Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 41
estate 1975


Rivista Anarchica Online

Al servizio del compromesso storico
di Claudia V.

L'analisi socio-economica del PCI.
Sulle orme del marxismo, i teorici del partito comunista hanno sviluppato la loro interpretazione sociale e la conseguente strategia politica per la conquista "democratica" del potere - Il mito funzionale della produttività - I nuovi rapporti di potere basati sul sapere tecnologico - Da Gramsci a Berlinguer, via Togliatti: ovvero dal "blocco storico" al compromesso storico.

La politica culturale svolge un ruolo molto importante nella strategia del PCI per la conquista del potere: essa non corrisponde soltanto a un'attività di propaganda a sostegno dell'azione politica, ma è essa stessa azione di organizzazione politica e sociale da parte degli intellettuali per gettare le basi della futura "società socialista".
La strategia della politica culturale comprende quindi sia un'analisi della situazione attuale, sia la teoria per un intervento concreto.

Il tardocapitalismo

L'analisi dei teorici del PCI sull'attuale economia riprende integralmente e sviluppa le previsioni di Marx sul tardocapitalismo.
Il punto di partenza è la considerazione che l'attuale fase economica mantiene tutti i caratteri dello sfruttamento capitalista. I mezzi di produzione sono in mano ai proprietari capitalisti, i quali, perciò, si appropriano del plusvalore prodotto dagli operai: lo sfruttamento si realizza con la vendita da parte dell'operaio della propria forza lavoro al padrone. Il fattore caratterizzante dell'economia è perciò il persistere dei rapporti di sfruttamento sulla base della proprietà privata: quest'ultima è all'origine della divisione in classi e dell'ingiustizia sociale.
Uno dei fenomeni più importanti che si verifica oggi nei paesi industrialmente avanzati è il processo di concentrazione del capitale e della produzione: i principali settori della produzione industriale vengono progressivamente assoggettati al potere di pochi gruppi economici; la piccola impresa viene gradualmente soppiantata dalla grande impresa con grande capitale con il risultato che giganteschi monopoli esercitano sempre più il predominio economico e sociale.
Questo fenomeno di concentrazione monopolistica approfondisce, secondo la tesi marxista, l'antagonismo tra coloro che posseggono i mezzi di produzione e coloro che per sopravvivere sono costretti a vendere la propria forza lavoro in cambio di un salario. Si estende cioè la classe sfruttata e si aggrava la contraddizione tra capitalisti e nullatenenti.
Infine un altro fenomeno importante è rappresentato dall'intervento economico, finanziario e politico dello Stato nell'economia monopolistica.
Questa situazione viene definita dai teorici comunisti come "capitalismo monopolistico di Stato".
Il significato politico di questa definizione, il suo scopo nella teoria della strategia comunista è di confermare la validità "scientifica" e il carattere inevitabile della lotta di quella che è ormai la maggioranza degli "espropriati" contro gli espropriatori e di assicurare la validità della tesi marxista secondo la quale la lotta per l'emancipazione degli sfruttati si realizza solo contro la proprietà privata, contro la borghesia capitalistica.
La teoria della conquista del potere ha però due aspetti: infatti, oltre a giustificare con l'analisi del capitalismo monopolistico di Stato una lotta di massa contro la borghesia, essa mira soprattutto a conquistare i centri di controllo effettivo del potere economico. Per capire verso quale potere si muove il PCI è perciò necessario accennare alla forma dell'organizzazione del lavoro nel "tardocapitalismo".

Organizzazione del lavoro

Lo sviluppo del capitalismo nel senso che abbiamo ora visto ha determinato profonde trasformazioni nell'organizzazione del lavoro: innanzitutto la concentrazione del capitale ha comportato un aumento delle operazioni necessarie per organizzare e controllare il processo produttivo, quindi è aumentata la quantità delle informazioni sia tecniche sia economiche e amministrative (e di conseguenza il numero degli impiegati in possesso di queste conoscenze). Inoltre lo sviluppo e l'applicazione della tecnica e della scienza per aumentare la produttività (ad es. attraverso l'automazione) ha accresciuto il valore economico e sociale della conoscenza scientifica.
Complessità ed estensione delle organizzazioni e automazione stanno così alla base dell'attuale sviluppo della scienza. Questa scienza ha un aspetto "quantitativo" - è un volume di informazioni posseduto da uno strato sempre più esteso di lavoratori - e soprattutto un aspetto "qualitativo" - i diversi tipi di conoscenza e la loro capacità di controllare la produzione distinguono le differenti funzioni sociali e la collocazione di chi le esercita nella gerarchia sociale.
Il ruolo della conoscenza tecnologica nella divisione del lavoro è quindi determinante per il rapporto tra le classi sociali: la scienza, dai gradi più bassi a quelli più alti del controllo della produzione si ritrova in tutte le funzioni produttive e sembra comprendere in un enorme ceto medio l'operaio qualificato e il tecnocrate.

La tecnoburocrazia

Ciò che la teoria comunista non dice, ma su cui si basa il programma della via italiana al socialismo, è che il possesso del sapere tecnologico è il criterio sul quale si fondano i nuovi rapporti di potere.
Infatti il potere decisionale, la direzione effettiva della fabbrica (e dell'economia), sta passando in modo sempre più decisivo dalle mani dei proprietari capitalistici a quelle dei managers i quali soltanto posseggono il sapere tecnico complessivo necessario per la guida dei grandi complessi industriali.
Soltanto partendo dalla considerazione che la base dello sfruttamento è la divisione autoritaria del lavoro, la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra ruolo subordinato e ruolo direttivo, è possibile comprendere come, al di là dei rapporti di proprietà, è la distribuzione del sapere (e del lavoro rispetto al sapere) in senso gerarchico e autoritario a determinare la nuova forma di sfruttamento.
Esiste infatti nel "ceto medio" una differenza sostanziale tra chi possiede anche un notevole bagaglio di conoscenze tecniche, ma sempre relative al ruolo subordinato ed è ancora sfruttato, e i tecnocrati che invece posseggono la conoscenza generale e complessiva della produzione e sono i futuri sfruttatori. La strategia della transizione del PCI, mentre da una parte spinge per l'abbattimento definitivo del potere borghese, dall'altra mira a realizzare un sistema di organizzazioni di controllo politico e sociale che sia espressione, e allo stesso tempo guida della società.
A questo scopo, il primo problema teorico che si presenta al PCI è di trovare il modo di unificare ideologicamente la maggior parte delle classi sociali, tacendo il fatto che già da ora esse si articolano secondo i rapporti che abbiamo esposto e i puntando invece sulla comune condizione di sfruttamento rispetto alla proprietà.
La teoria della classe sfruttata è l'anello di congiunzione tra l'analisi del capitalismo monopolistico di Stato e il piano di conquista del potere politico della tecnoburocrazia.

La teoria della classe sfruttata

Come abbiamo visto all'inizio, per i teorici del PCI le attuali condizioni di sfruttamento sono quelle capitalistiche analizzate da Marx: ciò che distingue il padrone dallo sfruttato è la proprietà dei mezzi di produzione: sfruttato è colui che vende la propria forza lavoro e produce un plusvalore che non viene pagato. Ora, se nella situazione attuale è evidente che la maggioranza dei lavoratori è esclusa dalla proprietà dei mezzi di produzione (ed è perciò, secondo il PCI, sfruttata), meno chiaro è però se, indipendentemente dal tipo di rapporto esistente tra il lavoratore e la produzione, tutti i lavoratori possono essere definiti comunque sfruttati. Per rapporto tra lavoratore e produzione si intende la funzione che egli svolge nell'azienda (se cioè egli è per es. operaio oppure ingegnere).
Il fine della teoria del PCI è di riuscire ad affermare che tutti sono sfruttati anche se non tutti svolgono nella realtà funzioni equivalenti (in virtù della gerarchia del sapere che abbiamo prima indicato).
Il tema trattato più di frequente è infatti quello del "lavoro produttivo": in linea generale (proprio per non toccare il tema della divisione gerarchica del lavoro) la questione del rapporto con la produzione non viene impostata sull'interrogativo "come il lavoratore produce", ma sulla domanda "se il lavoratore produce": ossia il fatto di essere o no produttore viene preso come criterio per distinguere chi è sfruttato da chi non lo è.
Uno dei concetti che ricorre con più frequenza è che non è sfruttato solo chi è direttamente legato al processo produttivo, chi opera direttamente sui mezzi di produzione, ma lo è anche chi lavora perché esso si realizzi:
"I lavoratori produttivi non sono soltanto coloro che intervengono fisicamente sugli oggetti prodotti... Ingegneri, tecnici, quadri, ricercatori possono essere produttori di plusvalore ed "esattori" di plusvalore. Questa interpretazione si fonda sul carattere dirigente necessario per la produzione del lavoro dell'ingegnere. Ma tale necessità, che è necessità di produzione, diviene per effetto dei rapporti di produzione capitalistici, necessità del capitale... D'altra parte, appare difficile se non impossibile stabilire una netta divisione tra l'attività di direzione a favore della produzione e quella di direzione a favore del capitale".
Dovendo affrontare il problema della divisione autoritaria del lavoro, i teorici del PCI interpretano la gerarchia del lavoro manuale e intellettuale come un aspetto della specializzazione dell'organizzazione del lavoro, una divisione in settori equivalenti, tutti egualmente necessari rispetto alla produzione e perciò tutti socialmente uguali.
Non solo, ma poiché tutti partecipano, chi come formica chi come aquila a livelli stratosferici, al sapere tecnologico, tutti sono "intellettuali", tutti possono partecipare al "controllo sociale": si tratta solo di organizzare questo controllo al di fuori del dominio della borghesia.
Il marxismo, precisano i suoi teorici, "non ha mai confuso lavoro manuale e appartenenza alla classe sfruttata" ed è vero. Infatti se per lavoro manuale non si intende semplicemente il "lavoro faticoso", ma il lavoro subordinato, che può essere anche manuale, ma è comunque il lavoro dello sfruttato, il marxismo non si è mai mosso contro di esso e oggi più che mai, nella forma concreta e specifica, del PCI, dimostra appunto di non voler abbattere lo sfruttamento, ma di volerlo gestire a proprio vantaggio.
Nel ceto medio rientra così una folla eterogenea di sfruttati veri sciacalli travestiti da sfruttati, di produttori ed esattori di plusvalore allo stesso tempo, tutti ugualmente necessari e tutti "derubati".
La classe sfruttata, dunque, nella teoria del PCI, comprende per definizione tutti coloro che vendono la propria forza lavoro in cambio di un salario, che sono esclusi dalla proprietà dei mezzi di produzione e partecipano "a vari livelli" alla produzione.
Questa interpretazione del ceto medio sfruttato è è la base politica sulla quale il PCI afferma di costruire una strategia realista, nel senso che tiene conto degli attuali "rapporti di forza"; essa è anche il terreno sul quale il partito imposta la politica delle alleanze.
Vediamo ora quale specifica teoria il PCI ha elaborato per giustificare e programmare la conquista del potere politico da parte dei "tecnocrati sfruttati", sulla base dell'alleanza di classe.
Questa teoria è una elaborazione del pensiero di Gramsci: il Gramsci che appare qui è quindi quello un po' deforme, inserito nella linea ideologica "Gramsci-Togliatti-Berlinguer", che è risultato dall'azione di filtraggio dei teorici comunisti: è comunque il Gramsci ufficiale del partito, uno dei suoi pensatori più importanti.

Gramsci e gli intellettuali

Il PCI si richiama a Gramsci quale ideatore teorico della via italiana al socialismo. Gramsci si occupò infatti delle condizioni specifiche per una rivoluzione socialista nei paesi industriali occidentali e in Italia in particolare, trattando soprattutto del rapporto tra partito, società e Stato. È questo un riferimento importante se si considera che il PCI afferma che la sua strategia è realista e specifica della situazione italiana proprio perché è il frutto dell'analisi della particolare contraddizione tra detentori dei mezzi di produzione e nullatenenti in ogni singola nazione.
Il concetto più importante ripreso da Gramsci è quello della egemonia di classe. Poiché lo Stato si presenta come organizzazione dell'egemonia di una classe sulla società (secondo l'analisi Gramsci-PCI), la realizzazione dell'egemonia è il punto centrale per il passaggio al socialismo all'interno di strutture sociali capitaliste. L'egemonia si forma e si esprime in un blocco storico, cioè in un sistema di alleanze politiche e sociali caratterizzato da una ideologia e una cultura unitarie, o perlomeno omogenee.
L'egemonia si esprime in due forme: la "direzione" e il "dominio". La direzione è la capacità di agire sulle strutture economiche e sociali e di fondare e dirigere l'alleanza di classe; il dominio si realizza con la sconfitta del nemico comune (in questo caso la borghesia) e il definitivo possesso del potere (dittatura del proletariato). Dei due momenti il primo - la direzione - svolge ruolo fondamentale: è l'azione concreta di organizzazione del potere di cui la dittatura del proletariato è in un certo senso il "riconoscimento ufficiale". Se il blocco storico perde la sua capacità di direzione, se non è più in grado di reggere l'egemonia, la classe dominante entra in crisi. L'egemonia del proletariato deve perciò essere la realizzazione di un'alleanza di classe che permetta al proletariato di muovere la maggioranza dei lavoratori contro la borghesia e soprattutto deve esprimersi come capacità di dirigere la transizione dal capitalismo al socialismo.
Se la conquista dello Stato è possibile solo dopo aver ottenuto il controllo e l'adesione della "base sociale", questo significa che questa base rappresenta una conquista in un certo senso precedente e sostanziale rispetto a quella successiva e "formale" del controllo dello Stato.
Questi due momenti diversi della conquista del potere si spiegano considerando che essi sono il risultato di un'analisi storica su come si attua il passaggio del potere (l'analisi di Gramsci sul ruolo dell'egemonia) e presuppone una distinzione tra un livello politico e un livello storico della conquista del potere; l'egemonia è infatti la capacità di dirigere l'alleanza delle classi sul terreno in cui si forma il nuovo potere, il terreno "storico"; essa perciò deve formare organizzazioni che siano espressione delle nuove funzioni sociali (le quali insieme formano il blocco storico), e dirigerle. Ed è quindi relativo e indipendente l'intervento nelle istituzioni politiche capitaliste e borghesi, le quali sono quasi anacronistiche rispetto alla nuova organizzazione del lavoro.
L'egemonia deve mirare a costruire una rete organizzativa (attraverso istituzioni alternative) tra i più importanti centri di potere economico e sociale del "tardocapitalismo", i quali non sono e non possono essere controllati dalle istituzioni borghesi; realizzare l'egemonia significa per la classe operaia (o meglio, per i burocrati che la rappresentano) porsi ai vertici dell'organizzazione di questo blocco storico.
Il compito di elaborare la teoria e la strategia è quindi fondamentale: esso significa controllo e decisione sul potere; e poiché le classi sono alleate sulla base del sapere (cioè sulla divisione gerarchica secondo diversi livelli della conoscenza tecnologica) al cui vertice vi è il sapere tecnocratico, esercitare la direzione del blocco storico significa avere il massimo del controllo sociale, possedere la scienza complessiva della produzione e della società tecnoburocratica in formazione.
Se inoltre il ruolo politico di una certa classe all'interno del blocco storico è l'espressione della funzione da essa svolta rispetto al controllo della produzione, ne deriva che il massimo ruolo politico spetta agli intellettuali di vertice, ai tecnocrati.
Nella teoria del PCI, l'organizzazione base per mezzo della quale soltanto può esercitarsi la direzione dell'egemonia è il partito operaio.
Il partito viene definito come momento della "coscienza", della consapevolezza critica, dell'ideologia in senso lato: gli intellettuali, di cui in modo mistificante si nasconde il ruolo di sfruttatori, sono gli unici secondo la tesi gramsciana a poter assumere il ruolo direttivo: da una parte infatti essi soli possono superare i limiti della coscienza tuttalpiù "sindacalista" degli operai, volta alla conquista di obiettivi spiccioli, dall'altra, sfuggendo a una definizione di sfruttamento in termini di divisione del lavoro, possono presentarsi come parte organica della classe operaia e sua "emanazione", come la mente dell'unico blocco storico della tecnoburocrazia di cui gli operai sono ancora una volta il braccio.
Poiché il partito operaio è il vertice unificatore dell'organizzazione del contro potere sulla base del sapere, questo significa che il senso della politica culturale del PCI nel programma della via italiana al socialismo, è di riuscire ad organizzare la lotta della classe tecnocratica identificando tendenzialmente in un medesimo luogo il vertice del partito e il vertice della tecnoburocrazia.

Claudia V.