Rivista Anarchica Online
A colloquio con l'avv. Zezza
a cura della Redazione
Quella in atto è una vera e propria aggressione giudiziaria, tesa a consolidare lo strapotere
assoluto della magistratura. Per Luigi Zezza, uno dei pochi avvocati ancora impegnati a tempo
pieno nella difesa dei militanti della sinistra rivoluzionaria, non ci sono mezzi termini. Siamo
arrivati al punto che chiunque oggi in Italia fa politica al di fuori delle istituzioni può ritrovarsi
dentro accusato di associazione sovversiva, quando non di banda armata. E cita alcuni dei
numerosissimi casi dei quali l'insieme di questi avvocati/compagni (oltre a lui, ci sono a Milano
Piscopo, Giugliano Spazzali ed altri) è stato testimone ed a volte protagonista in questi ultimi
mesi. Doveva, nelle intenzioni, essere un colloquio sul "caso Fuga", cioè sulla detenzione da ormai
quattro mesi dell'avvocato anarchico Gabriele Fuga, arrestato il 30 aprile scorso al termine di un
interrogatorio da parte della magistratura fiorentina. Ma, inevitabilmente, si è allargato alla
situazione generale della repressione, della quale il caso Fuga non è che uno dei tanti - seppur
particolarmente emblematico. Cominciamo dunque dal caso Fuga, analogo a quello dell'avvocato
Sergio Spazzali, arrestato nello stesso periodo e sulla base di "prove" altrettanto inesistenti.
Contro Gabriele - chiarisce Zezza - ci sono solo le affermazioni di un suo ex-cliente, Enrico
Paghera, il quale ha detto che Fuga non si sarebbe limitato ai suoi compiti di difensore, ma
sarebbe andato ben oltre, adoperandosi in progetti d'evasione, cercando di far entrare esplosivo
nelle carceri, ecc.. Si tratta di un'accusa senza specificità, dal momento che Paghera non ha mai
chiarito né il come, né il dove, né il quando ciò sarebbe
avvenuto. Ma chi è Paghera? Certamente una figura sporca: lo arrestano e gli trovano in
tasca delle
piantine che lui stesso dichiara di aver ricevuto da Ronald Stark, soprannominato "l'amerikano"
perché sospettato di essere un agente della C.I.A.; subisce poi un processo nel quale si dichiara
militante di Azione Rivoluzionaria, eppure viene assolto - il che è perlomeno strano, commenta
Zezza, dal momento che negli altri casi basta una rivendicazione di appartenenza ad
organizzazioni di lotta armata per avere una condanna certa. In quel caso invece tutti gli
imputati vennero assolti, e due addirittura espulsi frettolosamente dall'Italia senza che nemmeno
la Corte d'Assise ne sapesse niente. Successivamente il Paghera passa per varie carceri
(Pianosa, Porto Azzurro, ecc.) e guarda caso in ogni carcere per cui lui passa gli si trovano
(nella sua cella o nelle vicinanze) dosi d'esplosivo. Risulta anche agli atti che già mesi fa lui
aveva chiesto un colloquio con il pubblico ministero fiorentino Vigna, colloquio del quale s'è
perduta ogni traccia. E Vigna è proprio quello che più tardi firma il mandato di cattura contro
Gabriele, il quale nel frattempo, proprio per questioni di scarsa chiarezza, aveva declinato il
mandato di difensore di Paghera. Ecco dunque la figura dell'ex-cliente pentito: se per Fuga c'è
Paghera, Rocco Ventre finisce
dentro per le "rivelazioni" del suo ex-cliente Pallotta e Sergio Spazzali resta dentro perché il noto
Fabrizio Peci ha dichiarato di aver sentito dire nell'ambiente brigatista che lui, l'avvocato
Spazzali (a suo tempo difensore anche di Peci), collaborava con le B.R.. Paradossalmente, ma
non troppo, è proprio l'evanescenza e la sostanziale inconsistenza delle accuse a rendere difficile
la difesa di Fuga e di Spazzali; con una magistratura interessata a dar credito, parola contro
parola, solo alle dichiarazioni dei vari Fioroni, Peci, Sandalo, Paghera, ecc., che cos'altro possono
fare gli imputati ed i loro difensori se non insistere perché gli accusatori specifichino
dettagliatamente il come/dove/quando del presunto reato? Nel frattempo, a discrezione dei
magistrati, restano dentro: non si sa quando sarà chiusa l'istruttoria, tanto meno quando sarà
fissato il processo. Dopo esser stato prima nel carcere milanese di San Vittore, quindi in quello
fiorentino delle Murate, Gabriele è ora rinchiuso in quello di Volterra, che pur non essendo un
carcere speciale è una prigione punitiva, con condizioni di vita particolarmente difficili.
Un'ultima precisazione: forse proprio per l'inconsistenza delle accuse di Paghera, nel tentativo
forse di coinvolgerlo in altri fatti, Fuga è ora sotto la giurisdizione del tribunale di Livorno: la
magistratura fiorentina ha preferito spogliarsi del procedimento. Zezza lamenta che le vicende di Spazzali e di
Fuga, che pure suscitarono tanto clamore al loro
inizio, passino oggi sotto silenzio anche sugli organi della sinistra rivoluzionaria. Colpendo gli
avvocati non si è portato solo un attacco ai diritti della difesa, ma anche contro tutto il tessuto
carcerario, dal momento che avvocati come Sergio, Gabriele e Arnaldi non si limitavano a
difendere i detenuti, ma esercitavano come una funzione di controllo sulla situazione nelle
carceri. Non si può dimenticare che questi compagni/avvocati hanno sulle spalle centinaia di
processi, avendo difeso tutte le forme di lotta sviluppatesi in questi anni. Chiedo a Zezza se vi siano stati
negli ultimi mesi aspetti tecnici nuovi nel funzionamento della
macchina repressiva. No, manovre tecniche vere e proprie non ci sono, diciamo piuttosto ci sono
atteggiamenti di politica giudiziaria degni di nota. Più che i progressivi inasprimenti di pena
fissati dai vari decreti-legge degli ultimi anni, Zezza sottolinea l'importanza pratica
dell'impressionante allungamento dei termini per la carcerazione preventiva: con accuse più o
meno legate al terrorismo, oggi ti puoi fare tranquillamente dentro due anni e otto mesi, e se nel
frattempo interviene una condanna puoi restar dentro fino ad una decina di anni. Salvo poi esser
riconosciuto innocente dal tribunale, e scarcerato. Intanto i tuoi dieci anni di galera te li sei
fatti! Ma l'aspetto più eclatante venuto fuori con le operazioni di polizia giudiziaria della scorsa
primavera è l'utilizzazione della figura del "pentito" - grazie alla quale la magistratura si è
assicurata uno strapotere. Ciò si traduce nell'assenza di forma, di garanzie di legalità negli
interrogatori, anche per quel che riguarda la difesa. E ciò non riguarda solo il momento
dell'arresto, perché nella grande maggioranza dei casi la gente viene fermata, arrestata, quindi
sparisce nel niente, nessuno - né parenti né avvocati - riesce a sapere dove si trova l'arrestato.
Abbiamo casi limite di persone che hanno trascorso quaranta giorni nascosti in una caserma dei
carabinieri del paesino più isolato, interrogati in assenza del difensore e perfino del magistrato,
privati di qualsiasi contatto con il mondo esterno, sottoposti al trattamento fisico e morale che
ben possiamo immaginare da parte della polizia. Vi sono poi pressioni enormi sul fermato
perché l'interrogatorio possa svolgersi senza il suo avvocato di fiducia, tuttalpiù alla presenza di
un avvocato compiacente che non pianti grane e non ostacoli il lavoro del magistrato. Anche
l'isolamento carcerario viene usato fino ai suoi limiti massimi per indebolire ulteriormente il
detenuto e fiaccarne le resistenze. È in questo contesto che non mi pare fuori luogo parlare di
una vera e propria aggressione giudiziaria, anche nei confronti della figura giuridica del
difensore: si tratta di una trasformazione istituzionale, non legislativa o normativa, ma di fatto. Un ultimo
elemento, che già era emerso con grande vigore nell'intervista a Fuga ("Tra
repressione e garantismo") pubblicata sul numero di febbraio, è quello relativo al ruolo del P.C.I..
Riprendendo la definizione gramsciana - sostiene Zezza - si può affermare che i giudici torinesi
impegnati sul fronte anti-terrorismo, ma non solo loro, possono essere definiti "intellettuali
organici" del partito: si tratta infatti di persone (non gliene faccio alcuna colpa) iscritte al
P.C.I., che fanno teoria, partecipano a convegni, scrivono su riviste specialistiche, firmano
articoli (oltre che mandati di cattura), insomma fungono da longa manus del partito. Sono
appendici pure e semplici non di un potere esecutivo o giudiziario, ma di un partito del quale
esprimono le teorie e le logiche politiche. Intendiamoci, non che siano scomparsi i giudici
conservatori e reazionari, anzi: semplificando un po', si potrebbe rilevare una divisione dei
compiti tra questi giudici di Magistratura Democratica (a maggioranza filo-P.C.I.) che danno il
via alle indagini e ne forniscono la chiave di lettura politica, e gli altri, i grandi insabbiatori
(come l'ufficio istruzione di Roma), ai quali è demandato il compito di non fare niente,
assicurando così il prolungamento della carcerazione preventiva. Intanto i compagni restano
dentro.
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