Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


Rivista Anarchica Online

Stalin a S. Vittore
di Paolo Finzi

Che se ne vadano! Con queste parole si apre un documento fatto uscire a metà novembre dal carcere milanese di San Vittore con la firma collettiva "i detenuti del 2° raggio". Oggetto del documento: lo sciopero della fame, allora in corso da oltre un mese e mezzo, di Ciro Paparo, Roberto Pironi e Giovanni Valentino, tre detenuti in attesa di giudizio, accusati di reati di "terrorismo" per i quali si sono sempre proclamati innocenti. Le motivazioni di questa loro lotta non sono in particolare le loro vicende personali, ma la generale situazione giudiziaria e carceraria di tanti che si trovano, più o meno, nelle loro stesse condizioni.
Nelle prime settimane, la loro iniziativa è trascorsa in sordina: poi qualcosa ha cominciato a muoversi, articoli sui giornali, trasmissioni alle radio private, visite di parlamentari locali e nazionali, interrogazioni, appelli per la concessione della libertà provvisoria, qualche manifestazione. Questa mobilitazione di una parte almeno della sinistra non ha finora ottenuto niente di specifico per quanto riguarda il loro caso, ma ha comunque impedito che una volta di più calasse anche su questa ennesima drammatica vicenda giudiziario-carceraria la solita cortina del silenzio. La procura della repubblica è stata costretta ad uscire allo scoperto con tutto il suo cinismo, negando loro la libertà provvisoria ed ancor peggio irridendo al loro "sciopero all'italiana". Dentro sono e dentro resteranno, hanno ripetuto sostanzialmente i vertici della magistratura milanese. Intanto, mentre questo numero va in stampa, la lotta dei tre continua.
Il tutto, poi, va inquadrato nell'ambito della situazione venutasi a creare all'interno del carcere milanese all'indomani del 22 settembre, giorno del bestiale pestaggio (del quale abbiamo pubblicato una testimonianza diretta sullo scorso numero) e dei trasferimenti di molti detenuti un po' in tutta Italia: allucinante risposta delle autorità al crescente movimento rivendicativo che, fra l'altro, tendeva a sottrarre la popolazione carceraria al condizionamento e ai ricatti delle varie mafie interne.
Fin qui, comunque, niente di nuovo. Da una parte tre detenuti in lotta anche per una più generale causa di giustizia, dall'altra il potere con le sue mistificazioni, la sua violenza istituzionalizzata. A metà novembre, proprio nei giorni in cui il procuratore Gresti intensifica i suoi attacchi contro i tre e li irride pubblicamente parlando con i giornalisti, esce da San Vittore il documento siglato "i detenuti del 2° raggio". È ora di fare un po' di chiarezza (...) - vi si legge, riferito ai tre - Se ne sono andati, hanno scelto di rapportarsi individualmente al potere, di costruire rapporti privilegiati con i suoi rappresentanti, hanno scelto un'altra collettività, la collettività di chi si riconosce nello stato di cose presenti, di chi giustifica la galera e il dominio dell'uomo sull'uomo, hanno abbandonato la collettività di chi lotta per essere libero da ogni dominio. Sia chiaro a tutti, il loro dopotutto non era un grande sciopero della fame, si è trattato in realtà di una grande sceneggiata condotta all'insegna del proprio tornaconto personale con la maschera della protesta collettiva. Altro che paragoni col carcere di Maze e con i militanti dell'Ira, di schifosi opportunisti si tratta!!! (...) Hanno, a partire da questa loro pratica di rottura del corpo collettivo, portato avanti un progetto politico che va denunciato e smascherato (...). Nulla hanno a che fare con il movimento. Invitiamo tutta la stampa a pubblicare questo scritto (...).
Analoga posizione esprimevano negli stessi giorni alcuni brigatisti della colonna Walter Alasia, allora sotto processo a Milano. Dall'aula del tribunale, bollavano anche loro i tre di schifoso opportunismo, tradimento, ecc. definendoli "morti di fame" e annunciando che se non fossero morti con il loro risibile sciopero della fame ci avrebbe pensato di sicuro qualcun'altro a farli uscire dal carcere nella posizione che si meritano: orizzontali.
Alla bestialità e all'intolleranza di quanti si mascherano dietro la sigla "i detenuti del 2° raggio", hanno prontamente risposto cinque detenuti in varie carceri, con una ferma lettera pubblicata su Lotta Continua: Antonio Muscovich e Enrico Baglioni (Centro clinico di Pisa), Pietro Villa e Giuseppe Muscianisi (Casa circondariale di Pisa), Gloria Pescarolo in Baglioni (Carcere femminile di Avellino). È poco quello che possiamo dire, - affermano i cinque - ma è tutto quello che abbiamo: diamo tutto il nostro affetto e solidarietà ai nostri amici e fratelli Ciro, Giovanni e Roberto che dalla "notte di San Bartolomeo" (il riferimento è al pestaggio del 22 settembre, ndr) stanno effettuando uno sciopero della fame; che con la complicità del ministero di Grazia e Giustizia, la Procura della Repubblica di Milano e gli anonimi firmatari del documento che li definisce "schifosi opportunisti" vengono condannati all'unanimità a morire. (...) Noi non vogliamo dire se sia o no giusta la loro scelta: la accettiamo e la rispettiamo. Ma vogliamo gridare a gran voce che devono vivere per tornare ad amare. E non permetteremo a nessuno di infamare la loro figura e identità: né al Ministero e alla Procura della Repubblica che li definisce pericolosi terroristi; né a chi si nasconde dietro a generiche e comode firme come "i detenuti del 2° raggio", che ha il coraggio di dire che loro sono sempre stati sabotatori delle lotte e la loro iniziativa non è nient'altro che uno sporco patteggiare la loro libertà con il nemico. (...) A costoro rispondiamo semplicemente che oltre ad averci provocato disgusto nel leggere il contenuto del documento intitolato "che se ne vadano", ci stanno anche sorgendo seri dubbi sulla loro reale partecipazione al movimento ed alle lotte di San Vittore. A noi non interessa dare delle definizioni o etichette al ciclo di lotte estive e al suo movimento (...). E allora è ancor più schifoso, cinico, da sporco e vecchio politicante, avallare una condanna a morte su tre uomini con cui si è diviso tutto, con cui si è mangiato e scherzato, con cui si è lottato e - perché no? - si sono avute anche divergenze. Quel "se ne vadano" o quel "sono degli schifosi opportunisti", è una pugnalata alle spalle data da chi pensa, probabilmente, che il "comunismo" debba per forza nascere da un bagno di sangue, da chi pensa che la solidarietà la si concede solo dopo aver controllato la tessera di partito. Noi questa tessera non la chiediamo nè ce l'abbiamo. Diamo tutta la nostra solidarietà a Ciro, Giovanni e Roberto perché li vogliamo con noi vivi e liberi, perché sono nostri fratelli. Noi non avalliamo nessuna sentenza di morte, perché siamo contro la pena di morte, e la nostra lotta è per la pace, la vita, l'amore, un mondo umano. Voi del 2° raggio, per cosa lottate?
Per cosa lottano, lo specificheranno loro. Come lottano, lo vediamo tutti: con le armi della calunnia, dell'insulto, dell'intolleranza, del cinismo, della legge del più forte. Non è certo un caso che si trovino così sulle stesse posizioni degli stalinisti delle Brigate Rosse; che, come i brigatisti, cerchino di eliminare con ogni mezzo qualsiasi forma differente di aggregazione e di lotta; che, come i brigatisti, cerchino anche di "riscrivere" la storia a loro uso e consumo, negando addirittura che i tre possano aver partecipato alle lotte in carcere. Per assicurarsi l'egemonia, tutti i mezzi sono buoni: in questo senso, i brigatisti ed i loro "compagni di strada" utili idioti di sempre (ivi compresi quelli che ammantano il loro violentismo di parole d'ordine ed immagini "libertarie"), si confermano degni eredi della tradizione stalinista.
Il loro disegno politico, evidentemente, va ben oltre la calunnia contro questo o quell'altro detenuto: al di là di differenti sfumature, il progetto carcerario dei brigatisti e dei loro alleati è appunto quello dell'egemonia, al fine di ottenere - di fatto, almeno - la "rappresentatività" dell'intero movimento di lotta delle carceri. L'intento è duplice: da una parte poter trattare da posizioni di forza con il governo (il precedente della rivolta nel supercarcere di Trani è emblematico), dall'altro saldare questo movimento delle carceri (o comunque quanto si muove al loro interno) alla strategia "esterna" delle cosidette O.C.C. ("organizzazioni comuniste combattenti"). In questa strategia si muovono oggi non solo i militanti delle Brigate Rosse, ma anche quelle forze che anche con impostazioni differenti sono impegnate a far sopravvivere il folle progetto lottarmatista. Tutti coloro, per intenderci, che considerano loro "referente" il movimento della cosiddetta "guerriglia" e giudicano il successo della loro strategia dal "volume di fuoco" realizzato, cioè dal numero di morti e feriti lasciati sui marciapiedi.
È in questo contesto che si esprime l'allucinante totalitarismo dei lottarmatisti; che vengono calunniati quegli imputati che, accusati senza prove e proclamatisi innocenti, vanno al processo per difendersi; che si sfrutta la naturale ripulsa per i "pentiti" bollando come tale chiunque non si adegua al lugubre rituale processuale dei brigatisti; che, in parallelo ed a volte in connessione con la tradizionale violenza mafiosa, viene esercitata quella "rossa" contro chi si oppone attivamente alla brutalità e al totalitarismo dei brigatisti e dei loro emuli.
Contro la strategia lottarmatista, contro l'ideologia di morte che vi sta dietro, contro i loro proclami di annientamento, contro la loro violenza sistematica speculare a quella delle istituzioni repressive, contro tutto quanto di autoritario, disumano e militarista essi rappresentano, è necessario continuare a fare la massima chiarezza.