Rivista Anarchica Online
Motivazione: anarchica
di Camillo Levi
A metà ottobre, tre mesi dopo la conclusione del processo, sono state depositate e rese pubbliche
le motivazioni della sentenza contro la nostra compagna Monica Giorgi, condannata a 12 anni (di
cui 2 condonati) e 6 mesi dalla Corte d'Assise di Livorno. Degno coronamento di un'istruttoria e
di un processo allucinanti, queste motivazioni meritano di esser conosciute, esaminate, direi
quasi pubblicizzate: pochi documenti meglio di questo testimoniano delle infamie di cui è capace
una "giustizia" di Stato decisa a condannare a qualsiasi costo una persona "scomoda". Non
abbiamo ancora avuto modo di leggere l'intera sentenza, né in particolare le 40 pagine dedicate
esclusivamente a Monica: quanto ne riferiscono i giornali, comunque, è più che sufficiente per
parlarne e per prender pubblica posizione contro questa ulteriore pietra, nel castello di falsità e
montature costruito con cinica sistematicità per tener dentro Monica. I punti di forza contro Monica sono
più o meno sempre quelli. Innanzitutto, Enrico Paghera, il
"pentito", il grande accusatore di Monica e di altri compagni. Ma Paghera è davvero attendibile?
Nemmeno i giudici se la sentono di rispondere affermativamente: debbono riconoscere che in lui,
nella sua deposizione, ci sono palesi contraddizioni, anche macroscopiche si legge testualmente,
ma si affrettano poi a sostenere che, ciononostante, bisogna credergli, almeno parzialmente.
Dove "parzialmente" sta a significare "per quanto riguarda Monica Giorgi": le sue accuse contro
altri coimputati (si pensi all'avvocato anarchico Gabriele Fuga), parimenti smantellate nel corso
del dibattimento processuale, non sono state credute dalla Corte: per Monica, però, è un altro
discorso. Ma poi questo Paghera è davvero un pentito? Pentito non si può esattamente definire
-
precisa la Corte - perché egli non ha manifestato nessuno dei comportamenti tipici di chi si
pente
di quanto abbia commesso... ha parlato di una completa revisione del suo orientamento
ideologico, scaturita dalle accuse di tradimento, a suo dire ingiustamente rivoltegli dai
compagni, nonché dell'accoltellamento di cui fu vittima come punizione di quell'atto infame....
Ma allora perché Paghera si è messo ad accusare a destra e a manca, se non è nemmeno un
pentito? Ha offerto rivelazioni in cambio della sua incolumità fisica, afferma la Corte, ben
sapendo che Paghera non aveva molto da raccontare, ma solo da inventare o da ripetere quanto
gli era stato ordinato di "raccontare": come appunto dimostrò la sua deposizione in aula,
sdegnosamente interrotta dallo stesso Paghera quando si accorse di esser rimasto
irrimediabilmente invischiato nelle contraddittorie menzogne che aveva raccontato. Ma non c'è solo
Paghera ad accusare concretamente la Giorgi, si affretta a precisare la Corte: la
sentenza infatti è stata emessa soprattutto sulla base di elementi di prova oggettivi e comunque
diversi dalle accuse mosse da Paghera. Quali? Tra gli altri, i giudici segnalano il fatto che
Monica ad un certo punto rallentò il suo impegno politico e di conseguenza i suoi contatti con i
compagni: Monica stessa, nel corso del processo, ha chiarito esaurientemente (e francamente non
c'era molto da chiarire) il perché ed il come di questo suo distacco dall'attività militante.
Evidentemente la Corte, non potendosi attaccare ad altro, deve continuare ad imbastire assurde
speculazioni su ciò. Ma c'è di peggio: il fatto che due testimoni, che in istruttoria avevano
dichiarato di riconoscere in Monica la donna vista in compagnia di alcuni del sequestro Neri,
abbiano poi dichiarato in aula di non poter confermare quella dichiarazione, ed anzi che Monica
non era quella donna, viene giudicato dalla Corte inspiegabile e addirittura lo si considera
un'aggravante della posizione di Monica. La prova-regina della responsabilità di Monica nel sequestro
Neri è, per la Corte, il bigliettino
trovato in tasca a Salvatore Cinieri (ucciso in carcere due anni fa, quindi... non c'è il rischio che
possa smentire i fatti), in cui si parlava minuziosamente del modo di impiego di una bomboletta
di gas soporifero. A parte il fatto che Monica ha chiarito che di quelle bombolette si parlò per
lungo tempo in ambito femminista quali strumenti anti-aggressione, il fatto più "sporco" è che di
questo bigliettino non si è parlato che al processo: nella fase istruttoria, ed in particolare negli
elenchi dettagliati dei reperti dell'accusa, non ve n'è mai stata nemmeno una traccia. Come la
mettiamo, signori della Corte? Ma tant'è. Bastano un bigliettino saltato fuori "misteriosamente" e che
comunque non prova
niente, le accuse di un quasi-pentito al quale nemmeno la Corte se la sente di garantire credibilità
e qualche deduzione senza costrutto per dimostrare che una persona ha partecipato ad un
rapimento, durante il quale ci furono anche tre tentati omicidi, dei quali pure deve dunque essere
colpevole. Risultato: 10 anni e 6 mesi di carcere. C'è poco da aggiungere. Come ha dichiarato la
Federazione anarchica livornese, aderente alla
F.A.I., in un suo comunicato/stampa all'indomani del deposito delle motivazioni della sentenza,
queste non fanno che confermare il carattere politico del processo. Oltre ad evidenziare le
incongruenze e le assurdità sopra citate, i compagni di Livorno sottolineano che non esistendo
prove degne di tale nome, per dimostrare la sua partecipazione al tentato sequestro Neri, sono
state usate a tale scopo le affermazioni politiche contenute nei bollettini di "Niente più sbarre".
E questo alla faccia della libertà di esprimere e diffondere le proprie idee (qualunque esse
siano) garantita dalla Costituzione. Ed è infatti questo l'elemento in più che ci conferma che,
come pochi altri, questo contro Monica è stato un processo alle idee, alla militanza, alla figura
davvero scomoda di questa nostra compagna.
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