Rivista Anarchica Online
La finzione dell'orgasmo
di Luciano Marchino (direttore dell'Istituto di Bioenergetica "W. Reich" di Milano)
Il punto di partenza di questo articolo è nella constatazione della invarianza dei comportamenti
sessuali e comunque di rapporto interpersonale che, in opposizione alle innumerevoli enunciazioni
e prese di posizione individuali e collettive (politiche), risulta a tutt'oggi pressoché indiscutibile.
Naturalmente una affermazione così grave va motivata. Come e perché le nuove generazioni si
comportano nelle loro pratiche interpersonali in modo simile alle vecchie? Come e perché,
scendendo in maggior dettaglio, la generazione che ha vissuto l'illusione rivoluzionaria del '68 non
solo non ha portato a termine la rivoluzione sociale (operazione oggettivamente impossibile nei
modi tentati) ma non ha saputo rivoluzionare in termini significativi neppure i propri rapporti
quotidiani con i compagni e gli amici, con il proprio partner?
Non volendo peccare di saccenza nell'affermare che poco o nulla è cambiato tengo a specificare di
aver risposto alla richiesta di un intervento su questo tema da parte della redazione di "A" dopo
circa un anno durante il quale non ho cessato di constatare, nella pratica terapeutica dei gruppi di
incontro, nelle mie esperienze e contatti quotidiani, ed a livello politico in una attenta
osservazione del dibattito sul politico e personale e sui rapporti uomo-donna (così ampiamente
presenti all'interno di tutta la sinistra), l'oggettività di un disagio che trova la sua motivazione
proprio nella constatazione, da parte di tutti, che qualcosa ci impedisce di cambiare nella
direzione del nostro desiderio, di essere diversi da come siamo e (contro la nostra volontà di
cambiare tanto spesso enunciata) continuiamo ad essere.
Sia chiaro: qualcosa è cambiato. L'ampiezza del dibattito in corso ci consente quantomeno di
affermare che il senso di disagio, soffocato un tempo da un maggior rispetto del tabù sessuale
sorretto da una monolitica riverenza per il totem familiare, ha reso pubblica la vergognosa realtà
del rapporto contemporaneo tra uomo e donna e, comunque, tra persone all'interno della nostra
società. Ciò purtroppo è insufficiente. La coscienza, l'analisi, sono sì condizioni necessarie, ma
non sufficienti, nell'ottica di un superamento reale. È con profondo rispetto per l'onestà, non
sempre palese, di questi tentativi che mi pongo a criticarli col solo scopo di fornire nuovi elementi,
forse utilizzabili, a quanti in tale direzione continuano a muoversi nella speranza, non infondata,
che qualcosa possa cambiare. Forse presto.
Le corazze caratteriali
"Reich è stato ucciso dai reichiani" e da una banda di avvoltoi che ne hanno saccheggiato il
pensiero per usarlo in termini clinici facendo orecchie da mercante rispetto a quanto di
rivoluzionario vi era nei suoi scritti. Reich è stato letto poco e male. I politici si sono troppo
spesso limitati agli scritti politici (rivoluzione sessuale, psicologia di massa del fascismo) i clinici si
sono quasi sempre limitati agli scritti clinici (La biopatia del cancro. L'analisi del carattere); in
entrambi i casi è mancata l'opportunità e/o la volontà di una valutazione complessiva del discorso
reichiano e quindi di una comprensione opportuna delle sue implicazioni sociali. Voglio
aggiungere che la tecnologia reichiana è ritenuta tutt'ora (ignorando con sforzo crescente
l'intensità dei dati che ne suffragano l'ipotesi principale: quella di un funzionamento energetico del
nostro corpo psichico) sintomo della follia precoce che ha portato W. Reich ad uno scontro
ultimativo con l'establishment americano.
Oggi alcune delle principali ipotesi reichiane sono diventate estremamente popolari. In taluni casi
addirittura alla moda. Tra gli altri il concetto di carattere, che è ormai non ignorabile all'interno
della psicoanalisi, ed il concetto di corazza caratteriale troppo spesso inteso in senso riduttivo dai
detrattori di Reich. Chiariamoli: per carattere si intende la struttura tipica (ma non immutabile) di
un individuo, il suo modo stereotipato di agire e reagire. Il concetto orgonomico (la scienza
fondata da Reich si chiama appunto orgonomia) di carattere è funzionale e biologico e non
statico, psicologico o moralistico. Per corazza caratteriale dobbiamo quindi intendere il
"complesso dei tipici atteggiamenti caratteriali che l'individuo sviluppa come barriera contro le
eccitazioni emozionali, rigidità del corpo, mancanza di contatto emozionale, mancanza di vita".
Funzionalmente identica alla corazza muscolare (W. Reich, La funzione dell'orgasmo), la corazza
caratteriale (character amor) è dunque essenzialmente un'arma difensiva posta a salvaguardia della
nostra integrità psicofisica e si struttura nei termini di una risposta razionale ad un modo di vita
irrazionale. La sua necessità è dettata dai modi irrazionali e stupidamente repressivi di una
educazione che si sforza di reprimere le istanze (pulsioni) naturali del bambino.
Ma chiariamone la dinamica di formazione perché questa è la stessa dinamica con cui la logica del
potete penetra all'interno degli individui per possederli definitivamente. La corazza caratteriale si
pone come diaframma fra noi e la sofferenza; è in un certo senso una forma di prevenzione che
provocando una "impercettibile" contrazione psico-muscolare "cronica" ci impedisce di
commettere gesti non consentiti prevenendoci dal possibile risultato negativo: la punizione. Tale
meccanismo, che non a caso ho definito impercettibile e cronico, è il reale garante della salvezza
del bambino laddove gli impedisce di commettere gesti inadatti ad essere accettato nel mondo
esterno, ma diviene più tardi garante della continuazione del rapporto autoritario gregaristico
padre/madre-figlio una volta divenuti adulti stato/cittadino-imprenditore/lavoratore.
Erich Fromm, intellettuale codardo più che umanista, trova la sua fetta di meritata popolarità
pubblicando Essere o avere, che avalla esplicitamente il progetto capitalista di privare il
proletariato anche delle briciole di benessere che aveva faticosamente acquisito. Feuerbach con
l'anticipo che gli compete aveva mostrato la reale consistenza della degradazione che si è ormai
spostata dall'essere all'avere. Così appare che almeno in campo sessuale qualcosa sia cambiato,
migliorato. Questo è il messaggio che ci proviene dalle giovani generazioni che parlano con
crescente disinvoltura della propria sessualità. Anche in questo campo dovrebbe perlomeno
sfiorarci il dubbio di una possibile manipolazione.
Il privilegio dell'apparire sull'essere
L'osservazione clinica e quella sociale per una volta coincidono nella constatazione che la tensione
(individuale e per estensione sociale) si riduce in clima di liberalismo sessuale. La critica più
attenta constata inoltre che il transito reale è quello da un avversario preciso: la repressione
sessuale (che è repressione tout-court); ad un avversario polimorfo costituito dalle singole
deviazioni e/o blocchi che ci allontanano dal soddisfacimento sessuale. Liberalizzando anche i
mezzi contraccettivi, dalle pillole all'aborto alla sterilizzazione si è deviato il tiro della rivolta dalla
repressione (sessuale) sociale, alle sue conseguenze individuali.
Oggi i giovani e le giovani (impasticcati, sterilizzati, abortiti) incontrano nelle loro miserabili
performances amatorie la stessa insoddisfazione dei loro padri e delle loro madri. Il polso della
situazione è dato dal crescente successo delle "tecniche di liberazione", sessuali e non, per il cui
tramite una gioventù inutilmente torturata cerca di emergere alla spicciolata dalla miseria della
propria quotidianeità (per non fare menzione degli ormai obsoleti gruppi di autocoscienza maschili
e femminili). La constatazione della miseria non è che il primo passo, indispensabile ma
insufficiente sulla strada dell'andare oltre. Continuando a mentire a noi stessi sulla realtà della
nostra condizione realizziamo l'impossibilità di migliorarla. E a chi osservasse che lo si fa molto di
più (Davis e Fabris hanno dimostrato il contrario nella loro recente inchiesta sulla sessualità in
Italia) ricorderemo con Bréton che "la somma è ben poca cosa se si considera la differenza" tra
un orgasmo reale ed una secrezione imbarazzante e appiccicaticcia sottolineata da qualche suono
gutturale ripreso dagli schemi: così per non sentirsi troppo soli.
Operazioni di grammatica trasformazionale
Molte scuole di pensiero contemporanee si sono soffermate sull'importanza della parola. La parola
crea in una certa misura il suo oggetto. Parlate a sufficienza di crisi e vi comporterete come se
questa esistesse veramente, parlate a sufficienza di orgasmo e vi convincerete che l'orgasmo esiste
e che, anche se voi ne avete esperienza solo saltuariamente, per altri esso è esperienza comune.
Così l'orgasmo è il nuovo "fantasma che s'aggira" per l'occidente, il nuovo bene sostitutivo di altre
ideologie consunte che i gestori del consenso additano alle nuove generazioni.
Ma che cos'è l'orgasmo? L'orgasmo, o meglio la potenza orgastica, è secondo W. Reich "la
capacità di abbandonarsi senza inibizione al flusso dell'energia biologica, la capacità di
scaricare l'eccitazione sessuale accumulata attraverso contrazioni piacevoli involontarie del
corpo". Sempre Reich constata inoltre che "la gravità di ogni malattia psichica è direttamente
proporzionale al disturbo genitale".
Ora, se con David Cooper ammettiamo che il comportamento schizofrenico è parzialmente
presente in tutti noi (già Reich aveva definito la nevrosi "una malattia di massa, un'epidemia di
tipo endemico") e constatiamo che "l'elemento specifico della schizofrenia è l'esperienza
dell'elemento vitale, vegetativo, nel corpo", non ci resta da constatare che l'immensità del disagio
è la misura del fraintendimento della sensazione essenziale dell'orgasmo: quella dello scorrimento
energetico nel corpo.
Come è possibile quindi che le giovani generazioni, oggettivamente così disturbate, possano
parlare con disinvoltura apparente della propria sessualità? La risposta ci viene una volta ancora
dalle tecniche di manipolazione al servizio del potere.
Ciò che è avvenuto e che apparentemente differenzia i giovani degli anni '60 dai giovani degli anni
'80 non è che un'operazione di grammatica trasformazionale (Chomsky). Ciò tradotto in termini
più accessibili significa semplicemente che sono state modificate le strutture superficiali del
linguaggio mentre il loro significato profondo (l'essenza del rapporto
interpersonale/intrapersonale) è rimasto del tutto invariato. Per esempio, se chiamate xyz vostro
zio ciò non modificherebbe la realtà del vostro rapporto di sangue con lui, ma potrebbe
modificarne l'apparenza.
Così, ciò che ora si chiama orgasmo corrisponde perfino alla deprimente sensazione che la
teppaglia fascista ha sempre provato nello stupro ed i seminaristi nella masturbazione, ma è ben
lungi dall'essere la fusione totale con l'altro fino alla perdita del senso di sé, fino all'abbandono
totale e fiducioso.
L'illusione di una risoluzione ideologica del problema
Come d'uso si cercò una soluzione razionale del problema, cioè una soluzione dalla solida
connotazione ideologica e soprattutto che suonasse bene. A Nanterre il movimento aveva preso le
mosse dall'invasione dei dormitori femminili dopo una conferenza su W. Reich. A Pisa, l'università
più rossa del '68, si poteva leggere l'immensa scritta "date la figa prima di fare la rivoluzione,
piccolo borghesi". Poco più tardi le donne si reincontrarono nei loro girotondi al canto di "donna
è bello" e "maschio maschietto non servi neanche a letto".
Nella loro equidistanza da un'osservazione equilibrata delle miserie del quotidiano, queste
posizioni sposavano la scelta del trionfalismo ideologico. Le soluzioni erano state trovate: fatelo
di più e/o siate spregiudicati e/o addossate ogni insoddisfazione all'altro. Oggi chiunque non abbia
fette di salame sugli occhi può constatare che la via del semplicismo e della risoluzione
ideologica/verbale di un problema che è biologico e storicamente determinato ha portato solo alla
posticipazione della presa di coscienza e all'aumento del disagio.
La politica dell'esperienza
Ciò che trasse in inganno le giovani generazioni impegnate a cambiare il mondo fu il sottinteso
apertamente reazionario dell'asocialità individuale. Il tentativo di imporre soluzioni collettive si
basa sulla sfiducia in un'essenza realmente comune a tutti gli individui. Da qui la necessità di un
controllo rigidamente ideologico del processo di "liberazione". Che tale fraintendimento sia stato
spontaneo oppure indotto poco importa: ciò che importa è che esso funzionò nell'allontanare tutti
e ciascuno dal nucleo essenziale del problema. Cercare nel sociale le responsabilità della
condizione individuale non aiutò a risolverla ma al contrario aiutò a non risolverla, cioè a
perpetuare lo status precedente.
Mentre questa condizione si realizzava in tutto l'occidente, un nuovo movimento, mai apertamente
politico nelle sue enunciazioni, realizzava le condizioni di una presa di coscienza più pronta, più
reale, più fiduciosa nella natura umana. Negli U.S.A. uno sparuto gruppo di terapeuti aiutava la
gente a incontrarsi, a parlarsi e a capirsi. Si creavano così le prime "situazioni alternative
provvisorie" (gruppi di incontro) all'interno delle quali ciascuno è chiamato a ri-conoscersi
attraverso l'esperienza di se stesso e degli altri.
In U.S.A. (e già in Europa) la ripresa meccanicistica ed acritica dell'esperienza rivoluzionaria dei
gruppi ha puntato la propria attenzione più sui profitti che sulla realizzazione di un modo di vita
nuovo. A questo punto si colloca il nostro intervento, il cui successo è affidato alla rapidità di
comprensione del movimento nel suo insieme.
L'ipotesi di lavoro è la seguente: ciascuno può diventare, in un periodo di tempo adeguato, e
soprattutto con un'adeguata esperienza personale, un buon facilitatore di gruppi di incontro.
Ciascuno può aiutare gli altri a capirsi, a incontrarsi, a riconoscersi al di fuori di ogni
connotazione ideologica artificialmente sovraimposta. Il miracolo, inatteso e diffidato dalle
avanguardie diffidenti, è che la gente scopre soprattutto di potersi amare e capire e di avere
veramente gli stessi problemi.
Ma come orientarsi nella miriade di approcci tecnici che hanno invaso il mercato della liberazione?
L'importante è salvaguardarsi dalla tentazione presuntuosa di credersi sulla via giusta. Di aver
capito che la liberazione passa di qui e solo di qui. La mia esperienza personale è che le vie sono
infinite ma tutte comportano un innegabile miglioramento della condizione individuale e dei
rapporti interpersonali. Il fraintendimento fondamentale, che è nostro compito smitizzare per
andare oltre, è che per frequentare un gruppo di incontro si debba stare molto male, cioè essere
nevrotici o quasi. Chi frequenta un gruppo di incontro cerca soprattutto di andare oltre i propri
limiti, culturalmente determinati, avviandosi in una direzione che comporta più gioia, più onestà,
una più profonda presa di coscienza, maggiori capacità di libera scelta, senso di responsabilità,
naturalezza. Tutto ciò costituisce un obiettivo superamento delle condizioni presenti ed è quindi
direttamente rivoluzionario.
Personalmente, diffidando del linguaggio verbale come tutti coloro che ne hanno approfondita
esperienza, ho scelto le vie delle tecniche psico-corporee: Gestalt, bioenergetica, psicodramma.
Negli ultimi anni di frequentazione e facilitazione di gruppi di incontro ho potuto osservare
fenomeni più che incoraggianti: illustri ideologi rimanere senza parole di fronte all'evidenza
autonomamente constatata delle proprie contraddizioni; operai e commesse che si riscoprono una
dimensione umana che va ben oltre il loro ruolo apparente e che restituisce loro una capacità di
intervento sulla propria vita mai prima d'ora sperata; illustri tecnici del cervello in palese difficoltà
di fronte ai messaggi non più ignorabili del corpo; tecnici della rivoluzione che non sanno riportare
un briciolo delle proprie affermazioni ideologiche nella pratica del quotidiano e fuggono
rimandando tutto al di là di una rivoluzione improbabile che puzza di golpe.
Il gruppo di incontro, socialmente orientato, è il luogo del de/condizionamento operante. Il luogo
in cui ciò che ci è altro e ci ha penetrato, la cultura del nostro tempo, viene riconosciuto come tale
e cessa progressivamente di condizionarci.
Per la prima volta saremo quindi in grado di constatare la possibile identità funzionale tra le
istanze, provvisoriamente separate del principio del piacere e del principio della realtà. Il piacere si
dimostrerà ben diverso dal suo fantasma manomesso e spacciato per depravazione e licenziosità e
additato al pubblico sdegno come drogato e asociale. Sarà però necessario spezzare la dipendenza
ideologica del piacere dal fare (fare un buon pasto o una buona chiavata) perché il fare richiama la
necessità di un oggetto da cui ricavare piacere, e delimita l'esperienza del piacere al rapporto di
consumazione oggettuale. Lo delimita quindi anche temporalmente e per accessibilità.
Il piacere, nella sua accezione più vasta e più sana, è piuttosto una funzione dell'essere: essere in
contatto con se stessi e con gli altri, essere in buona salute, essere autocoscienti. È quindi un
piacere nuovo che può accompagnarci per tutta la giornata, giorno dopo giorno, perché è
funzionalmente scollegato dal fare (così spesso imposto da circostanze provvisoriamente
immodificabili) ed è soprattutto il piacere di essere in armonia con se stessi, condizione necessaria
e spesso sufficiente per ritrovare l'armonia con gli altri.
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