Rivista Anarchica Online
Cina - Il grande balzo nella fame
di Lee Yu See
Il 3 luglio 1979 il corrispondente a Pechino di un giornale occidentale scrisse: "... sotto la grande
porta Zhengyangmen dormono bambini sporchi e cenciosi, donne con gli occhi arrossati dal
pianto, uomini dall'aria cupa e acciliata - i rappresentanti di una forza sociale nuova, finora
anonima, che sfigurano le asettiche vie di Pechino come un bubbone sul punto di scoppiare (...).
Centinaia di (altri) vagabondi - un fenomeno mai visto da queste parti - si sono accampati nel
palazzo della Corte Suprema, nell'ufficio postale e talvolta passano la notte anche nel celebre
Viale della Pace Eterna.... È loro concesso di fermarsi solo nei posti che solitamente non
vengono visitati dai turisti, ma non si può evitare che i cinesi li vedano.... Verso la fine dell'anno
scorso, quando cominciarono ad affluire a Pechino gli abitanti delle campagne circostanti, per
lamentarsi dei danni subiti, delle difficoltà politiche che dovevano affrontare e della carenza di
lavoro, alcuni osservatori stimarono che il numero dei vagabondi accampati nelle varie zone
della città fosse di svariate decine di migliaia. Alla porta Zhengyangmen, prima della festa del 1°
maggio di quest'anno, c'è stata una retata, e molti sono stati rimandati a casa. Ma pare che diverse
altre migliaia di persone come loro siano rimaste nella capitale". (Jay Matthews, su: The
International Heral Tribune, 4.7.1979). Nel gennaio 1979, infatti, centinaia di migliaia di
contadini erano giunti a Pechino dalle più svariate province del paese. Alcuni di loro avevano
effettuato il viaggio (magari da regioni assai lontane) a piedi. È stato calcolato che circa 34.000
di loro riuscirono ad entrare a Pechino, mentre quelli a cui fu vietato l'accesso alla città furono
circa nove volte tanti. I dimostranti riuscirono ad ottenere solo misere baracche, improvvisate,
per ripararsi dai rigori del clima (circa 10 gradi sotto zero) e alcuni morirono congelati. I
contadini chiedevano di poter rivolgere le proprie richieste ai rappresentanti delle massime
autorità, di essere ricevuti, e alcuni organizzarono delle marce per le vie della città, a cui talvolta
si unirono anche i giovani militanti del movimento democratico. Il 27 gennaio di quest'anno, poi, data in cui
ricorre la festività del Capodanno cinese, il segretario
del partito comunista cinese, Hua Kuo-feng, invitò 30.000 persone a un ricevimento nella casa
del popolo, per celebrare la ricorrenza. Mentre Hua e i suoi ospiti si rimpinzavano e si
divertivano, diverse centinaia di contadini, magri e cenciosi, chiedevano di vederlo e venivano
allontanati dalle guardie. Due vennero addirittura arrestati e si dice siano stati condannati a
cinque anni di galera. Ma che cosa volevano di contadini? Il giornalista occidentale che abbiamo citato all'inizio
di questo articolo parla giustamente di
rimostranze per danni subiti, per difficoltà politiche, per carenza di lavoro, ma forse non dà
giusto peso al fatto che i contadini chiedevano anche un miglioramento delle loro condizioni
materiali di vita nelle campagne. Negli striscioni e nei cartelli che inalberavano durante le
manifestazioni si leggeva: "No alle persecuzioni! no alla fame!".Gli avvenimenti di Pechino
dimostrano chiaramente che nelle campagne cinesi, oggi, non tutto va per il meglio. Eppure, è
ormai opinione corrente e diffusa, non solo tra i maoisti, ma anche tra gli altri rappresentanti
della "sinistra", sia esperti come economisti e sociologi, sia profani, che la Cina abbia da lungo
tempo risolto i propri problemi alimentari ed abbia raggiunto l'autosufficienza nella produzione
agricola, soprattutto dei cereali. Molti di coloro che si occupano dei problemi del "terzo mondo"
additano la Cina come un esempio e un modello. Che dire, a questo
punto, se non che la propaganda comunista cinese è stata presa tutta per oro
colato troppo alla leggera? E a quelli che, di ritorno dalla Cina, ne hanno solo decantato le
meraviglie possiamo semplicemente ricordare che le loro furono visite guidate e che i comunisti
cinesi hanno mostrato loro solo ciò che volevano. In realtà, persino il vicepresidente cinese, Teng
Hsiao-ping, ha dichiarato, nell'ambito di una conferenza scientifica (svoltasi tra il 17 e il 31
marzo del 1978), che "nonostante che diverse centinaia di milioni di persone lavorino alla
coltivazione del riso, non abbiamo ancora completamente risolto i nostri problemi alimentari". La vita nelle campagne cinesi, oggi come durante gli ultimi trent'anni del regime
burocratico
comunista, è caratterizzata da povertà e da privazioni. Tuttavia, la situazione odierna non è drammatica come lo fu nel triennio 1960-62. Durante quei
tre anni (in seguito a una serie di calamità naturali, ma anche in conseguenza della politica
disastrosa di Mao Tse-tung, come spiegheremo meglio più avanti) il popolo cinese fu afflitto da
gravi carestie e dallo spettro della fame. I contadini furono costretti, per sopravvivere, a cibarsi di
erbe, delle foglie degli alberi, di grilli e di patate selvatiche. Le patate selvatiche, talvolta
velenose, causarono la morte di diverse persone. Arrivarono persino a dare in mogli le figlie a chi
abitava in zone meno disastrate, in cambio di misere quantità di riso o di patate dolci. Gli abitanti
delle regioni più colpite, Shangtung, Kiangsu e Anwei, emigravano altrove. Alcuni contadini
della regione di Anwei si trasferirono nelle Fukien, dove la carestia imperversava con uguale
violenza. Molti si ridussero a mendicare o si ammalarono. Centoventimila persone
attraversarono, in una sola settimana del 1962, la frontiera tra la provincia di Kwangtung e Hong
Kong. Nel 1959 gli abitanti di Hong Kong mandavano già, a mezzo postale, 870 mila pacchi di
viveri ai loro parenti in Cina, ma nel 1961 i pacchi divennero tre milioni e 700 mila. Si è
calcolato che in quei tre anni 50 milioni di persone morirono di fame o per gli effetti della cattiva
alimentazione. Dopo il 1962 l'economia cinese si
risollevò, ma, ad eccezione degli abitanti delle comuni-modello che sono meta costante dei turisti e dei
visitatori stranieri e ad eccezione dei coltivatori
ortofrutticoli nelle immediate vicinanze dei grandi centri urbani come Pechino, Shanghai e
Canton, alla maggior parte dei contadini delle campagne cinesi continua a mancare
un'alimentazione adeguata, di vestiti e di mezzi per acquistare ciò che è necessario alla vita
quotidiana. Nella provincia di Honan, per alleviare il problema della carenza di cibo, quando non
v'è grande necessità di manodopera per il lavoro nei campi i vecchi, le donne e i bambini
vengono mandati dalle comuni a chieder la carità in altre zone del paese. Soprattutto negli anni
più difficili, i membri delle comuni, giovani e vecchi, ottengono dal segretario del partito
permessi e documenti speciali per recarsi nelle regioni più prospere, come lo Kwangtung, il
Kwangsi, ecc.. Possono viaggiare gratis sui treni e girano qua e là, dormendo per terra e
chiedendo la carità. Le monetine che raccolgono in questo modo vengono poi cambiate in
banconote e spedite ai giovani che sono rimasti a casa. Nel
Szechuan, e in particolare nella parte orientale e settentrionale di questa regione, i generi
alimentari di prima necessità distribuiti ai contadini bastano a malapena per otto-nove mesi.
Perciò, per risparmiare, la popolazione si ciba anche del rizoma della patata dolce, che un tempo
si dava solo ai maiali. Nel Kweichow i contadini organizzano talvolta delle spedizioni di gruppo
sulle montagne, alla ricerca di erbe commestibili. È
opinione corrente che l'alimento principale di gran parte della popolazione cinese sia il riso.
Orbene, per molti contadini la fonte principale di calorie è la patata dolce, mentre il riso bianco
viene riservato ai malati, oppure viene consumato solo in particolari occasioni, quali feste,
ricorrenze, ecc.. Per ciò che riguarda il riso, i contadini che vivono nelle aree di produzione di
Chekiang, dello Hunan e dell'Hupeh stanno un po' meglio degli altri; ma qui, dove si possono
fare due raccolti di riso all'anno, i contadini devono lavorare molto più duramente e,
ciononostante, come i loro compatrioti di altre regioni, sono tanto poveri da non potersi
comperare sale o sapone a sufficienza.
Nelle stagioni in cui si pianta, si ara e si semina i contadini cinesi
lavorano quindici o sedici ore
al giorno. Sarebbe più che logico, perciò, che in altri periodi potessero godere di un po' di riposo.
Ma non è così; quando non sono occupati nei campi, sono chiamati ad aggiustare strade, a
realizzare impianti di irrigazione o altre opere edilizie - spesso nelle condizioni climatiche più
rigide o nei giorni festivi. In media, ciascun membro di una comune lavora in questo modo per
100 giorni all'anno. E tutto questo senza essere pagato.
I medici scalzi hanno contribuito a debellare le epidemie nelle campagne
cinesi, ma non sono in
grado di curare o di prevenire le malattie causate dalla denutrizione. Poiché tutti devono lavorare
sodo nei campi, si provvede a trasportare i malati all'ospedale della città più vicina, che spesso
è
molto lontana (e magari a piedi, in spalla a un parente, attraverso le colline), solo quando sono
veramente molto malati. E in genere i poveretti muoiono poco dopo.
Le comuni popolari: liberazione o
schiavitù?
I maoisti e i loro apologeti hanno versato fiumi d'inchiostro sulla
collettivizzazione
dell'agricoltura per mezzo delle comuni popolari e su come le comuni stesse abbiano determinato
un forte aumento della produttività e rappresentino un aspetto della trasformazione della società
in senso socialista. L'apologeta del maoismo ragiona in questi
termini: subito dopo il completamento e l'attuazione
della riforma terriera del 1953 si cercò di accelerare il processo di cooperazione agricola con una
campagna per l'organizzazione di squadre basate sull'aiuto e la collaborazione reciproca. Il passo
successivo consistette nella creazione delle cooperative di produttori agricoli, a carattere "semi-socialista".... Mao
e i suoi seguaci vollero a tutti i costi che il processo di cooperativizzazione
divenisse più rapido, perché così si sarebbe avuto un aumento della produttività
agricola e si
sarebbe posto un freno alla polarizzazione delle classi nelle campagne. Mao riteneva che il
movimento collettivista cinese equivalesse a un tentativo di innescare anche nelle campagne una
sorta di "rivoluzione culturale" e di trasformare, perciò, i rapporti di produzione. In certi casi,
affermano i maoisti, le forze produttive possono svilupparsi rapidamente solo in virtù della
trasformazione dei rapporti di produzione e delle sovrastrutture ideologiche. Per "rapporti di
produzione" i cinesi non intendono solamente il "sistema padronale" e il "sistema di
distribuzione", ma anche "i rapporti sociali all'interno del processo di produzione". I cinesi non
lasciano dubbi di sorta su quali siano gli elementi essenziali di questi "rapporti sociali". Essi si
riferiscono, infatti, soprattutto alle "Tre Differenze Fondamentali": quella tra città e campagna,
quella tra operai e contadini e quella tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. La trasformazione
dei rapporti di produzione in senso socialista presupporrebbe, tra l'altro, il progressivo
ridimensionamento e infine la scomparsa di queste differenze. Altrettanto importante è il
concetto che i cinesi hanno delle forze produttive. Esse sono costituite da tre componenti: gli
strumenti di lavoro, gli oggetti del lavoro e i lavoratori, con la loro esperienza, la loro abilità e la
loro coscienza politica. I cinesi considerano soprattutto importante, addirittura decisivo, il
popolo, con la sua (corretta) coscienza politica. Facendo leva sull'iniziativa politica del popolo,
essi affermano, è possibile portare a livelli molto più alti le forze produttive anche senza
apportare mutamenti rilevanti agli strumenti e agli oggetti del lavoro. Per far questo, tuttavia, è
necessario trasformare non solo i rapporti di produzione, ma anche la coscienza popolare. In Cina
il movimento collettivista si poneva soprattutto l'obiettivo di trasformare in senso socialista i
rapporti di produzione nelle campagne. (Tse Kai-kui, Agricultural Collectivization and Socialist
Construction: The Soviet Union and China (Collettivizzazione agricola e edificazione socialista:
Unione Sovietica e Cina), in: China Towards Modernisation (La Cina sulla via della
modernizzazione), HK Federation of Students, 1977, pp. 277-318.). Così, appena due mesi dopo che, nell'estate del 1958, Mao aveva emanato le direttive per la
formazione delle comuni popolari, i cinquecento milioni di contadini delle
settecentoquarantamila cooperative di produzione agricola si erano già riorganizzati in
ventiseimila comuni popolari. Pienamente fiducioso nel successo di questa teoria, Mao parlò di
enormi incrementi nella produzione agricola (e industriale). Le bandiere rosse della "politica
generale di ricostruzione socialista" (ovvero lo sviluppo parallelo dell'industria e dell'agricoltura
mediante l'applicazione simultanea di metodi produttivi moderni e tradizionali), del "grande
balzo in avanti" (ovvero il tentativo di incrementare fortemente la produzione soprattutto nei
settori dell'acciaio e dell'energia) e delle "comuni popolari" furono alzate alle stelle. Con quali
risultati? Tre anni di carestie, di fame e di difficoltà economiche, come già abbiamo visto
poc'anzi. Che cosa era accaduto? In primo luogo, vennero
impiantate a breve scadenza delle comuni su
larga scala, che sostituivano le vecchie cooperative di produzione agricola e comprendevano
ciascuna un numero di famiglie che spesso si aggirava intorno a 5.000 o 6.000. Le comuni
venivano rifornite gratuitamente di grano e disponevano di mensa, nurseries, lavanderie
collettive. Il servizio di assistenza per l'infanzia, l'assistenza medica e l'istruzione scolastica erano
gratuite. La proprietà privata della terra venne abolita e tutte le case, il bestiame, gli attrezzi, gli
utensili, le stoviglie le piante da frutta divennero di proprietà comune. Bisogna dire che,
all'inizio, l'idea delle comuni piacque a molti contadini, che diedero prova di una creatività e di
uno spirito senza precedenti, e di fatto vissero una grande esperienza socialista. Tuttavia, col
passare del tempo fu chiaro che molti abitanti delle campagne, e in particolar modo i contadini
più abbienti, erano assai restii ad aderire alle comuni. Così, alla vigilia della comunizzazione,
costoro avevano ammazzato il bestiame e il pollame e si erano mangiati tutto quello che
possedevano, pur di non farselo portare via. Di conseguenza, poco dopo l'istituzione delle
comuni, le riserve di alimenti che non fossero cereali cominciarono seriamente a scarseggiare.
Tuttavia, quando apparve infine chiaro a tutti quale era il vero significato della comunizzazione,
la delusione fu grande. In realtà, il Grande Balzo era
soprattutto una spinta in avanti della produzione e le comuni
popolari non erano altro che strumenti per la mobilitazione della manodopera su vasta scala e con
criteri di maggiore specializzazione, per incrementare fortemente la produzione agricola e
innescare un processo di industrializzazione che consentisse alla Cina di colmare il divario che la
separava dalle nazioni capitaliste. Parlando dei vantaggi delle comuni popolari, Mao fu
abbastanza franco da dichiarare che "una delle cose che hanno di buono (le comuni) è che
riuniscono insieme operai, contadini, commercianti, studenti e soldati, e perciò è più facile
dirigerle". "Dirigerle" per i comunisti cinesi significa
"controllarle". Il vero significato della
comunizzazione era perciò: "la politica del potere", "potere al segretario del partito",
"concentrazione del potere politico ed economico nelle mani del segretario del partito della
comune", "militarizzazione delle organizzazioni", "azioni e attività di tipo militare" e
"collettivizzazione" di tutti gli aspetti dell'esistenza umana. In
altre parole, dopo che i contadini aderirono alle comuni, si resero conto di essere sottoposti a
pressioni da parte politica, militare e poliziesca per portare avanti la produzione. In breve, erano
costretti a lavorare. Affinché neppure un attimo andasse perduto i contadini dovevano sorbirsi
corsi di formazione tecnica e di indottrinamento ideologico nelle ore riservate ai pasti. Le mense
comuni e l'assistenza all'infanzia significavano una cosa sola: che a tutte le donne sarebbe stato
imposto di lavorare nei campi e alle opere edilizie, esattamente come gli uomini. I contadini
cinesi avevano "venduto" il proprio corpo al partito, al pari dei servi, degli schiavi, in cambio di
"pasti gratuiti", e il partito li aveva organizzati in una sorta di reggimento sottoposto al più rigido
e severo controllo. Ciascuno di loro divenne poco più di un numero, costretto a lavorare giorno e
notte, ad obbedire ciecamente agli ordini dei funzionari del partito. E tuttavia i "pasti" che
ricevevano in cambio erano spesso insufficienti o mal cotti, così come non era insolito che i
lavoratori, dopo aver percorso diversi chilometri per arrivare alla mensa, dovessero attendere per
ore prima di essere serviti. Lo stato requisiva il trenta per cento
del prodotto del lavoro. Del rimanente, una parte veniva
utilizzata per finanziare la pesca, l'allevamento del bestiame, la silvicoltura, la costruzione di
scuole e altre attività o servizi di comune utilità, e un'altra parte serviva a finanziare le spese
d'ufficio, le attività e le necessità familiari e di svago dei funzionari di partito. Infine, quel poco
che restava andava ripartito tra i membri delle comuni. Il
malcontento delle classi contadine crebbe ogni giorno di più. Alcuni, nelle province dello
Honan, dell'Hopeh, del Szechuan, dello Kwangtung e in altre ancora, si ribellarono apertamente.
Molti altri adottarono i metodi della resistenza passiva, rallentando il lavoro, danneggiando le
attrezzature agricole, ecc.. A provocare le disastrose carestie
e la fame degli anni tra il 1960 e il 1962 furono però
soprattutto le sperimentazioni di metodi nuovi, ma mai collaudati in precedenza, effettuate su
vasta scala nell'intento di incrementare la produzione sotto la guida di dirigenti di partito tanto
autoritari quanto privi di ogni esperienza pratica in materia. Le conseguenze di tutto ciò fu che
anche nelle regioni più ricche e fertili della Cina meridionale i raccolti furono scarsissimi. Il
grande progetto di irrigazione delle pianure aride della Cina settentrionale avrebbe dovuto
trasformare quelle regioni in una distesa di risaie ad altissimo rendimento. Ma la sua
realizzazione pratica, troppo affrettata, si risolse nel fallimento più completo e portò alla
distruzione di enormi zone di terra coltivabile. Ad aggravare ulteriormente la situazione
contribuiva anche il fatto che i funzionari politici locali annunciavano ai loro superiori copiosi
raccolti per ogni chicco di grano che le comuni mandavano allo stato. La terribile siccità, le
calamità naturali, il blocco degli aiuti dall'U.R.S.S. e la richiesta, da parte sovietica, della
restituzione dei crediti fecero infine traboccare il vaso e diedero il via alla crisi che portò alla
morte per fame di milioni di persone. La sconfitta e il
fallimento su tutti e tre i fronti principali della politica economica
ridimensionarono notevolmente il potere di Mao Tse-tung, che fu costretto a dimettersi dalla
carica di presidente del paese, pur conservando quella di presidente del partito. Liu Shao-chi,
Teng Hsiao-ping e altri assunsero il controllo dell'economia e vararono una politica volta a
minimizzare gli effetti della crisi. Le dimensioni delle comuni furono drasticamente ridotte,
cosicché nel 1963 esse arrivarono a comprendere 1622 nuclei familiari, in luogo degli originali
5.000. L'unità redditizia basilare, in sostituzione della comune, divenne la squadra di produzione,
che ora comprendeva mediamente 24 nuclei familiari. La squadra di produzione era proprietaria
della terra, di una parte del macchinario e degli attrezzi agricoli, degli animali domestici, e
godeva di autonomia per ciò che concerneva le operazioni produttive, l'utilizzazione della
manodopera, la gestione e la distribuzione del reddito. Gli esperimenti che prevedevano il
rifornimento gratuito di grano alle comuni vennero revocati, così come scomparvero le mense
comuni. Liu Shao-chi introdusse anche la pratica del san zi yi bao (ovvero degli appezzamenti di
terra destinati all'uso privato o al libero mercato, dello sviluppo di piccole imprese private con
responsabilità esclusiva dei profitti e delle perdite, di quote fisse di rendimento e produttività
calcolate sulla base dei nuclei familiari) e le "quattro libertà" (la libertà di praticare l'usura, di
assoldare manodopera, di vendere e di acquistare la terra e di dedicarsi ad attività imprenditoriali
private). La politica di Liu Shao-chi, che spregiudicatamente
fece largo uso di incentivi e garanzie
materiali, contribuì da una parte a resuscitare l'entusiasmo e la volontà della classe lavoratrice e
dall'altra salvò in extremis l'economia, conferendole nuovo vigore. Mao Tse-tung, dal canto suo,
la considerava oltremodo biasimevole e previde giustamente che, a lungo andare, essa avrebbe
determinato una situazione tale per cui la mentalità del contadino sarebbe stata limitata al solo
orizzonte produttivo funzionale alle necessità del piccolo gruppo o della famiglia di cui faceva
parte.
La lezione di Tachai
Mao non abbandonò mai le proprie convinzioni e nel 1966 diede
inizio alla Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria che gli avrebbe restituito il potere e gli avrebbe consentito di portare avanti il
grande progetto di trasformazione delle campagne e della società cinesi. (Per maggiori ragguagli
sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, cfr. The Revolution is Dead, Long Live the
Revolution! (La rivoluzione è morta, viva la rivoluzione!), a cura di Mok Chiu Yu, 70s
Biweekly,
Hong Kong, 1976. Per un'analisi più succinta, cfr. l'articolo di Kan San: "The GPCR: the Chief
Mandarin Asked for Rebellion" (La GRCP: il Grande Mandarino ha chiesto la rivolta), in: Three
Essays on the New Mandarins (Tre saggi sui nuovi mandarini), Minus 6, Hong Kong,
1978). Mentre preparava questi avvenimenti, nel 1964, diede
vita a un movimento il cui slogan era "Per
l'agricoltura, prendete esempio da Tachai!". Quale era la via segnata da Tachai, e cosa aveva da
insegnare? In un opuscolo dal titolo Il primo quarto di secolo della nuova Cina, pubblicato nel
1975 dalla "Foreing Language Press" di Pechino, la cosa è spiegata in questi termini: "Tachai
iniziò ad organizzare squadre di cooperazione reciproca già nel 1946. Nel 1953 istituì una
cooperativa di produzione agricola che si sviluppò e perfezionò sempre più, fino a
trasformarsi,
nel 1958, nella brigata della Comune popolare di Tachai. Dopo oltre vent'anni di lotte, oggi
Tachai è un villaggio socialista prospero, fiorente, di tipo nuovo. La rivoluzione rurale che
Tachai ha portato avanti dopo la trasformazione del sistema di proprietà è un esempio per tutti,
un simbolo. Gli abitanti di Tachai hanno segnato la strada che tutti i contadini dovranno
percorrere, hanno edificato il socialismo nelle campagne ponendo la politica e il pensiero di Mao
innanzi a tutto, confidando pienamente in sé stessi e nella propria combattività, offrendo un raro
esempio di amore comunista per la patria e per la collettività". In particolare, l'opuscolo riferiva che la squadra di cooperazione, che alla nascita era stata
soprannominata per scherno "squadra dei vegliardi e dei poppanti", non disponeva "di molta
manodopera, né di grande abbondanza di mezzi, ma era molto unita, convinta della necessità
della cooperazione reciproca e si impegnò alacremente nel lavoro collettivo". Poi, "nell'autunno
del 1953 la sezione del partito elaborò un piano decennale per approntare nuovi campi. Si
sarebbero dovuti spianare a terrazze le pendici delle colline e ricavare campi dalle gole nelle
montagne per ottenere buoni raccolti a dispetto della siccità e del disboscamento. Nell'inverno
del 1955 tutti e 58 gli uomini abili del villaggio vennero mandati a lavorare sui monti per
trasformare la Gola del Lupo in modo da ricavarne campi produttivi. Lavorarono per tutto
l'inverno e per tutta la primavera, col vento gelido e in mezzo alla neve, e riuscirono a costruire
38 bastioni di sbarramento attraverso la gola, utilizzando pietre strappate alla montagna. Ma
nell'estate del 1956 un tremendo temporale fece piazza pulita del loro lavoro.... Gli abitanti non si
persero d'animo, e l'inverno seguente ricominciarono tutto da capo.... Sembrava proprio che si
volesse mettere a dura prova la loro resistenza, perché nell'estate del 1957 una pioggia ancora più
forte dell'anno precedente fece crollare anche i nuovi sbarramenti, portando via persino i sassi e
le pietre con cui erano costruiti.... Furono convocate due assemblee: una dei quadri del partito e
una dei contadini più poveri, per cercare di risollevare gli animi e dare alla gente nuova forza per
reagire. I funzionari del partito e i contadini, uniti come un sol uomo, raccolsero la sfida e
diedero nuovamente l'assalto alla Gola del Lupo. Questa volta, la lotta fu più dura che in passato.
Per 27 giorni gli uomini del partito e i membri della comune affrontarono la neve e il gelo. Chia
Chin-tsai, vice segretario della sezione locale, brandiva l'enorme mazza di 19 chili che il vecchio
padrone terriero aveva fatto forgiare apposta per lui, per farlo lavorare di più. Per dieci anni gli
abitanti di Tachai lavorarono in queste condizioni e finalmente riuscirono nell'intento. Ma nel
1963 un'altra calamità naturale li colpì. Per sette giorni e sette notti, senza interruzione, una
pioggia violentissima cadde sul villaggio, devastando i campi che tanto faticosamente erano stati
ricavati nel corso dei dieci lunghi anni. I raccolti furono spazzati via o rovinati, le strade
sommerse e il 97% delle case del villaggio gravemente danneggiate. A fianco della sezione del
partito, i poveri contadini decisero di riprendere la produzione a tutti i costi e di ricostruirsi,
insieme, con pazienza e tenacia, le case distrutte. Per quattro volte rifiutarono e rispedirono
indietro il grano, le provviste e gli aiuti mandati dal governo. Ad onta delle condizioni
drammatiche in cui si trovavano, anche quell'anno il raccolto fu abbondante e ciascun membro
della brigata ricevette la sua parte, come previsto. Anzi: riuscirono persino ad accumulare una
riserva di grano e a vendere una parte del raccolto eccedente al governo. La vittoria di Mao e della Rivoluzione culturale, che gli consentì di riconquistare una posizione
predominante in seno al regime burocratico, fece cadere in disgrazia Liu Shao-chi e la sua
politica. Gli incentivi materiali furono severamente criticati e drasticamente ridotti e ai contadini
si raccomandò di prendere esempio da Tachai. Mao sognava che tutte le brigate di produzione
del paese emulassero gli abitanti di Tachai, poiché così sarebbero sorti "nuovi, prosperi, fiorenti
villaggi socialisti" in tutta la Cina. La realtà, tuttavia, fu assai meno rosea e gli eventi sfavorevoli
portarono alla rovinosa caduta dei seguaci di Mao, la Banda dei Quattro, poco dopo la sua
morte. Il prendere esempio da Tachai, per le comuni, le brigate
e le squadre di produzione dominate e
dirette con criteri autoritari dai segretari e dai funzionari del partito, poteva significare solo essere
costretti a un lavoro massacrante. Ai contadini si chiedeva di lavorare con entusiasmo, per lunghe
ore, "nella neve e nel gelo", di "brandire pesanti mazze da 19 chili, forgiate appositamente per
loro dai vecchi padroni, per farli lavorare di più", di "rifiutare e rimandare indietro il grano
gratuito", di "raggiungere gli obiettivi prefissati e di riuscire a vendere il prodotto eccedente allo
stato, ad onta delle avversità e del maltempo". Spesso i segretari e i funzionari del partito
stabilivano obiettivi troppo ardui da raggiungere e nei loro rapporti menzionavano raccolti di
gran lunga eccedenti la realtà, per fare buona impressione ai superiori e far credere che le loro
unità di produzione fossero in grado di emulare Tachai. In questi casi, le comuni e le brigate di
produzione dovevano versare allo stato una quantità di prodotto ben più cospicua di quanto non
sarebbe toccato loro in realtà. Quando veniva il momento del raccolto, i dirigenti del partito
giungevano in massa nei villaggi, col pretesto di dare una mano ai contadini. In realtà volevano
solo controllare che la quantità di prodotto versata allo stato corrispondesse a quella risultante dai
loro resoconti. Gonfiare i rapporti sulla produzione fu pratica comune nel periodo del Grande
Balzo in avanti, e lo restò anche in seguito. Fu anche una delle cause principali delle grandi
carestie degli anni tra il 1960 e il 1962 e delle privazioni che i contadini dovettero subire. Il vicesegretario del Comitato regionale del partito nella regione Chum Kaing della
provincia di
Kwangtung, Pei Chun-fun, è stato punito recentemente proprio per un misfatto del genere. È
stato appurato, infatti, che Pei, quando era responsabile della comune May Chan della contea di
Chui Man, dichiarò in un rapporto una produzione di grano che eccedeva quella reale di circa 29
milioni di kati (circa 14.500 tonnellate). In conseguenza della falsa dichiarazione, la comune fu
promossa a comune modello della contea e Pei Chun-fun divenne membro del Decimo
Congresso Nazionale del partito. Poi fu trasferito nella contea di Hai Hong, dove si prefisse un
obiettivo di 100 milioni di kati (50.000 tonnellate), insistendo che tutti i dirigenti a più basso
livello dichiarassero i loro obiettivi e cercassero di raggiungerli. Di conseguenza, la distribuzione
di grano e i profitti delle comuni della contea diminuirono di anno in anno. Il Quotidiano del
Popolo, che riportò il caso, ricordò anche che, quando le masse contadine manifestarono il
loro
scontento, Pei e i suoi scagnozzi usarono nei loro confronti ogni sorta di angherie e di barbare
persecuzioni. Centinaia di persone furono picchiate, alcune addirittura a morte. L'anno scorso il Quotidiano del Popolo riportò un altro caso di
falsa dichiarazione, verificatosi
nella contea An Shan della provincia di Hunan. La contea di An Shan era una delle prime "contee
progressiste che presero esempio da Tachai". Ciononostante, dal 1975, per tre anni di seguito si
era riscontrato un continuo calo della produzione - fino a raggiungere nel 1977 il livello di
quattrocentotrenta milioni di kati (215.000 tonnellate), cioè un calo complessivo del 24%
rispetto
al 1974. I dirigenti locali del partito, per non perdere la fama di "contea progressista che prese
esempio da Tachai" non riferirono l'ammontare reale della produzione. Le cifre furono falsificate
e le condizioni di vita dei contadini ne soffrirono non poco. Per
molti funzionari, prendere esempio da Tachai sembrava anche voler significare fare qualcosa
di grandioso, come "trasformare in una distesa di fertili campi la Gola del Lupo". Spesso, perciò,
mobilitavano enormi masse di lavoratori nella costruzione di opere il cui completamento
richiedeva anni e che alla fine si rivelavano inutili sprechi di energia. Un esempio del genere è
l'utilizzazione, per un periodo di tempo di tre anni, di circa 500.000 yuan RMB e di lavoratori
"volontari" dalle comuni agricole, dalle fabbriche, dalle officine e dagli uffici governativi della
contea per costruire degli argini sulle rive di un fiume, allo scopo di ricavarne circa un migliaio
di mus (un mus equivale a circa 1/12 di ettaro) di campi coltivati in più!
(L'episodio è stato citato
nel n.20 della rivista Cheng Ming, del giugno 1979, pp. 36-37. Cheng Ming è
una rivista
pubblicata a Hong Kong, ma in linea con la politica di Pechino, tanto da essere quasi considerata
un organo ufficiale del partito comunista cinese). Mentre i
contadini sono costretti a un duro lavoro e vivono in povertà, i segretari e i funzionari
del partito sono diventati i nuovi "padroni" delle campagne cinesi. Nelle loro mani risiede il
potere del partito, del governo burocratico, dell'economia e della finanza. Sono colmi di privilegi
e non esitano ad usare il proprio potere per rendersi ancora più agevole e piacevole l'esistenza.
Possono chiedere ai membri della comune di costruir loro la casa gratis; hanno dimore a volte
persino più grandi di quelle degli antichi padroni; insediano i parenti in posizioni di favore;
violentano le donne; perseguitano quelli che non vanno loro a genio; possono sottrarre punteggi
di produzione ai membri delle comuni; possono arrestare i rifornimenti di viveri, e far morire
tutti di fame; danno ordini a destra e manca e si fanno servire come signori. Infine, la maggior
parte di loro sono corrotti, e a nulla vale protestare presso i superiori, perché in genere questi
ultimi li proteggono (ecco perché molti reputarono necessario recarsi direttamente a
Pechino!). I contadini si lamentano: "Stiamo peggio delle
vacche e dei cavalli, perché almeno loro hanno un
po' di tempo libero per pascolare. Noi non abbiamo la benché minima libertà - neppure quella di
sentirci, per una volta tanto, la pancia piena. (Testimonianza pubblicata da un gruppo di ex
guardie rosse, deluse dal regime maoista e fuggite a Hong Kong, nella loro rivista, Huang Hé
-
maggio 1976, p. 21 - n. 1). Lee Chui-pei, che ha vissuto nei
villaggi della Cina meridionale, scrive: "nei villaggi cinesi vige
ormai un sistema servile che non ha riscontro in nessun altro paese del mondo". (Cheng Ming,
giugno 1976, p. 36). Sotto il regime di Mao, in realtà,
i contadini non erano per nulla soddisfatti del modo con cui
veniva gestita la produzione e sabotavano le macchine e gli attrezzi, perpetravano ruberie
collettive ai danni dello stato e delle autorità e arrivavano persino ad assassinare i dirigenti di
partito che si rendevano maggiormente invisi. (Huang Hé - maggio 1976, p. 21).
Le prospettive future: la politica di Teng Hua e
l'autogestione
La burocrazia cinese, dopo aver stabilito i quattro obiettivi principali di
modernizzazione
(nell'agricoltura, nell'industria, nella scienza e nella tecnologia, nella difesa nazionale), si
preoccupa in modo particolare dello sviluppo agricolo e soprattutto dell'incremento della
produttività nelle campagne. Nel delineare l'attuale
strategia, il regime si è persino sbilanciato al punto da dichiarare che "negli
ultimi dieci anni, in conseguenza dell'interferenza e del sabotaggio operato dalla Banda dei
Quattro e a causa delle deficienze e degli errori di cui noi stessi ci siamo resi colpevoli, i
contadini hanno dovuto patire gravi sofferenze. Parte di queste sono costituite, essenzialmente,
dallo sfruttamento dei lavoratori agricoli. Questo è uno dei problemi che dobbiamo risolvere con
la massima urgenza". Il 5 luglio 1978 il Quotidiano del
Popolo pubblicò "L'esperienza di Shan Heung". Nell'articolo si diceva che per quattro anni consecutivi il livello produttivo nella contea di Shan
Heung della provincia di Hunan era stato scarso. Mentre i dirigenti del partito della contea e i
funzionari di rango inferiore si davano da fare per porvi rimedio, si scoprì che i contadini e le
squadre di produzione erano oppresse da gravi problemi, che si potevano riassumere in sette
punti:
1) Alcune unità utilizzavano manodopera, materiali e risorse
finanziarie delle squadre di
produzione senza pagare nulla e per la realizzazione di opere "non produttive", come per esempio
una serie di uffici per l'amministrazione della contea;
2) I dirigenti e i funzionari di partito di alcune unità risultarono
corrotti: spendevano cifre folli,
mangiavano e bevevano spesso a spese dei contadini e derubavano i membri della comune dei
frutti del loro lavoro;
3) Le comuni erano costrette a finanziare e a mantenere un numero
eccessivo di funzionari e
dirigenti non dediti ad alcuna attività produttiva (compresi quelli che transitavano
occasionalmente dalla contea allo scopo di promuovere campagne o movimenti), oltre al
personale direttivo delle squadre, i medici, gli insegnanti. Inoltre, i membri delle comuni
dovevano sobbarcarsi tutte le spese per la costruzione delle scuole superiori, degli impianti radio,
dei trattori, ecc.. Infine dovevano pagare per il mantenimento del bestiame, per la manutenzione
delle macchine, per le riserve d'acqua, per garantire il funzionamento di varie piccole imprese,
per il servizio medico cooperativo, ecc.
4) Anche quando il governo, a vari livelli, decide la costruzione di opere
rurali, culturali, per
l'istruzione, l'assistenza sanitaria, la salute o il trasporto, le squadre di produzione devono
sobbarcarsi gran parte delle spese. Spesso le comuni o la contea utilizzano i sussidi governativi
per gli insegnanti, per l'immunizzazione del bestiame, ecc. per scopi del tutto diversi da quelli ai
quali erano destinati. Alla fine, sono sempre i contadini che devono pagare di tasca propria per
questi servizi. E per concludere, ci sono le spese per la manutenzione delle strade, per
l'irrigazione, e così via.
5) I dirigenti e i funzionari del partito utilizzano il denaro pubblico per
acquistare biciclette,
orologi, radio e altro per sé, o per ripararsi la casa, e non ne restituiscono un solo centesimo.
6) Le opere edilizie che si sono giudicate necessarie, sui campi, sono
eccessive. Dal 1975 in
avanti, si sono impiegati per realizzarle circa venti milioni di giornate lavorative. I contadini
assoldati per portarle a termine hanno dovuto pagare di tasca propria e procurarsi anche il cibo e
gli attrezzi necessari.
7) Allo sfruttamento delle classi contadine hanno contribuito validamente
anche i settori
industriali del paese. Alcuni hanno praticato prezzi esorbitanti. Altri hanno fornito prodotti di
qualità scadente. Altri ancora hanno imbrogliato sulle quantità. A volte i macchinari agricoli,
collaudati sui campi, risultavano inutilizzabili. E i contadini commentavano: "vendiamo le
mucche per procurarci animali d'acciaio, ma ce li danno già rotti"!
L'"Esperienza di Shan Heung", che abbiamo citato, è un valido
esempio di quali siano, in
generale, le condizioni in cui vivono i contadini cinesi. Come pensano di affrontare e di risolvere
questo problema i vari Teng Hsiao-ping e Hua Kuo-fang? La
"politica innanzitutto" è stata ancora soppiantata dagli incentivi materiali. Si è riaffermato il
diritto alle trame private. Nonostante la Rivoluzione Culturale, le trame private non sono mai
state del tutto abolite, anche se le disposizioni di legge al proposito sono state spesso assai
restrittive. A volte, era concesso ai contadini di dissodare nuove terre per proprio uso, altre volte
invece era loro proibito farlo. Una famiglia non poteva avere più di cinque galline. Le poche
piante da frutta e le patate dolci coltivate in proprio correvano perennemente il rischio di essere
confiscate. Da una località all'altra, da un giorno all'altro, le disposizioni cambiavano. Nel 1975,
ad esempio, quando fu varata la campagna per "limitare i diritti della borghesia", il comitato del
partito di una comune nella provincia di Kwangtung stabilì che, se una famiglia derivava più del
40% dei propri introiti da attività collaterali autonome, come ad esempio l'allevamento dei maiali
o delle anatre, o la coltivazione di ortaggi, e quindi meno del 60% del lavoro collettivo nella
squadra di produzione, allora quella famiglia manifestava tendenze capitalistiche. Di
conseguenza alle famiglie della comune fu concesso di tenere solo tre alberi da frutta ciascuna,
mentre tutti quelli in sovrappiù dovettero essere venduti alla "collettività" a prezzi ridicolmente
bassi. Ci si può chiedere, a questo punto, come spiegare il "successo" di Tachai, di cui sono stati
testimoni numerosi osservatori. Il commento che segue, proveniente da un funzionario di partito
di una brigata di produzione di Pechino, e riportato nel n.18 di Cheng Ming, è illuminante a
questo proposito: "Se la nostra brigata di produzione fosse stata oggetto di altrettanti investimenti
e avesse ricevuti così tanti prestiti dallo stato, anche noi saremmo diventati una brigata
Tachai". Nelle campagne si è istituito nuovamente il
libero mercato e si cerca di diffonderlo in modo
sempre più capillare. Sono stati abbassati i prezzi dei fertilizzanti chimici, mentre sono
aumentate le quantità di raccolto distribuite ai contadini e i prezzi pagati dallo stato per i prodotti
agricoli. Ma tutte queste ed altre innovazioni hanno dovuto essere promosse e gestite dai
dirigenti e dai funzionari del partito. Essendosi formati un
quadro abbastanza eloquente e chiaro dello sfruttamento operato ai danni
dei contadini cinesi da parte dei burocrati statali e del partito, Teng e Hua pensarono bene di
risolvere la situazione epurando il paese di alcuni dei peggiori soggetti, scelti tra i più corrotti e
odiati, e rafforzando nel contempo la leadership politica al di sotto dei Comitati di contea.
Evidentemente, Teng e Hua credevano ancora nel mito leninista dell'avanguardia leader della
rivoluzione. Credettero che tutto si potesse risolvere mettendo i dirigenti giusti al posto giusto, e
sostituendo quelli 'bacati' con elementi nuovi, integri e disciplinati. In ultima analisi, non ci sono poi grandi differenze tra il sistema di Mao Tse-tung e il sistema di
Teng e di Hua. Entrambi si fondano sulla direzione del paese ad opera di una classe di burocrati
che perpetua se stessa nell'esercizio di un potere ottuso e autoritario. Sarebbe sbagliato credere, come fanno alcuni maoisti (ad esempio Charles Bettelheim) che la via
tracciata da Mao portasse al socialismo e che i suoi successori sono colpevoli di revisionismo. È
vero che Mao credette nella necessità di accelerare il processo di collettivizzazione e che parlava
delle comuni nei termini di una completa e assoluta abolizione della proprietà privata, del
rifornimento gratuito di grano, e così via. Ma non c'è nulla di socialista nella collettivizzazione o
nell'abolizione della proprietà privata, se la società (o le comuni) continuano ad essere
gerarchicamente divise in chi-dà-ordini e chi-li-riceve, com'era il caso nella Cina maoista. La
politica maoista ha dimostrato che la collettivizzazione non è, di per se stessa, una garanzia
sufficiente per l'incremento delle forze produttive. Ha dimostrato, anzi, che la collettivizzazione
se unita a una gestione di tipo burocratico, può bloccare lo sviluppo delle forze produttive,
distruggendo l'iniziativa popolare (dei contadini). D'altro canto,
il fallimento del maoismo non dimostra necessariamente, come vorrebbero invece
sostenere i fautori della libertà d'impresa, che il comunismo (il quale comprende la
collettivizzazione, ma non si esaurisce in essa) sia destinato a fare la stessa fine. Questo vale anche se ammettiamo che in Cina i contadini sono stati in grado di
produrre di più e
meglio nelle condizioni di più ampia diffusione degli incentivi materiali e del massimo
valorizzamento degli interessi individuali. Si deve riconoscere che il contadino pone maggior
cura nella cura dei campi, se questi gli appartengono - e perciò al mattino prima dell'alba e
durante la notte, quando non erano impegnati a lavorare per la collettività, li trovavamo nei loro
appezzamenti. Chi viaggia in campagna non avrà difficoltà a notare piccoli fazzoletti di terra in
mezzo ai campi, dove le messi appaiono più verdi e rigogliose. Quelli son i campicelli dei
contadini, accuditi con tenero amore. Non si può parimenti negare che quando si vietò la
produzione agricola privata, la disponibilità di carne di porco e di altri generi alimentari non di
prima necessità si fece assai scarsa, con grave danno sia delle esportazioni, sia del livello di vita
dei contadini. Tuttavia, ciò va considerato nel suo specifico contesto, e cioè: a) i contadini sono
così poveri che la loro sopravvivenza dipende in gran parte da quello che riescono a coltivare nei
loro campicelli personali; b) i contadini non credono ormai più nel sistema collettivista che li ha
resi solo schiavi del partito. La strategia di Teng e Hua potrà forse portare a un aumento della
produttività, ma non bisogna dimenticare che, anche se gli obiettivi di produzione e di
"modernizzazione" saranno raggiunti, ciò non significherà certo l'avvento del socialismo per il
popolo cinese. Potremo anche predire, con ragionevole certezza, che tra non molto il controllo e
la gestione burocratica del paese provocheranno inevitabilmente un ristagno delle forze
produttive. L'esperienza cinese non può che rafforzare,
dunque, le convinzioni degli anarchici: la nuova
società collettiva dovrà necessariamente fondarsi sull'autogestione.
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