Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 41
estate 1975


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200 miliardi da socializzare

Montedison

Eugenio Cefis, l'ultrachiacchierato presidente della Montedison, si era sempre ammantato di un alone di efficienza manageriale che avrebbe dovuto attenuare le critiche sugli altri aspetti del suo operato, non certo rilucenti per cristallina onestà. I nodi, però, stanno venendo al pettine e l'andamento economico della Montedison mostra che il colosso della chimica italiana è stato diretto senza una strategia economica chiara e precisa e che l'insipienza dello staff di Cefis è altrettanto corposa di quella del clan dell'ex presidente ing. Valerio.
Nel 1975, prevedono gli esperti, la Montedison perderà qualcosa come duecento miliardi, quantunque le imprese più dissestate siano state vendute a peso d'oro allo stato (soprattutto all'E.G.A.M.). La crisi della Montedison è veramente grave: l'attivo registrato nel 1974 era stato realizzato quasi esclusivamente mediante l'evasione del blocco dei prezzi e grazie all'inflazione che aveva gonfiato oltremodo le entrate. Inoltre anche la Standa, il "fiore all'occhiello" della Montedison, va verso il più completo dissesto. Secondo un rapporto redatto da Raffaele Stracquadonio, amministratore delegato della società, questa perderà nel biennio 1975/1976 dai 50 ai 65 miliardi. Il colpevole della situazione sarebbe, a detta di Stracquadonio (uomo di Cefis), il presidente Gino Sferza, un ex sindacalista che ricopre quella carica dal 1966.
Sarà molto improbabile, però, che Cefis possa mettere alla porta Gino Sferza. Infatti quest'ultimo ha in mano una buona documentazione sui cospicui finanziamenti effettuati dalla Montedison a favore di numerosi politici. È evidente che questi lo proteggano e facciano pressione sul Cefis riuscendo a condizionarlo.
La crisi della Montedison (e sono ormai anni che questa società va di male in peggio) non è dovuta solo all'incapacità dei suoi dirigenti, ma anche alle "spese extragestione" sostenute unicamente per accrescere il potere personale di Eugenio Cefis. Tra queste spese vanno annoverati i cento miliardi spesi per comprare numerose testate di giornali: trenta miliardi per acquistare Il Messaggero; quaranta miliardi forniti all'editore Rizzoli per il gruppo del Corriere della Sera; quasi dieci miliardi per rilevare il 40% dell'editoriale, la società finanziaria che controlla La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Telegrafo, Lo Stadio; quattro miliardi per dare il via a Il Giornale nuovo di Indro Montanelli; e circa sedici miliardi per acquisire una quota nel Tempo di Roma, per acquisire la maggioranza della società di pubblicità S.P.I., per sovvenzionare Il giornale d'Italia e La notte e per rilevare La Gazzetta del Popolo tramite l'editore-prestanome Caprotti.
Oggi Cefis, raggiunti i suoi obiettivi, dopo aver ulteriormente dissestato una società già in gravi difficoltà, pensa di riversare i costi della sua gestione deficitaria sull'intera collettività. In questi ultimi tempi, infatti, Gioacchino Albanese, portavoce ufficiale della Montedison, ha ribadito con insistenza la necessità di un intervento statale nella società che si dovrebbe concretizzare in una nazionalizzazione. Dopo aver raggiunto i suoi scopi il "feudatario ribelle" si appresterebbe dunque a rientrare nei ranghi della burocrazia statale, coronato però dall'aureola di gran corruttore.