Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 74
maggio 1979


Rivista Anarchica Online

Infin da vecchi...
a cura della Redazione

Da quasi trent'anni il prof. Maderna, docente all'Università Statale di Milano, si occupa di anziani. Le sue posizioni ci sembrano interessanti indipendentemente dalla collocazione politica (sostanzialmente socialista, egli sottolinea però la sua difficoltà a "collocarsi", a "definirsi" all'interno di un partito e di una corrente ideologica) e comunque meritevoli di discussione.

La conosciamo come persona aperta, e critica, quindi le chiediamo di esprimere il suo parere per una rivista letteraria che per la prima volta pone sul tappeto in modo un po' esteso il problema della salute. Vorremmo sapere se esiste un problema "della salute dell'uomo anziano" distinto da quello della salute in generale, e, in caso affermativo, che cosa è stato fatto in Italia al proposito.

A questa domanda si può rispondere in molti modi... permettete che eviti il taglio politico-partitico: sarebbe facile, inutile e distruttivo dire che il problema è stato affrontato in Italia solo per fare della demagogia.... In molte situazioni è vero, ma in fondo non interessa: non credo che a risolvere i problemi possano essere le leggi o i partiti, ma la gente... e alla gente una risposta distruttiva non basta. La riflessione critica su quelli che lei vanta come i miei trent'anni di attività, e che io vedo anche come anni in cui all'entusiasmo ho spesso abbinati ingenui errori, mi ha condotto a concludere che l'unica possibilità di autentico cambiamento, radicale e definitivo, della condizione anziana, è l'"esofagia" delle istituzioni per anziani. Il resto è mistificazione, velleitaria ed improduttiva.

Esofagia delle istituzioni? Che cosa significa?

Come lei sa, una delle risposte che vengono date da almeno due secoli al problema della maggior fragilità, del più frequente bisogno di cure dell'anziano, è il ricovero, in istituti "per anziani". Fino ad ieri l'istituto era un posto dove l'anziano andava a morire ringraziando. A morire fisicamente, perché l'inattività a cui era costretto, il fatto di dover rinunciare a tante piccole abitudini e, contemporaneamente, alla varietà di cose proposte dalla vita esterna lo portavano all'invalidità fisica ed alla demenza psichica. Luoghi di custodia costruiti solo per soddisfare i bisogni materiali più essenziali (vitto, alloggio, e, nei casi più fortunati, pulizia), divenivano anche luogo di decesso indementito e spesso indolore. All'istituto di ieri, ormai faticosamente e quasi del tutto inutile per il nostro sistema sociale, si è affiancato qualche istituto che si pretende "nuovo" e "diverso". Alla luce di quella mia famosa e lunga esperienza, posso affermare che la novità e la diversità tanto proclamate non cambiano il problema dell'anziano: che, ovviamente, non è quello di morire più o meno tranquillo, è quello di vivere il più a lungo ed il più serenamente possibile. E in questo senso il problema dell'anziano è quello di qualsiasi uomo, di qualsiasi membro della società. In termini molto terra-terra il problema è per esempio questo: come vivono il milione e mezzo di anziani residenti in Lombardia? Pensare che se ne stanno tutti negli istituti è assurdo: in Lombardia gli istituti sono 470/480, i loro posti-letto complessivamente sono fra i 43 e i 44 mila: meno di tre ogni cento anziani. Dunque, gli anziani non sono tutti negli istituti: ma tutti, o quasi, pensano che ci andranno, vivono come loro probabile destino la chiusura in questi istituti, dopo i parenti riusciranno a conquistare per loro un posto-letto. Ho detto conquistare, perché c'è la corsa ai posti-letto degli istituti: che sono ancora la maggior risposta ai bisogni degli anziani. Io penso che essi non devono più essere una risposta, che la corsa ai posti-letto si frena dall'esterno. Esofagia delle istituzioni significa che è un'utopia pensare di combattere la violenza degli istituti con le dimissioni allegre ed incoscienti: vuotiamoli pure, tanto dopo un mese si riempiranno di nuovo: di altri anziani. Gli istituti devono diventare inutili. E allora state pur tranquilli, resteranno vuoti.

Dunque non illudiamoci di fare la rivoluzione mandando i vecchi al mare, o facendoli lavorare qualche ora al giorno, o riunendoli in assemblea, o costruendo centri sociali o day hospital (ospedali dove l'anziano riceve, per qualche ora al giorno, le cure che gli sono necessarie, e dal quale viene poi riaccompagnato al domicilio). Belle iniziative, ma se non c'è, in ogni comunità, in ogni piccola comunità di cittadini, la volontà precisa, cosciente, di tutti, di cambiare le condizioni di vita della comunità, di individuarne i problemi per farne una comunità a misura d'uomo, costruendosi i servizi che servono a loro, a quella comunità specifica, resteranno iniziative che servono alla speculazione, ai consumi.

Vuole precisare che cosa intende per servizi, e perché tali servizi sono, a suo parere, l'unica reale alternativa agli istituti?

Posso senz'altro elencarvi dei servizi, ma tenete presente una cosa: in sé il fatto che un comune, un consiglio di zona, un consorzio sanitario abbia realizzato dei servizi, non offre nessuna garanzia all'anziano.

Come per i malati di mente: non serve "sbatterli fuori" dal manicomio se poi loro, i parenti, i vicini, il datore di lavoro non riescono a vivere insieme; prima o poi ritornano "dentro" qualcosa: il manicomio, l'ospedale o la prigione....

o restano nella loro stanza, incatenati e chiusi a chiave, come quella donna di Latina. E lo stesso vale per i bambini minorati. Non basta sbatterli fuori, e non basta neppure creare i "servizi", se manca la volontà e la coscienza comunitaria ad affrontare e gestire in prima persona il problema. Prima di chiedersi "quali" servizi istituire, sarebbe necessario chiedersi "come" istituirli.

Come istituirli, prof. Maderna?

Mi sembra ovvio: con la partecipazione diretta non tanto dei tecnici, che contano sì è no, non solo degli anziani, che contano ma non bastano, non solo degli amministratori, che possono al massimo fare stanziamenti, ma della gente: di tutta la gente. Con un'educazione sanitaria capillare, con assemblee ripetute, partecipate, veramente decisionali, con una gestione dei servizi assembleare, dal basso. Allora tutto quello che si farà sarà utile, perché sarà inventato come risposta, voluta da chi abita in una situazione specifica, da chi vive dei bisogni specifici, e organizzata in base alla realtà. Certo, è probabile che molte risposte si presentino in quasi tutte le situazioni: forse in tutte ci sarà bisogno di assistenza a domicilio, di centri sociali, di sussidi economici, di una miglior preparazione del personale medico e paramedico: forse, ma sarà la gente a deciderlo. Se invece non è così, io rischio di non ammettere un anziano in istituto, e di vederlo maltrattato in famiglia: allora che senso ha che lo mandi quindici giorni al mare e che un'infermiera passi tutte le mattine a fargli gratis la puntura?

A quanto ho capito, dunque, non esiste un problema specifico, medico, dell'anziano, ma un suo problema sociale.

No, questo non è esatto. Ho voluto parlare prima del problema sociale perché il problema della malattia, della prevenzione, della salute è comunque, sempre, un problema sociale. In questo senso, per esempio, anziché partire dalla patologia dell'anziano io ritengo che sarebbe molto più interessante partire, anche da un punto di vista medico, da ricerche sulla longevità; in quali condizioni di vita si raggiungono i novanta, i cento anni? Questo non contraddice il fatto che esista una patologia specifica, dei problemi di medicina dell'anziano, che spesso non sono conosciuti: ad esempio, la pressione alta dell'anziano non è la stessa cosa della pressione alta di un giovane. Il medico che interviene sull'anziano iperteso abbassandogli brutalmente la pressione, fa il più delle volte un errore grossolano....

Occorrerebbero dunque più medici esperti nei problemi degli anziani, più geriatri?

Per carità, non ho detto questo, anzi, proprio il contrario! Vede, oggi tutti tendono ad essere specialisti, con il risultato di creare clientele specializzate per la propria specialità, e di non curare più le persone.... No, no. A mio avviso il problema si risolve in ben altro modo: informando il più possibile tutti dei problemi degli anziani, discutendo con tutti, quindi con i medici generici, ma soprattutto con gli infermieri, dei problemi specifici.... Gli infermieri in questo campo sono molto importanti. Si tratta di creare una consapevolezza diffusa, non dei centri specialistici. I centri specialistici sono, e debbono rimanere, pochi. Debbono soprattutto evitare di trasformarsi in luoghi di degenza....

Perché? Non si rischia così di stabilire anche in campo geriatrico il dominio di pochi esperti?

È un rischio che si può evitare se il problema anziano è gestito con le modalità di cui abbiamo parlato così lungamente. Quanto al perché della mia affermazione, preferisco spiegarvelo con un esempio: fino a che non c'erano reparti di riabilitazione, negli ospedali, si vedevano i reparti di chirurgia, osteologia, neurologia, medicina, che, arrancando e mettendo insieme le loro forze, si davano tutti da fare per riabilitare il malato (ad esempio l'anziano infartuato, embolizzato, traumatizzato). Ora ci sono i reparti di riabilitazione e tutti si sono deresponsabilizzati: il malato, degente in osteologia, va a fare la sua mezz'oretta di riabilitazione e poi viene lasciato a se stesso per tutto il resto della giornata, oppure, se nel reparto di riabilitazione è prevista la degenza, il malato viene ricoverato nel reparto per mesi: e riabilitazione diventa un cronicario, un luogo di lungodegenza....

Che cosa ne pensa della lungodegenza, professore, cioè del ricovero per mesi in un ospedale?

Dal mio punto di vista è sempre molto pericoloso, perché abitua ad una condizione di passività, isola dall'ambiente, stacca l'anziano dalla famiglia, lo convince di essere un malato.... Quanto alle soluzioni... si tratta sempre di esofagia, questa volta con la creazione di una coscienza sanitaria, con una prevenzione che consideri anche i sanitari (personale medico e paramedico) e che parta dagli anziani sani, veri depositari del segreto della medicina preventiva, anche se forse a loro insaputa.

Se abbiamo ben capito, quindi, il problema dell'anziano è un problema sociale anche se ha risvolti medici e psicologici, e quindi come tale deve essere rifondato.

Sì, è un problema di cultura: dobbiamo rifondare non solo la struttura, ma anche la cultura, ivi compresa quella medica e psicologica, rifondare atteggiamenti, linguaggio, comunicazione e percezione nei confronti della terza età....