che le libertà di pensiero e di espressione sono, più o meno tranquillamente, represse dallo stato.

Storicamente il movimento anarchico ha avuto nei confronti del militarismo delle posizioni molto chiare e decise. Gli antiautoritari conseguenti, in quanto oppositori dello Stato e di ogni forma di potere, sono sempre stati accesi antimilitaristi. In ogni associazione di classe a cui partecipavano, sostenevano la necessità di opporsi all'esercito nella prospettiva della sua eliminazione. Nel movimento operaio e sindacale, poiché impostavano lotte sociali e non agitazioni settoriali, sviluppavano la critica e conducevano agitazioni di massa contro il militarismo (2).
La guerra e la leva furono denunciati come esempi macroscopici della violenza statale contro il popolo e le sue aspirazioni. Il massacro a cui i proletari furono mandati, soprattutto durante la prima guerra mondiale, costituì il cardine della propaganda antimilitarista del primo dopoguerra. Contemporaneamente i compagni diffondevano attraverso il quotidiano "Umanità Nova" notizie sulle gravi condizioni di vita della truppa e sulle mene del militarismo italiano.
Le rubriche antimilitariste molto frequenti nel 1920 erano intitolate "La voce del soldato" o più chiaramente "Le barbarie della caserma" e "Sotto l'infame militarismo". I resoconti sulle carceri militari erano presentati come notizie dalle "Tombe dei vivi", i numerosi atti di rivolta e i più rari episodi di fraternizzazione con lavoratori in sciopero con il titolo "Bravi soldati". Venivano pure comunicati gli spostamenti di materiale bellico per dare modo ai compagni ferrovieri di sabotarli.
Su "Umanità Nova" quotidiano si trova un elenco di opuscoli antimilitaristi distribuiti gratis ai soldati. Nel 1921 compaiono vari articoli sulle agitazioni popolari contro le "compagnie di disciplina" in cui gli ufficiali rendevano impossibile l'esistenza ai militari di leva ribelli.
Non è vero, come hanno affermato vari socialisti moderati e poi anche i comunisti, che la decisa mobilitazione contro l'esercito abbia fatto perdere alle forze rivoluzionarie molti reduci proletari che sarebbero stati scherniti e insultati e vilipesi dai "rossi" e quindi buttati nelle braccia del fascismo che invece li avrebbe degnamente valorizzati. Prova ne sia, tra le altre, la fondazione della "Lega Proletaria dei Mutilati e Reduci di Guerra".
Va anzi considerato che proprio dalla tragica esperienza bellica tutti i movimenti di classe avrebbero dovuto partire per dimostrare ai lavoratori come lo stato e i padroni non si accontentino di sfruttarli nella produzione ma li usino quale "carne da cannone" nel tentativo di aumentare i propri domini a scapito di sfruttatori stranieri concorrenti. Caso mai c'è da rilevare il contrario e cioè che una incompleta o comunque insufficiente propaganda sul ruolo essenziale delle forze armate nazionali nello sfruttamento padronale e statale non ha permesso l'allargamento e il consolidamento in tutto il popolo della coscienza antimilitarista e quindi lo ha privato della necessaria individuazione di tutti i nemici da battere.
L'antimilitarismo è così stato per vari decenni parte integrante e qualificante dell'attività anarchica. Il suo posto primario nella strategia rivoluzionaria libertaria è conseguenza della logica connessione degli impegni internazionalisti e antistatali. Il suo ruolo dipendeva, e dipende, anche dal modo di risoluzione di alcuni problemi fondamentali per il movimento anarchico come il rapporto tra efficienza della lotta armata e "necessità" del comando accentrato, la ineluttabilità della violenza nello scontro con gli oppressori e il superamento della stessa per creare la società di liberi ed uguali, la ricerca delle forme più valide di opposizione all'esercito di fronte agli strumenti repressivi e disumanizzanti della istituzione militare.
Questo tipo di problemi non sorge però per quelle forze politiche che dicono di voler emancipare il proletariato tramite la conquista del potere statale. Per essi è utile criticare solo una forma ed un uso dell'esercito, cioè quello fatto dagli avversari borghesi; essendo degli estimatori dell'autorità e teorizzando e applicando una nuova gestione dello stato, la dittatura del proletariato, il problema dei marxisti nei confronti dell'esercito è solo quello di farlo diventare "rosso", la stessa tinta del loro potere tecnoburocratico. La loro differenza con i militaristi classici è del tutto marginale: usano gli stessi mezzi repressivi per tutelare forme di privilegio un po' diverse.
Mentre la destra, in ogni momento di crisi, tesse gli elogi delle forze armate "al di fuori della politica, baluardo insormontabile della Nazione e dell'ordine", la sinistra, criticando certe "degenerazioni", cerca di valorizzare l'esercito quale garante della costituzione e del progresso democratico, e si impegna in proposte sempre più scoperte verso gli ufficiali di tutti i gradi per chiedere la loro comprensione assicurandosi nell'evidenza di uno spostamento del governo verso sinistra.
I loro slogan "l'esercito con il popolo, il popolo con l'esercito" semplifica questo atteggiamento. L'esercito, per i neomilitaristi, non va attaccato per eliminarlo, anzi va protetto e popolarizzato perché è utile e potrà esserlo di più nel futuro. Del resto nei paesi dove la stessa gente esercita il potere, il ruolo sociale dell'esercito è tutt'altro che ridotto.
Per tutte le formazioni autoritarie e parlamentari il popolo deve essere governato e guidato per il suo bene, il popolo deve formare la truppa di quella società-caserma in cui essi sono, o cercano di diventare i colonnelli. I principi di funzionamento del sistema statale sono infatti sempre gli stessi: rigida divisione delle funzioni in direttive ed esecutive, privilegio per i gradi superiori e sfruttamento per i gradi inferiori, soffocamento di ogni vero tentativo di rivoluzione (lotte di massa antiautoritarie) e inglobamento dei rappresentanti delle classi oppresse nella logica del potere gerarchico.
Avviene perciò un fatto singolare, ma significativo. La mentalità conservatrice stima e rispetta quegli stati socialisti dove regnano i suoi stessi principi: l'ordine, la disciplina, l'obbedienza. I pretesti in nome dei quali si instaura il terrore di stato sono effettivamente delle questioni molto secondarie.
Solamente chi rivolge una critica assoluta e completa verso ogni autorità può svolgere coerentemente ed efficacemente una lotta contro il militarismo che è niente altro se non il potere nudo e crudo, privato di quella falsa e illusoria cornice liberale di elezioni e partiti, riforme e sindacati.

Claudio Venza

1) È questo forse il miglior libro sul militarismo italiano, anche se risente di un'impostazione marxisteggiante: utile per l'analisi sulla leva, sul riformismo del PCI e come parziale presentazione della lotta antimilitarista. È dotato di un esauriente e aggiornata bibliografia. Tra gli altri studi sono interessanti il libro Il potere militare in Italia (Ed. Laterza) e l'articolo di Bova-Rochat Le forze armate in Italia apparso su Inchiesta anno I n.2. Giorgio Rochat è uno dei pochi storici del militarismo italiano dall'Unità ad oggi. Molte informazioni e critiche si trovano sulla rivista antimilitarista Se la Patria chiama... (Bologna, via Grieco 7) a cui collaborano anche degli anarchici, che diffonde circa 5.000 copie al mese.
2) Vedi G. Cerrito L'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo (ed. R.L.) e il recente libro di Hugo Rolland Il sindacalismo anarchico di Alberto Meschi (ed. La nuova Italia).