Rivista Anarchica Online
Chi ha ucciso Cinieri
a cura della Redazione
L'uccisione di Salvatore Cinieri, avvenuta nelle Carceri Nuove di Torino il 27 settembre per
mano di un altro detenuto, Salvador Farre Figueras, ha violentemente portato in primo piano le
feroci divisioni e gli ancor più feroci scontri tra carcerati. La meccanica dei fatti è abbastanza
semplice: Figueras, detenuto "comune" accoltella Cinieri,
detenuto "politico" (Cinieri era accusato di appartenenza ad "Azione Rivoluzionaria"). Le
motivazioni sono invece poco chiare. Se la stampa di regime ha giocato il suo ruolo cercando di
attribuire al fatto i connotati di un'esecuzione per presunte delazioni che Cinieri avrebbe fatto,
neppure la presa di posizione assunta dai "compagni che lo conobbero" e da un "gruppo
autonomo libertario" di Torino, ha spiegato il fatto, limitandosi ad enunciazioni di principio. Maggiore interesse
riveste invece il documento di "Azione Rivoluzionaria", presentato al
processo del 4 ottobre a Torino: agli imputati è stata negata la possibilità di dare lettura in aula di
questo documento, che è stato invece allegato agli atti processuali. Il documento, che s'intitola
"Rendiamo onore al compagno Salvatore Cinieri", dopo aver
segnalato gli episodi politicamente più significativi della vita di Cinieri, rispetto alla sua morte
così si esprime: Ora, al di là del fatto particolare di cui non abbiamo ancora tutti i contorni,
un'osservazione generale va fatta.... È tale la situazione all'interno del carcerario che si rischia
di avvelenare irrimediabilmente l'atmosfera. Fasce consistenti di proletari imprigionati lottano
concretamente non solo contro le condizioni presenti nel carcerario, ma anche contro l'esistenza
stessa delle prigioni e della società che conseguentemente le esprime. Ma ciò non significa che
sia dato o si possa dare un coagulo in tesi politiche e in modi organizzativi esclusivi. Avviene,
invece, che alcune frazioni organizzate del proletariato prigioniero tendono ad assumere il
proprio frammento e a gestire il potere totalitario del frammento (cioè queste stesse frazioni
rispetto alla ricchezza dell'intero corpo sociale detenuto e del movimento sociale complessivo),
raggrumando le esperienze in ideologia particolare e in formule organizzative di tutte le realtà,
con tutto quanto ne deriva in termini di colonizzazione ideologica dell'esistente. Questo clima
generale non favorisce certo l'attutimento dei contrasti interpersonali, anzi contribuisce ad
esasperarli fino a conseguenze estreme perché tramuta le "divisioni ideologiche" in
denigrazione, perfino in calunnia provocando o almeno agevolando rotture all'interno della
comunità carceraria antagonista. È chiara la volontà di Azione Rivoluzionaria
di far risalire la morte di Cinieri a contrasti politici
con gli "egemonizzatori" delle lotte carcerarie. Questa posizione ci viene riconfermata dal compagno Gianfranco
Bertoli che dal supercarcere di
Nuoro ha scritto: "Quello che mi aveva colpito (in Cinieri) era la perfetta concordanza di vedute
sulla necessità di preservare ad ogni costo la nostra identità di anarchici e di libertari da ogni
illusione sulla possibilità di collaborazione coi bolscevichi e i loro "comitati" in quanto la loro
lotta non è e non può essere la nostra. Su questo argomento si era anche espresso pubblicamente
in un intervento su "Umanità Nova". Ora, far questo in un ambiente dove la "cosca mafiosa" dei
fautori del "potere rosso" è onnipresente e tanto più arrogante quanto più si rende conto che
le
sue possibilità di diventare "potere" nel mondo di "fuori" è meno che nulla, esige molta più
coerenza e coraggio di quanto non si possa pensare se non si vive questa squallida realtà. Ora
questo nostro compagno ha trovato la morte, per colmo di sventura, proprio per mano di un
altro detenuto, uno cioè che secondo le analisi sociali di comodo farebbe parte del tanto
mitizzato "proletariato prigioniero". Successivamente Gianfranco Bertoli ha fatto pervenire un'altra
lettera che oltre ad alcune
considerazioni sul "potere rosso" nelle carceri, riferisce un fatto personale che assume, però, un
valore emblematico. In questo "circuito", senza soluzione di continuità, di trasferimenti dall'una
all'altra di queste
isolette che compongono "l'arcipelago gulag" in versione nostrana, - scrive tra l'altro Bertoli -
uno si trova sempre a contatto con la stessa categoria di persone: i cosidetti politici (fascisti e
stalinisti in maggioranza) e la vera "schiuma" della popolazione carceraria (psicopatici, violenti
per vocazione, gente legata a cosche mafiose, ecc.) ciò provoca tensioni indescrivibili, fenomeni
di intolleranza reciproca, arroganza ridicola. In questa situazione gli "orfanelli di Stalin" per il fatto
di essere i più organizzati e numerosi ci
sguazzano e portano avanti un progetto di vera e propria "colonizzazione ideologica", quello
che chiamano "potere rosso". È qualcosa di vergognoso, subdolo e violento al tempo stesso.
Tempo fa vi avevo già parlato del loro ultimo tentativo di "recupero" con il quale mi volevano
ancora con loro in qualità di "anarchico buono", non ritenendo ancora giunto il momento di
parafrasare quella frase dei "bianchi del west" per cui: "l'unico indiano buono è quello morto".
In quei giorni hanno provato di tutto, soprattutto per staccarmi dall'amicizia con Angelo
Cinquegrani che non potevano vedere per quel suo scritto su Umanità Nova e
Anarchismo del
10 marzo. Io ritenni di rispondere loro con onestà (anche perché molti li consideravo amici), e
cioè che non potevo avere più alcun legame con un "comitato" a cui non riconoscevo il diritto di
rappresentarmi. Si dimostrarono, a parole, molto comprensivi e pieni di "rispetto" per le mie
opinioni, ma mi accorsi subito di un mutato atteggiamento di molti detenuti "comuni" nei miei
confronti. Ora, sarà un caso (?!), proprio in occasione della morte a Torino del compagno
Cinieri, c'è
stato un precipitare della situazione, al punto da costringermi a scegliere la soluzione di
restarmene in cella rinunciando alle ore di aria che il potere mi concede. Preciso, a scanso di
equivoci, che non ho sufficienti "indizi" per ritenere che quel compagno
l'abbiano fatto uccidere loro, tutto quello che so è che dopo le sue prese di posizione contro
l'egemonia stalinista nella gestione delle lotte si era trovato, a quanto mi scriveva, molto isolato
in quello squallido posto. Facendola corta, vengo a raccontarvi i fatti di qui; l'altro ieri sono andato
all'aria con Angelo
Cinquegrani. Quando siamo arrivati giù ho percepito una atmosfera molto fredda e anche
pesante. Dopo un po' sono stato oggetto di una provocazione veramente inaspettata e
vergognosa. Un paio di persone mi hanno chiamato da parte e mi hanno detto che avevano
"saputo" che io e Angelo saremmo legati da un rapporto di tipo omosessuale e che gente come
noi non può stare con loro. Ora devo dirvi che non è vero per niente, perché se ciò
fosse non
riterrei di nasconderlo a nessuno perché ritengo che ognuno abbia diritto di comportarsi come
gli pare in queste questioni. In tutto questo non ho potuto vedere altro che la ricerca di un
pretesto, cioè di una reazione violenta perché la cosa finisse... come a Torino. Potete dunque
capire a che punto siamo arrivati. Tutto ciò è opera dei "signori della guerra (di classe?!)" che
vogliono emarginare chi non è disposto a stare con loro. L'uccisione di Salvatore Cinieri ha rotto
il silenzio sugli scontri non solo ideologici all'interno
delle carceri. Continuare a credere nei comodi miti dell'unità del "proletariato prigioniero" che ci
si è creati all'esterno non è solo illusorio, ma perfino delittuoso nei confronti dei compagni
libertari incarcerati. Siano o non siano responsabili dell'uccisione di Salvatore Cinieri i "burocrati
rossi", resta chiaro il loro tentativo di voler instaurare la loro oppressione mafiosa nel luogo
dell'oppressione più brutale dello stato.
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