Rivista Anarchica Online
Perché ho firmato / Perché non ho firmato
a cura della Redazione
Due operai licenziati, due posizioni contingenti diverse rispetto al sindacato: uno (Bandiera) ha
firmato il documento sindacale di condanna al terrorismo e la delega agli avvocati del sindacato
(vedi riquadro a pag. 15), l'altro (Giancarlo) si è rifiutato di firmare. Eppure dalle due interviste
che pubblichiamo in queste pagine emergono posizioni di fondo simili: entrambi hanno chiara
coscienza del ruolo svolto dal sindacato e del significato dei 61 licenziamenti. A nostro avviso,
comunque, entrambi sopravvalutano la portata della propria azione, l'uno sperando di poter
condizionare la gestione sindacale del processo, l'altro illudendosi circa la capacità di
mobilitazione del nuovo dissenso operaio.
Carmelo Bandiera della Carrozzeria Rivalta, appartiene al gruppo di coloro che hanno accettato
di firmare il documento sindacale di condanna del terrorismo. Circa una settimana dopo i
licenziamenti, ha iniziato, con altri due operai del medesimo gruppo, uno sciopero della fame, in
una tenda piantata davanti ai cancelli della fabbrica.
Per quali ragioni, insieme con altri due compagni, hai deciso questo sciopero della fame?
Prima di tutto, tengo a dire che siamo tutti e tre contrari a questi metodi di lotta autolesionisti,
masochisti. Però vi siamo stati costretti, per diversi motivi. Il primo è questo: con lo sciopero
nazionale di due ore, nell'industria, il sindacato si è praticamente lavato le mani di ogni lotta, cioè
per lui le lotte erano finite a quel punto, e quindi veniva a cadere ogni discussione, all'interno
della fabbrica e nel sociale, sui 61 licenziamenti. Poi c'è la necessità (e questo l'abbiamo
dichiarato pubblicamente) di porsi contro la stampa asservita e bugiarda, soprattutto quella che si
dà una parvenza democratica, come l'Espresso, o la Repubblica, che proprio in questa occasione
si sono dimostrati i giornali più a destra, fors'anche peggio della stessa Stampa di Agnelli.
Inoltre, ingenuamente, sperando che questa lotta ci permettesse di difendere le nostre idee tra
l'opinione pubblica, attraverso le interviste che, immaginiamo, la TV e i giornali ci sarebbero
venuti a chiedere. Nei fatti non è stato così, perché, anche se i giornali hanno dovuto venire
ad
intervistarci, solo la Gazzetta del Popolo ci ha dedicato la prima pagina, gli altri hanno seppellito
le notizie su di noi nelle pagine minori. Ad esempio, quando è morta donna Rachele, una fascista,
tutti i giornali hanno riempito le prime pagine con questa notizia, mentre gli articoli su di noi,
quando c'erano, erano relegati in poche righe di cronaca cittadina. Poi, le nostre dichiarazioni
sono state regolarmente travisate.
Con gli operai siete riusciti a parlare?
Inizialmente sì, poi è arrivata quella nevicata anticipata e ci ha creato grossi problemi.
Comunque
gli operai uscivano in gruppi di venti-trenta, per parlare con noi, segno che il problema all'interno
della fabbrica è abbastanza sentito. Tutto sommato, da questo lato possiamo ritenerci soddisfatti.
Tu hai firmato la delega per ottenere la difesa degli avvocati del sindacato, nonostante fossi
contrario. Come mai?
Ti dico una cosa: dopo aver firmato, sono uscito e ho vomitato, perché un affare così schifoso
non mi era mai capitato. La lettera che mi ha presentato il sindacato è anche peggiore della lettera
di licenziamento, un atto intimidatorio, che annulla la mia personalità, la mia dignità politica, i
miei dieci anni di "storia" politica. Se ho firmato, è stato principalmente perché non volevo il
collegio di difesa alternativo. Non volevo che i 61 venissero divisi, anche se prima o poi
sarebbero stati costretti a farlo. Per me, mettere due collegi di difesa è molto pericoloso, al limite
era meglio che coloro che non hanno firmato facessero causa ognuno per i fatti suoi, evitando la
contrapposizione diretta con il collegio del sindacato. Io inizialmente volevo far causa da solo e
sono andato a sentire diversi avvocati, per questo. Alcuni di essi, pur condividendo le mie
posizioni, mi hanno fatto presente che un'azione isolata era pericolosa, sul piano giuridico,
perché era probabile che il giudice avrebbe usato atteggiamenti diversi a seconda della forza
degli schieramenti. Mentre ancora non sapevo cosa fare, ho incontrato alcuni compagni, che
erano stati anch'essi titubanti rispetto all'idea di firmare la delega sindacale... erano più o meno
tutti nella mia situazione... e mi hanno aiutato a convincermi a firmare. Comunque non voglio far
cadere su di loro la responsabilità di quest'atto. La firma l'ho messa.
Adesso cosa pensi di fare?
Innanzitutto voglio far vedere che alla mia dignità politica non ci rinuncio. Voglio attaccare
pubblicamente questo modo d'agire del sindacato, che, ripeto, è schifosissimo. Se loro mi
accettano, bene, se no mi caccino, rifiutandomi la loro difesa. Ma dimostrerò che non sono
riusciti a tapparmi la bocca, a farmi diventare uno strumento nelle loro mani.
Al Palazzetto dello Sport, allo spettacolo di Dario Fo, hanno parlato anche diversi compagni del
comitato di difesa alternativo e hanno ricevuto ampi consensi da parte del pubblico...
Per prima ha parlato Ines che è una come me, che ha firmato ma con tanti dubbi, però
più che
altro ha cercato di difendere la propria scelta. Dopo di lei, sono intervenuto io, esprimendo più o
meno quello che ho detto anche in questa intervista, poi ha parlato uno dei compagni che non
hanno accettato di firmare. Naturalmente dopo questi interventi la linea filosindacale era
nettamente indebolita, così il sindacato ha ritenuto opportuno buttare un suo elemento nella
competizione ed ha preso Caforio (uno dei licenziati di Mirafiori, che appartiene alla IV
Internazionale) che sta diventando l'uomo tutto-fare del sindacato, la "vacca di Mussolini". Di
tutti questi interventi, penso che il mio e quello del compagno che non ha firmato abbiano
prevalso, almeno per quanto riguarda i presenti al Palazzetto.
Ma tu cosa pensi, esattamente, dei compagni che hanno organizzato il collegio alternativo?
Di loro ho molta stima, e anche un po' di invidia... però credo che la loro scelta non sia
conveniente, in quanto PCI, sindacato e tutti coloro che intendano criminalizzare una parte dei
licenziati adesso hanno buon gioco... ben altro significato politico avrebbe avuto un collegio
alternativo più numeroso di quello sindacale ma così gli sporchi tentativi di criminalizzazione e
le manovre della stampa e della burocrazia nazionale vedono il collegio alternativo in una
posizione poco difendibile, debole. Certo, la mia situazione adesso è poco dignitosa, ma la mia
scelta non è stata dettata da opportunismo, lo giuro.
Giancarlo, delle Presse di Rivalta. È di quelli che non hanno firmato il documento sindacale e
hanno dato vita al cosiddetto "collegio di difesa alternativo". Appartiene al Collettivo Operaio,
uno dei pochissimi gruppi extrasindacali attivi nella Fiat, su posizioni vicine all'Autonomia.
Per quali motivi non hai accettato di firmare il documento sindacale?
Innanzi tutto vorrei dire che non ci sono stati alla base della decisione motivi moralisti o di
purismo rivoluzionario, anche se tutti noi abbiamo dei problemi di coerenza con le nostre
posizioni politiche. Io e gli altri nove compagni non firmatari, ci siamo trovati, purtroppo, nel giro di pochi
giorni in
una situazione completamente diversa da quella che era nelle nostre aspettative. Infatti noi
credevamo, conoscendo gli altri compagni, che si potesse andare, su posizioni di forza, ad una
rottura con il sindacato e invece alla fine, solo una minoranza, non ha voluto assolutamente
firmare. Molti si sono sentiti sotto il peso di un ricatto, e chi per opportunismo, chi per paura di essere
criminalizzato, chi con la speranza che attraverso l'aiuto sindacale avrebbe potuto rientrare in
fabbrica, hanno firmato anche se non erano d'accordo. Tutto questo ha creato una situazione
molto complessa. Noi licenziati avevamo un'occasione veramente storica per poter mettere il
sindacato con le spalle al muro, in netta minoranza; il non esserci riusciti è stata una sconfitta
reale, anche se in 10 abbiamo dato vita ad un collegio alternativo. Il motivo principale per cui non abbiamo
firmato e abbiamo creato questo collegio, sta nel
significato politico che può avere oggi un simile atto di rottura; esso sta a dimostrare come sia
possibile e necessario rompere con il sindacato. Noi, per anni, nei quartieri e in fabbrica, abbiamo
fatto attività politica fuori dal sindacato, contro le sue forme di azione. Con il rifiuto di firmare
abbiamo voluto dare continuità alla nostra scelta, abbiamo voluto dimostrare come in questa
situazione, per certi versi drammatica, in cui molti compagni vedono nel sindacato l'ultima
spiaggia, un'iniziativa, anche se in minoranza, sia ancora possibile. Tutto questo sta dando dei
risultati. Innanzi tutto la campagna di criminalizzazione che pensavamo si scatenasse contro di
noi non c'è stata, se non in minima parte. Inoltre abbiamo potuto constatare che la nostra
posizione ha sviluppato delle contraddizioni all'interno del sindacato, ed ha creato, anche se in
modo limitato, una certa discussione in fabbrica e fuori. Molti, sia compagni che non, ora parlano di questi fatti,
perché in un momento come questo
hanno un significato notevole. Figuriamoci cosa avrebbe potuto essere, se fossimo stati 40 o 50
(cioè la maggioranza) a non firmare.
Che cosa pensi stia dietro ai 61 licenziamenti e quale futuro si sta prospettando, secondo te, in
fabbrica, visto anche che la Fiat non è sola nella sua strategia, ma ha l'appoggio di tutto il
padronato, con in testa l'Olivetti e le sue richieste di 4.500 licenziamenti?
Noi abbiamo sempre detto fin dall'inizio che il problema principale non era quello dei 61 operai
licenziati, ma il grosso progetto della Fiat, che sta dietro questi licenziamenti. La Fiat vuole arrivare alla
normalizzazione all'interno della fabbrica, ristabilire il controllo
gerarchico, riottenere livelli di produttività più alti. Ciò è fondamentale per lei:
essendo una fra le
fabbriche più automatizzate a livello mondiale (cosa che costata miliardi) vorrebbe ora cogliere i
profitti di tanti investimenti, ma i risultati sono al di sotto delle speranze, perché c'è un'alta
conflittualità interna, che non è legata ad iniziative del sindacato, ma è una
microconflittualità,
che si esplica in diecimila episodi di lotta. Lotta spesso diversa da quella classica; gli operai, ad
esempio, si autoriducono costantemente la produzione, tirano fuori diecimila problemi, piccole
vertenze, continue discussione con i capi, ecc.... Tutto questo crea alla Fiat un clima di ingovernabilità,
conseguenza di un certo, sia pur minimo,
"potere operaio" che si è creato in questi anni, cosa che la Fiat vuole assolutamente distruggere. È
per questo che ha attaccato questi compagni e questo settore sociale che più sovente si è ribellato
sia ai padroni che al sindacato. Il sindacato, da parte sua è una garanzia di stabilità, non a caso
Umberto e Giovanni Agnelli, e
altri boss della Fiat, affermano di volere un sindacato forte che rappresenti tutti gli operai. Non è
vero, perciò, come affermano molti che i licenziamenti rappresentano un attacco al sindacato,
l'attacco in realtà è stato rivolto contro alcuni settori sociali all'interno della fabbrica, alcune
strutture extrasindacali, alcune forme di lotta dura. In realtà la Fiat ha bisogno di un sindacato
che controlli tutto, in modo che i rapporti di produzione vengano gestiti a livelli di vertice, fra un
padrone che comanda tutti e un sindacato che comanda tutti, per poter spezzare ogni iniziativa
operaia all'interno della fabbrica. Il rapporto con il lavoro oggi è cambiato moltissimo rispetto a
10 anni fa. Nel '69, la Fiat bene o male veniva considerata come un punto di arrivo, oggi invece è
vista come una costrizione da cui ci si vuole liberare. Per evitare di assumere gente che odia la fabbrica e quindi
non produce, la Fiat, cerca di
annullare la funzione di certi organismi, come l'ufficio di collocamento, per avere la possibilità di
scegliere lei gli operai, e non dover accettare quelli che gli manda il collocamento. Il suo progetto
è quindi quello di riprendere il controllo totale della fabbrica, ma anche di alcune strutture non
direttamente legate alla produzione, come il collocamento.
Quali iniziative di lotta pensate di portare avanti?
Noi in occasione della prima udienza del processo per i licenziamenti, abbiamo proposto una
mobilitazione a livello nazionale in fabbrica, nelle scuole, ecc.. È importante che si riesca a mantenere
un continuo contatto tra i licenziati e i compagni che
stanno ancora dentro alla fabbrica, in modo da poter dare continue informazioni e indicazioni di
lotta, e promuovere iniziative autonome. Oggi per esempio, a Rivalta, ci sono stati scioperi al
montaggio e in altre officine... si svolgono assemblee, insomma, anche se poco, in fabbrica
qualcosa sta cambiando, molte cose cominciano ad essere chiare per molti operai. L'atteggiamento del sindacato
è chiaro: non intende assumere nessuna iniziativa di lotta per
sostenere la causa dei licenziati e aspetta le decisioni della magistratura. Noi non possiamo
rimanere ad aspettare, non possiamo legarci al carro della magistratura ed attendere che essa
legittimi la lotta di classe, questo non avverrà mai. Noi abbiamo però accettato di utilizzare anche
le vie legali perché crediamo che bisogna usare tutti gli spazi che ancora ci rimangono per
cercare di ribaltare la situazione.
In conclusione, hai qualcosa di particolare da dire a chi legge questa intervista?
Io vorrei dire a coloro che leggeranno questa intervista di tenere, ovunque sia possibile, in piedi il
problema. È importante soprattutto che non passi sotto silenzio la lotta di quelli che hanno rotto
con il sindacato, che ne vengano spiegate le motivazioni, impedendo i tentativi di
criminalizzazione portati avanti da PCI, sindacati e stampa. Questa non è una campagna di
cinque giorni, ma si prospetta assai lunga: bisogna quindi mobilitarsi in tutti i modi possibili, con
assemblee, discussioni, scioperi.
firma che
ti difendo
Atteso che il sottoscritto dichiara di accettare i valori fondamentali
ai quali il sindacato ispira
la propria azione ed in particolare di condividere la condanna senza sfumature non solo del
terrorismo ma anche di ogni predico di sopraffazione e di intimidazione, per la buona ragione
che non appartengono alla scelta di valori, alle convinzioni, al patrimonio di lotta del
sindacato stesso, consolidati da una lunga pratica di varie forme di lotta e di difesa del diritto
di sciopero, così come risulta dal documento conclusivo del coordinamento nazionale FIAT
approvato all'unanimità a Torino l'11.10.79 dai membri del coordinamento
stesso. Delego a rappresentarlo nel presente
giudizio, nonché nella procedura ordinaria, in ogni fase
e grado, compreso quello esecutivo, gli avvocati Bruno Cossu, Prof. Giorgio Ghezzi, Prof.
Andrea Proto Pisani, Prof. Tiziano Freu, Prof. Luciano Ventura, Alberto Bascone, Franco
Giordano, Nino Raffone, Elvio Rogolino, Giuseppe Scalvini, Giovanni Villani, sia
congiuntamente che disgiuntamente, conferendo loro ogni facoltà di legge, ed eleggendo
domicilio presso l'Avv. Giuseppe Scalvini, in Torino Via Botero,
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