Rivista Anarchica Online
Il marxismo del partito armato
di Mirko Roberti
La fase storica che stiamo attraversando presenta, fra le tante, una caratteristica
fondamentale: il dilatamento ed in parte la disgregazione di tutta la fascia socio-economica
sottoposta al dominio di classe. Sta avvenendo cioè quello che nei paesi a più alto sviluppo
industriale è già avvenuto da un pezzo: la trasformazione della composizione sociale della
classe operaia con l'inserimento di una parte di essa nella fascia piccolo-borghese, la
scomparsa del proletariato agricolo come forza socialmente rilevante, la contemporanea
espulsione di ceti produttivi e non produttivi in un limbo non garantito dalla normale vita
sindacale e politica. In altri termini si sta consumando la fine di una particolare
contrapposizione dicotomica che aveva segnato una certa epoca storica nata con la
rivoluzione industriale e maturata soprattutto nel periodo centrale e pieno dell'era
capitalistica.
È questo il sintomo più eloquente, dal punto di vista delle classi inferiori, di un passaggio
di potere che vede il sistema capitalistico-borghese cedere progressivamente il passo al
nuovo dominio tecno-burocratico. Sintomo più eloquente perché questo passaggio di
potere comporta nella sua dinamicità e quindi nella sua momentanea indeterminatezza la
mancanza di una forza sociale omogenea e precisa direttamente antagonista ad esso.
L'indeterminatezza di potere, prodotta dalla lotta fra la classe borghese e la classe tecno-burocratica, riflette e comporta, a sua volta, una pari indeterminatezza di anti-potere nelle
classi inferiori a causa della loro parziale perduta identità sociale dovuta soprattutto al
perdersi della classe operaia dentro le spire del sistema a pluriarticolato e anonimo della
moderna democrazia industriale di massa.
Nasce da qui la crisi di un intero sistema teorico che ha avuto la pretesa di rappresentare e
di interpretare, da un secolo a questa parte, il movimento oggettivo dello sviluppo storico
indicandone anche le linee future. Incapace di rappresentare ormai quello che
oggettivamente non c'è più, questo sistema di fronte all'inarrestabile mutamento socio-economico palesa quindi le sue due componenti fondamentali: il fondo metafisico, che per
decenni ha alimentato un messianesimo paralizzante, e la cattiva scienza, perché
storicamente datata, che di questo fondo ne ha svelato la natura. Da qui lo smarrimento di
tutti quelli che hanno fino ad ora identificato il processo rivoluzionario con il cammino
stesso, dato per univoco, delle classi lavoratrici, in primis la classe operaia.
La crisi teorica del marxismo non è dunque un momento che segna un generale
ripensamento tattico o strategico, perché è una crisi profonda e irreversibile essendo in via
di estinzione la base materiale del suo statuto epistemologico: il capitalismo. Ed è a questo
punto che si spiega la necessaria riscoperta di un certo Lenin - il Lenin dell'iniziativa
politico-militare - da parte di chi ha interiorizzato la certezza metafisica in chiave di
messianesimo non attendista, ma rivoluzionario. La storia non partorisce quella
rivoluzione? Cioè la rivoluzione delineata da Marx come scontro generale e finale fra
classe operaia e capitale dovuta alla caduta da tendenziale a definitiva del saggio di
profitto con la conseguente proletarizzazione e l'inevitabile cozzo finale? Ebbene, sarà
quella rivoluzione a partorire la storia. Ecco dunque i marxisti non attendisti costretti a
riscoprire tutto il valore propulsivo e la dimensione creativa del soggettivismo
rivoluzionario, anche se, non occorre dirlo, con tempi e modi cupamente autoritari. Ma in
quale modo possono, con questa operazione, essere sempre conseguentemente marxisti?
La via seguita, dicevamo, è la riscoperta dell'iniziativa leninistica sul piano politico-militare. Riscoprono cioè "l'autonomia" del politico, nel senso che trasferiscono il
significato conflittuale della lotta di classe dalla contrapposizione fra classe operaia e
capitale alla contrapposizione fra società civile e Stato. Da un conflitto primariamente
economico passano quindi al privilegiamento di un conflitto sostanzialmente politico: lo
Stato al posto del capitale, la società civile al posto della classe operaia. In questo schema
sostitutivo essi perciò vedono ogni iniziativa politica dello Stato come una iniziativa del
capitale, ogni risposta della società civile come una risposta della classe operaia. I marxisti
sono dunque costretti a recuperare una classica tematica dell'anarchismo sia pure, come
vedremo subito, stravolgendone tutto il significato teorico, ideologico e pratico.
Nella sostituzione dell'economico con il politico, infatti, non vengono cambiati per niente i
ruoli ermeneutici assegnati prima alla classe operaia e al capitale. L'estensione
praticamente indefinita del concetto di proletarizzazione all'intera società civile, con i suoi
impliciti soggetti e figure amene (tutti, ormai, sono operai sociali, dalla casalinga al
laureato disoccupato), comporta nell'azione concreta un generale coinvolgimento che si
esprime come spaventosa strumentalizzazione da parte di quella minoranza che di questo
conflitto ha la pretesa di averne capito l'essenza teorica e pratica. Se prima il partito
tendeva ad avere come massa di manovra la classe operaia, e più in generale le masse
lavoratrici, ora questo stesso partito tende ad avere come massa di manovra l'intera società
civile. Di qui la spiegazione delle cosidette azioni "destabilizzanti" del partito armato che
testimoniano ancora una volta come un soggetto sociale (società civile) sia sottoposto agli
intenti di un soggetto politico (il partito), non molto diversamente - ed è inutile che altri
parrocchiani marxisti smentiscano il contrario - dal Marx golpista del 1871 che fa
introdurre nei "Considerando" della Prima Internazionale l'importanza primaria del partito
a cui deve essere subordinata la classe operaia, e cioè sempre e inevitabilmente
l'economico in funzione del politico.
Qui, però, il partito marxista della lotta armata ha dovuto partire da un piano
sostanzialmente politico (contrapposizione fra società civile e Stato), proprio perché non
esiste più quella contrapposizione economica per tanti anni digerita e sudata
metafisicamente sopra i sacri testi. Ne deriva che essendo in via di estinzione la base
materiale di quella particolare contrapposizione (classe operaia contro capitale), ne viene
inventata un'altra (società civile contro Stato) costringendola a recitare un ruolo delle parti
che non esiste assolutamente nella realtà. E qui trova ampia spiegazione tutto l'esoterismo
demagogico del linguaggio leninista con i suoi miti criptostalinisti che descrive ed
interpreta l'odierno conflitto politico, sociale ed economico con gli strumenti di una
"scienza" ormai obsoleta ed arcaica.
Ma, più in particolare, come avviene questa trasposizione delle parti e quali conseguenze
implica? A questo punto diventa necessario tener presente il significato irriducibile
dell'assunto teorico fondamentale di tutta la "scienza" marxista: l'hegelismo. È questa
filosofia che dice che il piano della Provvidenza divina coincide, si sovrappone e alla fine si
mischia con quello della storia. E perciò è questa filosofia che spinge i marxisti non
attendisti a far autoritariamente coincidere, se non avviene spontaneamente, la nuova
Provvidenza, di cui loro si dichiarano supremi rappresentanti ed interpreti, con lo sviluppo,
ahimè, sempre più refrattario, della storia. Ancora una volta come la trasposizione dal
piano economico a quello politico non altera il ruolo delle parti, nel senso che il primo, per
fini di puro potere è sempre subordinato al secondo, così il soggettivismo leninista è
sempre in funzione di una concezione teorica e pratica tutta oggettiva, che qui si manifesta
nientemeno nell'intento di far totalitariamente coincidere le proprie piccole azioni politico-militari con quelle ampie, generali e intrinsecamente non omogenee di tutta la società.
Se non che, non avvenendo questo sul puro piano dei fatti giornalieri, il soggettivismo
leninista per svolgere la sua funzione subordinata all'apriori e presupposta oggettività
unidirezionale dello sviluppo storico, è necessariamente costretto a farsi carico in prima
persona di tutto quello che dovrebbe essere proprio di un contro potere espresso
dall'intera società civile di contro allo Stato capitalista. Ecco dunque i loro mini-stato con
esercito, carceri e tribunali che in quanto Stato ha il compito, ai loro occhi, di riassumere
tutte le articolazioni oppositive della società civile in lotta contro l'antico Stato capitalista.
Riassumere, perché dal loro punto di vista, che esprime sempre l'eterno punto di vista
autoritario, solo uno Stato ha questa capacità e, soprattutto, il diritto di farlo.
L'assunzione in prima persona di un compito maieutico come quello di far partorire la
rivoluzione dall'iniziativa politico-militare di un mini-stato, non scaturisce solo dalla
profonda e irreversibile vocazione leaderistica intrinseca alla mentalità e all'azione marxista
(nessuno, infatti, li ha delegati), ma anche dall'incontro di questa vocazione con la
particolare congiuntura storica del momento: il passaggio, come dicevamo, dal dominio
capitalistico a quello tecno-burocratico. Essi avvertono in effetti, e giustamente, che è in
via di rapida estinzione il sistema di potere e le strutture socio-economiche stesse del
capitalismo. Lo avvertono però non sul piano scientifico, perché sono irrimediabilmente
metafisici, ma con quel fiuto politico di cui, come si sa, sono maestri. Non capiscono che
si tratta della fine storica e incontrovertibile della società capitalista, in quanto credono che
questo mutamento sia una sua ennesima (?) trasformazione; capiscono però che se non
fanno presto i termini della loro conosciuta contrapposizione economica saranno
completamente stravolti. Di qui il loro piccolo terrorismo (anche se tetro e cupo) di contro
al grande terrorismo del tardo Stato capitalista (in realtà del nascente e sempre più
consolidato Stato tecno-burocratico).
Vi è quindi, come si vede, un'ampia correzione di rotta rispetto all'hegeliana concezione
diacronica della storia. Il soggettivismo leninista, riconoscendo in essa un'assoluta
impraticabilità sul piano dell'azione concreta, passa con un sol balzo dai tempi lunghi ai
tempi brevi, anzi brevissimi, della rivoluzione. L'implicito terrorismo, determinato da
questa scelta non è altro dunque che l'espressione e la conferma più evidente della
costituzionale incapacità marxista di suscitare e di dare avvio in tutti i casi ad una
rivoluzione sociale. Nella sua classica accezione hegeliana, infatti (predeterminato
sviluppo diacronico della rivoluzione), essa porta praticamente ad un attendismo senza
fine e quindi alla socialdemocratizzazione più squallida; nella accezione leninista
(scorciatoia attraverso l'azione soggettiva delle minoranze agenti non sincroniche allo
sviluppo storico presupposto, ma solo alla strategia politico-militare della conquista del
potere - Lenin fa la rivoluzione a Pietroburgo, non a Londra) essa palesa tutta la
vocazione politica, e quindi golpista, della lotta armata. Il rivoluzionarismo marxista
perciò si rivela come uno dei due esempi più eloquenti di questa contraddizione, del resto
perfettamente conseguente al presupposto teorico del marxismo stesso: il materialismo
dialettico.
È questo un richiamo che serve ora a capire il vero significato ideologico sotteso alla sua
azione rivoluzionaria. In base alla concezione dialettica, infatti, non si dà un'azione come
abolizione del potere, ma come sostituzione perché l'antitesi è generata dalla tesi e il suo
unico scopo e destino è quello di sostituirla fondando una nuova sintesi. Ne scaturisce di
conseguenza non un anti-potere, nel senso dell'abolizione, ma un contro-potere, nel
senso della sostituzione. È un effetto elementare di questa "filosofia scientifica" che solo
una inconcepibile e inaudita miopia può scambiare per una prassi rivoluzionaria di segno
libertario o addirittura anarchico. La lotta fra un grande Stato e un mini-stato non
testimonia affatto l'emergere di una forza e di una consapevolezza autonoma delle masse
oppresse. Come sempre esse rimangono più che mai estranee ad un conflitto di potere.
L'irruzione del soggettivismo leninista, in questo particolare momento storico, va
comunque in tutti i casi a coprire l'area sociale dell'anti-potere strumentalizzandola
politicamente in chiave di contro-potere. E così quella che potenzialmente è una forza
dinamica anti-sistema si trasforma e diventa una possibile base d'appoggio per un nuovo
sistema. Il soggettivismo rivoluzionario leninista sembra apparentemente contro la storia:
in realtà è più che mai dentro la storia. Sembra contro semplicemente perché sta venendo
meno la classica contrapposizione fra capitale e classe operaia con cui identificare
totalmente la propria azione rivoluzionaria. Tutto lo sforzo politico-militare del partito
armato infatti è rivolto al tentativo di costringere il capitale ad una impossibile guerra
contro la classe operaia al fine di imprimere a questa una carica rivoluzionaria nel senso
marxianamente inteso. Una impossibile guerra perché il capitale ormai l'ha già persa
combattendo sull'altro fronte, parliamo beninteso del fronte contro la tecno-burocrazia. Di
qui la spaventosa e folle illusione del partito armato e di molti, moltissimi altri
rivoluzionari che scambiano le sconfitte subite dal capitale nella sua lotta contro la tecno-burocrazia per vittorie della classe operaia o comunque della sua avanguardia.
È un'illusione che, mentre conferma la nostalgia metafisica e ideologica di chi adesso è
contro la storia perché vorrebbe più che mai esserne dentro, sul piano concreto della lotta
per il potere è perfettamente funzionale all'avanzata tecno-burocratica in quanto spinge i
rivoluzionari ad auto-eliminarsi come terza parte consapevolmente autonoma. In effetti
non si può dare una lotta contro il potere in quanto tale se non si è consapevolmente
avvertiti della radicale diversità che deve intercorrere fra chi spinge per la sostituzione e
chi spinge per l'abolizione del potere stesso. Mentre il partito armato ponendosi a suo
modo contro la storia ne favorisce alla fin fine il suo più logico sviluppo (il bolscevismo è
pur sempre una variante politica della tecno-burocrazia), chi lotta per l'abolizione del
potere si suiciderà come rivoluzionario se non saprà porre la propria azione in antitesi
radicale a quella perseguita per la sua conquista.
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