Rivista Anarchica Online
La rivoluzione del filo di paglia
di Piero Flecchia
Nei giorni 26 e 27 settembre, parallelo al convegno sull'Utopia di Milano, in Cervasca (Cuneo) il
"Movimento Nonviolento" e il M.I.R. hanno promosso - organizzatrice la comunità di Mambre -
un seminario sul ruolo dell'economia con implicazioni marcatamente utopiche, poiché si
proponeva di dare risposta al quesito: "È possibile un'economia a dimensione umana?"; il
rimando ideologico piuttosto deludente: il solito abbastanza scontato Schumacher, il titolo del
cui libro "Piccolo è bello" si è trasformato in un travolgente slogan, capace di legittimare tutti i
più vieti luoghi comuni, che infatti hanno imperversato: come quasi sempre, d'altra parte, quando
l'UTOPIA tien cattedra. Il seminario di Cervasca merita una segnalazione non per la retorica domanda:
"È possibile una
economia a misura d'uomo" (Come ha ben argomentato Roberto Marchionatti, l'Economia è
Scienza del Capitale: sia esso privato o di stato, per cui parlare di economia a misura d'uomo è
una autentica contraddizione in termini), ma per testimonianze, la cui portata ed importanza
vanno fatte oggetto di serio esame, di due gruppi protagonisti di esperienze comunitarie
totalmente alternative: a) il gruppo di Ontignano, la cui presenza è abbastanza nota, soprattutto in
ragione della sua
elaborazione teorica documentata dalle edizioni dei "Quaderni di Ontignano"; b) il gruppo de "L'ambiente
abitativo", circa sulle stesse posizioni di quello di Ontignano, però
con una maggior libertà rispetto ai modelli teorici, ma anche e forse con una minor capacità di
produrre informazione. Il seminario era stato organizzato da cristiani e di fatto egemonizzato dal pensiero
cristiano: ad
esso si richiama tanto il dinamico leader piemontese del M.I.R. Beppe Marasso che la comunità
di Cervasca, però senza nessuna presenza di integralismo, o tattiche strumentali, animati invece
da una bella disponibilità al diverso. Il rimando allo sfondo ideologico sorge, a fatti accaduti,
come una sorta di spiegazione - non troppo soddisfacente - davanti a una completa assenza di
prospettive future per le attuali strutture cittadine. Nel convegno di Cervasca si è assistito a un
radicale rifiuto dell'urbanesimo, e del mondo da questo prodotto; la città come mondo della
borghesia, e quindi delle diseguaglianze, delle disarmonie che hanno portato all'attuale situazione
di catastrofe planetaria. Essendo il rimando all'economia d'obbligo era ovviamente l'attacco al
mercato. Entrambi i gruppi comunitari sono stati espliciti: i cittadini dovranno ritornare ai campi. Però
il rimando culturale, messo in gioco dal gruppo di Ontignano, è un sorprendente testo
giapponese di un maestro Zen Buddhista, del quale è bene i lettori di "A" registrino il nome e
cerchino l'opera per leggerla, perché per anni si sentirà parlare certamente di quest'uomo e dei
suoi contributi, forse capitali. Pubblicato nei "Quaderni di Ontignano", il testo di Masanobu
Fukuoka si intitola La rivoluzione del filo di paglia: è solo e soltanto, in senso stretto, un libro
di
tecnologia rurale, ma ove i consigli pratici fossero applicati, porterebbero certamente verso una
socialità di tipo anarchico. La rivoluzionaria proposta di Fukuoka è di abbandonare l'aratura e la
concimazione dei campi, per una diversa tecnica di controllo delle produzioni dei cereali,
mediante la reincorporazione nel terreno di tutto quanto esso produce e l'uomo non consuma.
Proposta che Fukuoka pratica sui suoi terreni, nel sud Giappone, da circa trent'anni, e con ottimi
risultati. Le rivoluzionarie conseguenze sono immediatamente intuibili: più niente industria
chimica dei concimi e meccanica dei trattori, più niente allevamento del bestiame per ricavarne
forza lavoro per l'aratura e stallatico, con la conseguente riduzione del tempo lavorativo dedicato
alla produzione del cibo a due, tre ore giornaliere, come nelle culture tribali. Fukuoka ha
elaborato il suo metodo a discendere dalla filosofia Zen (nata in Cina e poi radicatasi in
Giappone, dal combinarsi della spiritualità buddhista e della speculazione taoista), per cui la
pratica del metodo comporta la comprensione dei presupposti sapienziali che lo generano e
governano. Tutto il Tao si articola intorno a una visione della necessità "panteista" di esistere
nella natura: di non porsi come soggetti separati. Ecco perché Fukuoka definisce la sua pratica
un'"Agricoltura del non fare": il contadino saggio interviene il meno possibile, e lascia lavorare la
natura. Egli afferma: La ragione per cui le tecnologie sofisticate sembrano necessarie è che
l'equilibrio naturale è stato precedentemente così sconvolto a causa di quelle stesse tecniche....
Questa logica non governa solo l'agricoltura, ma anche moltissimi altri settori del mondo di
oggi. I dottori e la medicina diventano necessari quando la gente si costruisce un ambiente
malato. La scolarità istituzionale e la scuola pubblica dell'obbligo non hanno nessun valore in
sé, ma diventano necessarie quando l'umanità crea delle condizioni in cui, per tirare avanti,
bisogna essere "istruiti".... Sono tesi che l'anarchia ha già formulato tra otto e novecento, pur su
altre basi e per altre
urgenze. Questo maestro Zen giapponese ce ne offre una riconferma, ma a un tempo anche una
esemplificazione vincente, nell'ambito dei campi da lui coltivati; che non si illude di estendere
miracolosamente a tutto il "suo" Giappone, perché - e qui è l'aspetto che ce lo rende ancor
più
vicino - perfettamente cosciente che il governo di quel paese farà di tutto per impedirlo, non
ravvisando nel sistema dell'agricoltura del non-fare, o "agricoltura naturale", alcun accrescimento
di potenza. Il testo de La rivoluzione del filo di paglia ha l'inconveniente della doppia traduzione:
in sé non grave, ma anche il grave inconveniente di una traduzione in inglese, stando alle note
esplicative di quel tradotto, poi volte in italiano condotta senza una reale comprensione
dell'importanza del ruolo dello Zen nel metodo. Non si diventa agricoltori alla Fukuoka senza
comprenderne in primis le ragioni spirituali. Però la forza del pensiero di quest'uomo è tale che la
sua scrittura suona ugualmente forte e rivoluzionaria: una frequentazione da non mancare ma con
la coscienza che la trascrizione sulla pagina può solo molto lontanamente rendere le ragioni
morali ed ideali che la ispirano. Ecco perché mi riesce difficilissimo parlare dell'autentico protagonista
di questo seminario:
Paride Allegri, una sorta di Fukuoka nostrano che, in un luogo dell'Appennino emiliano, in
proprio, conduce un analogo esperimento, per il recupero alle pratiche agricole di terreni in grave
stato di degrado. Dietro questo recupero c'è una ben precisa filosofia che situa l'uomo non al
vertice della catena biologica, ma in subordine e in stretta dipendenza dalla natura: Solo
rispettando i sei elementi fondamentali: la luce, l'aria, la terra, l'acqua, gli alberi, gli animali,
sostiene Paride Allegri, l'uomo potrà ritrovare il rispetto di se stesso. Utopia praticata, il discorso
di Paride Allegri è troppo importante per una sommaria esposizione: esso dovrà diventare invece
argomento di un dibattito sulle pagine di "A" che, per la prima volta, proprio in questo convegno
di "marginali", ho scoperto letta e seguita. Tra le circa 150-180 persone presenti alle due giornate del seminario
ho avuto la piacevole
sorpresa di incontrare più anarchici o simpatizzanti di quanti mai mi fosse accaduto. Nell'area
dell'ultrasinistra, dove gli istituzionalisti ormai freneticamente manovrano per trovare quadri per i
sindacati e i partiti, c'è una autentica urgenza di un pensiero alternativo "forte". Dopo le delusioni
marxiste questa necessità di "razionalità" si traduce in un generico riferimento all'anarchia, che
però, molto spesso tende a spegnersi per la mancanza di una adeguata area culturale. La nota
amara è che molti compagni mi hanno avvicinato non per dibattere argomenti, ma per
domandarmi quali testi leggere. Il punto deve far riflettere.
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