Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 96
novembre 1981


Rivista Anarchica Online

Guerra alla guerra
di Maria Teresa Romiti

Solo pochi mesi fa eravamo tutti convinti che il riflusso fosse imperante, che ormai niente avrebbe riportato la gente in piazza: tutti stufi, tutti rifluiti nel privato. Anche le notizie che cominciavano a filtrare d'oltralpe erano viste come episodi sporadici, momenti che sarebbero presto finiti nel nulla. Invece la gente sembra averci preso gusto a buttare all'aria qualsiasi previsione: le informazioni dall'estero hanno rivelato un vero e proprio movimento a livello europeo che è riuscito a mobilitare sul tema del disarmo e della pace migliaia di persone e, in alcuni casi è stato talmente forte da condizionare, almeno in parte, alcune decisioni governative: cose che non si vedevano da dieci, vent'anni. Inoltre the dutch disease ("la malattia olandese"), come è stata definita da alcuni grandi giornali inglesi, è una malattia contagiosa che si sta espandendo a macchia d'olio in tutti i paesi europei, Italia compresa.
Le spiegazioni da dare al fenomeno sono molte: innanzitutto c'è la paura, che investe tutti gli strati sociali, il terrore di una guerra che appare sempre più prossima. I rapporti tra le due superpotenze si sono deteriorati nello spazio di poco tempo: la possibilità di un conflitto, soprattutto localizzato, è sempre più vicina. Nessuno può prevedere quale sarà la scintilla che farà esplodere tutto, ma non ci vuole una grande fantasia per poter temere la guerra alle porte. Nonostante le ripetute assicurazioni da tutte le parti, sembra probabile (lo ammette lo stesso Pentagono) che la prossima guerra sarà nucleare e si svolgerà in Europa. Ma la paura non basta a spiegare come mai migliaia di persone si stiano muovendo: abbiamo visto, in questi anni, che la gente può digerire proprio di tutto, le cose più assurde sono passate nel silenzio generale. Come mai all'improvviso tutto questo risveglio?
In questi anni c'è stato un progressivo no per il politico, si è venuta instaurando la noia per tutto ciò che è impegno. Le persone imbonite da mille pagliacci rispondono con la nausea e il silenzio di fronte a qualsiasi discorso ideologico, più che mai convinte che in ogni caso il problema non le riguardi. Invece che la rivolta cosciente verso le forme di delega, verso le parole vuote, si instaura un rapporto di schifo, nausea, rifiuto di qualsiasi categoria del politico.
Paradossalmente è forse lo stesso meccanismo che ha provocato sul disarmo tutta questa azione. Convinta che l'ideologia sia solo una copertura, sicura che gli interessi degli stati passano tranquillamente sopra le persone, certa che l'unica cosa che sta a cuore ai potenti della terra è il proprio interesse, la gente non vuol combattere e morire per una causa, vista in ogni caso come fittizia. Quindi la gente si rifiuta, si ribella, si muove nel solo modo che conosce: la piazza. Ecco quindi gruppi ecologici tedeschi (dodicimila persone) occupare un bosco per bloccare i lavori di ampliamento dell'aeroporto militare di Francoforte; ecco un piccolo gruppo anarchico olandese dipingere, con molto senso dell'umorismo, di rosa un aereo; ecco i trecentomila partecipanti alla manifestazione a Bonn; ecco ricomparire il tiro delle uova per i governanti tedeschi (in Germania la polizia è dotata di nuovi scudi antiuova), ecco organizzarsi marce e marcette, riunioni e manifestazioni, sorgere gruppi. Certo il movimento è una cosa molto composita: pacifisti di vecchia data (in Inghilterra è risorto il vecchio movimento pacifista degli anni cinquanta, il CND), ecologisti, giovanissimi, ex-provos olandesi, unioni ecclesiastiche, gruppi di donne, antimilitaristi, anarchici, non-violenti, anziani militanti di movimenti rivoluzionari, partiti in cerca di credibilità: di tutto un po'. In effetti i partiti e le istituzioni stanno cercando il recupero ad ogni costo per cui si possono vedere compassati deputati del Bundestag sconfessare il loro governo, "giovani leoni" del PCI innalzare striscioni contro l'invasione afgana. In Italia poi il recupero è "alla grande", tanto più che niente riesce a smuovere le stanche "masse", anche i sindacati mostrano la corda e le riunioni oceaniche sono diventate ricordi del passato. Sull'antimilitarismo, visto che tira, ci si sono buttati tutti a pesce, infischiandosene di incongruenze e diversità: l'importante è poter dire c'ero anch'io, tanto il tema e unificante, di quelli per cui bene o male si è tutti d'accordo, almeno nelle linee principali.
Il problema che si pone a noi anarchici è un po' più complesso: da una parte non possiamo che rallegrarci di fronte al sorgere di iniziative spontanee, locali e, soprattutto all'estero, fatte da piccoli gruppi spesso autogestiti al di fuori delle istituzioni. Inoltre è superfluo ripetere che siamo antimilitaristi e quindi contro la guerra. D'altra parte non possiamo non notare alcune contraddizioni del movimento. Muoversi per la pace, per il disarmo senza considerare l'istituzione armata è inutile, destinato al fallimento. Che fare? Ritirarsi sdegnosi, definendo questi i soliti imbecilli? Secondo me è invece proprio perché questa azione è dovuta anche al profondo disincanto verso le istituzioni che noi non possiamo tirarci indietro, anzi dobbiamo specificare meglio il nostro antimilitarismo confrontandoci continuamente con le realtà emergenti. Pensare che Mosca e Washington possano diminuire gli armamenti è una pia illusione: le loro scelte sono condizionate. Le crisi interne, le difficoltà con gli altri stati, l'esigenza del prestigio, l'esercito, ormai in grado di essere un vero e proprio gruppo di pressione, la necessità per i paesi industrializzati di aumentare costantemente le spese per gli armamenti e quindi poi giustificarle sono tutti fattori che restringono sempre di più la possibilità di evitare un conflitto.
Per questo bisogna andare più a fondo del problema: non vogliamo eserciti, perché l'istituzione armata è una istituzione totale, un non-luogo del sociale. Non è possibile democratizzare l'esercito, ma solo distruggerlo; questo vuol dire anche che l'esercito non è un problema a se stante, ma collegato alle altre istituzioni, vuol dire ricostruire la società privilegiando l'individuo e la libertà. Ma è anche il solo modo per ottenere una società dove esista la pace, non questo surrogato al quale noi siamo abituati.
Utopia, certo, ma noi rivendichiamo la forza del sogno utopico, la tensione che si riversa sul presente per cambiarlo, la potenza rivoluzionaria dell'immaginario sociale, sovversivo.