Rivista Anarchica Online
Lettera da maquando
di Gabriele R.
Qualche anno fa avrei detto che al vuoto quotidiano che la società ci imponeva, bisognava
contrapporre l'azione rivoluzionaria, l'organizzazione della lotta, ecc.. Oggi non posso più
dire così perché so che mentirei a me stesso.
Mi trovo in una situazione strana, di rifiuto del sistema, ma anche di rifiuto di tutte quelle
strutture e forme di lotta, di tutti quei comportamenti e ruoli che queste forme richiedono,
che fino a ieri consideravo un valido strumento da contrapporre al potere, e che ora mi
sembrano un coltello di burro che tutti brandiscono come un'arma micidiale, con sicurezza
e determinazione.
Mi accorgo, però, che rifiutare e basta serve solo a scusare la propria paura, la propria
stanchezza, la propria rabbia impotente. Se mi fermassi qui questa lettera-intervento
sarebbe solo uno sfogo, un gesto di stizza, un calcio al castello di certezze di zucchero che
ci affanniamo a costruire tra i nostri occhi e la realtà.
Servirebbe solo a far aumentare l'incazzatura, la disperazione o la certezza di essere sulla
strada giusta a braccetto coi fantasmi delle masse o più semplicemente del nostro
simulacro di rivoluzionari che ci portiamo appresso come un burattino stanco. Sempre
pronto, però, a far salti e a gridare forte per coprire il nostro rantolo di zombies disperati
senza più una tomba di ideologia in cui rifugiarci, senza più un cimitero di rivoluzionari
che voglia accogliere la stanchezza nella nostra delusione. E questa è la cosa peggiore:
accorgersi che la rivoluzione non è gioia. O forse è il rivoluzionario che non riesce ad
essere felice fino a quando non vince il gioco.
Ma in fin dei conti, rifiutare tutto è utile.
Getti via tutti i giocattoli, fai il broncio per un po', "stai male", cerchi di fuggire dopo aver
allacciato le bretelle al calorifero. Forse questo è uno dei punti. Se io dicessi a me stesso:
"Pianta tutto e comincia da zero a costruirti ciò che ritieni utile, bello pulito, valido per la
tua esistenza, usando l'unico mezzo che hai a disposizione cioè te stesso" mi risponderei
subito che è impossibile, che sarebbe una fuga dalla realtà, che prima o poi mi scontrerei
ancora con il sistema che non tollera i diversi, che non è possibile creare dal nulla. Ecco,
ho attaccato le bretelle al calorifero per avere la SICUREZZA di poter tornare indietro
casomai decidessi di rincorrere l'utopia che mi sta davanti. Fino a quando a forza di fare lo
jo-jo le bretelle si rompono. Allora sì che "stai male" veramente, non hai più neanche la
sicurezza di poter tornare indietro, se un disadattato, un disperato sociale o più
semplicemente un cadavere vivente che ha conservato l'aspetto esteriore, di compagno
rivoluzionario, ma che è morto dentro. Oppure ti siedi come un Pinocchio scemo sul
mucchio delle tue certezze andate a male e pensi. Magari sei triste, depresso, angosciato,
"vai in crisi" e non ti accorgi che stai pensando, o meglio stai rivedendo (finalmente) i tuoi
calcoli rivoluzionari, per accorgerti che la formula magica comprata a caro prezzo da
qualche ciarlatano dal viso di furetto o dalla barba di saggio, è quella miseranda del
bicarbonato. Serve solo a far ruttare. Ma il Pinocchio rivoluzionario non ha neanche
mangiato rincorrendo la carota della sua militanza-panacea e adesso si è trasformato in un
somaro. E questo è giusto ed è bene che sia così.
Dal basso vedi finalmente il culo della gente. Prima quando eri un intellettuale-palloncino
vedevi tutto, capivi tutto, sapevi tutto, ma per quanto ti sbracciassi ed urlassi in
manifestazioni interminabili, in assemblee interminabili, in masturbazioni interminabili,
nessuno ti sentiva né capiva i tuoi gesti né alla gente interessavano i gesti di uno che era
salito troppo in alto.
Ma neanche questa è verità, perché sarebbe come dire che per sapere di che colore è la
merda bisogna caderci dentro. È solo veleno. Troppe volte è meglio sputare fiele sugli altri
per non litigare con se stessi. E "stranamente" credo che spogliare se stessi come carciofi
con le mani gonfie per le spine, sia l'unico modo di capire gli altri.
Bene, allora sei lì, seduto e disperato, dopo aver gettato libri e modelli alle ortiche e rivedi
tutte le tue azioni, le analizzi, le smonti, le rimonti, hai la possibilità di rivedere in moviola
tutte le cazzate, le scadenze, le azioni esemplari, i gesti, gli atteggiamenti, i ruoli che hai
rivestito, le situazioni che hai recitato, mimando il modello di gesso che ti eri
pazientemente costruito indossando e svestendo gli abiti che la moda "revolution estate-inverno" dell'anno ti imponeva. O più semplicemente rivedi te stesso con le tue debolezze,
i tuoi errori, i tuoi dubbi, i punti basilari sciolti come pappa, la tua stanchezza. La realtà
vera è questa, non la prima ironica ed irreale. Nessuno è così definitivo nei suoi errori da
assorbire tutte le storture, le deficienze, gli sbagli commessi da tutti quanti. Sarebbe
troppo bello se esistesse un modello preciso di rivoluzionario sbagliato da distruggere, da
bruciare sulla pubblica piazza. Troppo bello e troppo comodo avere una strega da mettere
al rogo ogni volta che frugando nelle tasche della coscienza si trovano le cambiali firmate a
se stessi e mai pagate. Invece ognuno ha qualcosa che gli morde il culo e lo manda in crisi
soprattutto ora che sta crollando il sogno e sotto c'è un re, nudo e sgraziato. E ognuno di
noi scopre che qualche particolare di quel re assomiglia in modo impressionante a una
parte di se stesso. E mentre qualcuno corre a ricostruire il castello per nascondere il re,
qualche altro Pinocchio scemo preferisce sedersi a cercare di capire come mai il re del bel-castello-rivoluzione è un incrocio tra un Andreotti superdotato, un bambino con il moccio
alternativo e un ragioniere tutto occhiali che ha appena violentato la madre. "Ma come? un
castello così bello, così forte, così alternativo, con un re così mostruoso? E il re siamo
noi". Così preoccupati ad attaccare bretelle-sicurezza a caloriferi-certezza da esserci
invischiati in una ragnatela di postille e distinguo. E l'unica mosca stronza che c'è caduta
dentro siamo sempre e solo noi.
E intanto che sei lì, passa sempre qualche grillo parlante idiota a dirti che tu sei solo un
rivoluzionario in crisi, che sei tu in crisi non la rivoluzione, ma che per colpa tua il
carrozzone del circo rivoluzionario è fermo a una "svolta importante" ad aspettare te e i
pirla come te che cagano dubbi anziché proposte concrete.
Che rabbia che mi fanno quelli tutti di un pezzo che mascherano così bene la propria
incertezza da farti credere di avere il dubbio della certezza e non la certezza del dubbio.
"No" dicono "la strada è giusta (è scientificamente provato) dobbiamo andare avanti tutti
insieme" ("vieni qui che ti emancipo bel rivoluzionario deluso...".
Se dovessero continuare da soli, finirebbero in quattro o cinque Icari a pelarsi il culo con i
raggi del sol dell'avvenire. Ma almeno ci andassero anima e corpo, no; il corpo lo lasciano
qui, che tanto là non serve, e con la testa a cavallo di spranghe magiche volano via sui
sentieri della rivoluzione. In realtà finiscono in qualche buio rione a lottare tra loro per la
gioia di una corte dei miracoli che te la raccomando.
Ma gli anarchici non sono così. Gli anarchici forse sono come me. Combattuti tra la
bellezza della libertà, con l'unica certezza di sentirne nascere il bisogno dal cuore della
propria essenza di esseri liberi, tra il desiderio di viverla con gioia e la mostruosa realtà che
ce la nega, facendocela però vedere, con le sue contraddizioni che stridono come sabbia
tra i denti, come acqua rovesciata davanti al prigioniero che sta morendo di sete. O meglio
combattuti tra questa sete impellente di libertà e la propria incapacità di soddisfarla,
nonostante tutti gli sforzi, le lotte, le ore passate a discutere con gli occhi stanchi, le
lacrime di rabbia per i morti, il dolore delle unghie della nostra volontà, della nostra buona
fede, spezzate contro muri di incomprensione, di incomunicabilità o sotto le suole di un
poliziotto. E così eccoci qua, ognuno lamentandosi come può (come sto male) davanti ai
cocci di una rivoluzione andata in frantumi sul nascere, sbriciolata dal peso di parole
d'ordine, di linee di condotta, di prassi di lotta, dai blateramenti che imbonitori più scaltri
di noi hanno distribuito alla gente assieme all'illusione di aver trovato l'elisir per tutti i mali.
Ma come ho detto tante righe fa, se mi fossi seduto a sproloquiare sui mali che affliggono
il venerando Movimento avrei pisciato sul fuoco già spento. Ma forse attribuendo ad altri
tutte quelle colpe, quei peccati, quei terribili errori, non ho fatto altro che dire a me stesso
una pietosa bugia. Ho usato la terza persona plurale anziché la prima persona singolare: io.
Ebbene sì, io ho commesso tutti gli errori e le brutture sopra elencati, io ho creduto di
arrivare alla liberazione degli altri senza aver prima liberato me stesso. Ho parlato a voi
perché non ho avuto il coraggio di parlare fuori dai denti a me stesso. Ne mi consola il
fatto che quasi tutti possono riconoscersi in qualcosa che ho detto e ne possono
aggiungere altre ancora. Se fosse vero che mal comune è mezzo gaudio, questo non
potrebbe essere che un orgasmo, allora.
Ma la mia ironia è solo tristezza. Abbiamo cercato ovunque Macondo e le sue rive
feconde senza essere ancora abitanti degni di quel paese felice. Senza riuscire, a
comunicare, non dico con gli altri, ma nemmeno con noi stessi. Ma poi comunicare che
cosa? Le nostre menate, le nostre paure, i nostri errori? O le nostre proposte, le nostre
esperienze, le nostre idee, le nostre gioie, i nostri gesti, le nostre emozioni?
"E la rivoluzione?" (coro barbuto e barboso dal fondo) "la grande la bella la vera
rivoluzione sociale?"
Per me è il caso di lasciarla navigare alla fonda, intanto impariamo a nuotare, a costruirci
le barche con cui navigare ora. Se è una vera rivoluzione sarà una nave nuova anche tra
vent'anni, cento o domani. O preferiamo fare i naufraghi di noi stessi sognando il veliero
affondato da tempo di una rivoluzione sbagliata, il '68, che per fortuna non è riuscita? Già,
perché se andiamo a rivedere com'eravamo allora...
"Amore amore, fammi venire con la rivoluzione". Che bella una rivoluzione senza
rivoluzionari.
Forse è il caso di cominciare da noi stessi, prima che Macondo il paese libero diventi
Maquando il paese dei sognatori repressi.
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