Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


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Napoli emergenza continua
di Gruppo di studio "Vai mo'"

Napoli dopo l'unificazione, Napoli del dopo-guerra, Napoli del dopo colera, ed ora... Napoli del dopo terremoto. Ora? Qui il terremoto c'era anche prima di quella domenica sera. Il terremoto del brigantaggio, il terremoto della "liberazione"... il terremoto dell'emigrazione. Letterati, antropologi, sociologi, psicologi sociali hanno sprecato fiumi d'inchiostro per descrivere queste Napoli.
Descrizioni apparentemente precise, puntuali e facili su un popolo che ha vissuto le sue tragedie "per la strada", ma esse non sono altro che immagini proiettive di desideri egualitari: espiazione dei propri sensi di colpa a basso prezzo. È ora di finirla con i facili pietismi meridionalistici di carattere catto-comunista, è tempo di smetterla di proiettare le nostre paranoie ed i nostri miti da intellettuali su coloro che non hanno gli strumenti per ribellarsi. Qui non esistono né classi elette, né anime da redimere; i colpiti di sempre sono solo povera gente che si crede furba per la sua "arte di arrangiarsi", gente del sud da sempre in lotta per la sopravvivenza.
All'indomani dell'evento sismico, dalle dichiarazioni dei politici, sembrava quasi che dovessimo ringraziare il padreterno per aver scosso la terra. Necrofili variamente colorati inscenarono orgiastici riti, summit, dibattiti, conferenze, comizi ed altri momenti di "confronto democratico", il tutto per concludere che: i cadaveri non ancora estratti dalle macerie; il panico ed il terrore stampati sui volti della gente; l'atmosfera della provvisorietà-permanente, delle "solite" valigie chiuse con "spezzoni di spago" che, sui portabagagli delle auto, attraversano il centro cittadino, non erano altre che provvidenziali occasioni per sottrarre il Sud da secoli di arretratezza! È dal male che nasce il bene! Che idioti, come avevamo fatto a non pensarci prima?
Per fortuna c'è chi con abnegazione e competenza pensa a noi. Con procedura d'urgenza in soli quattro mesi viene emanato il decreto legge n° 75, caratteristiche del procedimento: "Procedure agili, termini abbreviati, controlli rapidi...". L'obiettivo in esso contenuto? La ricostruzione?! Troppo ovvio, troppo poco; ricostruzione più sviluppo! Lo sviluppo è rimasto sulla carta. La ricostruzione anche.
L'immagine che Napoli dà di sé ad un anno dal terremoto è quella dell'emergenza. Lo scenario urbano, sconvolto dai containers e dalle roulottes, è quello di una metropoli del terzo mondo. Lo spazio cittadino è un'immagine eterogenea, ma politicamente coerente, di edifici collocati dalle "mani sulla città" e di campi di prefabbricati. Quest'ultimi, vere e proprie bidonvilles infestate da assistenti sociali, hanno "colmato" gli ultimi spazi verdi "scampati" dall'inurbamento selvaggio. Convivono così negli stessi quartieri individui con stipendi medio alti, stabili e sicuri ed attori sociali la cui attività vitale è un'affannosa ricerca di reddito da qualunque attività che sia in grado di produrlo, sia essa illecita, nera, sommersa e/o precaria-legale.
La mobilitazione subita dai gruppi sottoproletari e proletari dal centro storico verso la periferia ha prodotto ulteriori modificazioni della già composita realtà napoletana. Questi gruppi hanno reagito allo sradicamento riproducendo il proprio habitat socio-economico, le proprie tecniche di sopravvivenza, ma nelle nuove zone di residenza l'economia del vicolo è sconvolta, sono in frantumi i referenti sociali e psicologici, i criteri di codificazione e interpretazione della realtà sono ormai molto labili. La violenza comune diventa sempre più diffusa: si commette un omicidio ogni 38 ore, alle faide dei gruppi camorristici (gli unici veramente impegnati nella ricostruzione), si sommano tipi di violenze diverse: dal truffatore vecchio stile che ti propina lo "scartiloffio" allo "scippo" della collanina, fino al "folle" che ti taglia il dito per rubarti l'anello. Di questo scenario urbano e sociale, in un solo anno, anche le transenne e le teorie di tubi innocenti sono diventate parte integrante. Nei quartieri spagnoli, queste strutture si sono trasformate in "bancarelle" per l'esposizione della merce degli ambulanti, degli abusivi, dei contrabbandieri; in nascondiglio inaccessibile per occultare droga, armi, sigarette; in un punto di incontro per puttane e travestiti. Negli edifici, puntellati alla meno peggio, in attesa degli interventi promessi, è ripresa la vita di sempre.
In ogni casa lo sguardo continua a scrutare, quasi di nascosto, il lampadario, sismografo alla portata di tutti; si mangia "il parmigiano gratuito per le zone terremotate del sud", lo si consuma con molta voracità, a morsi, forse per rimuovere in fretta l'ennesima umiliazione inflittaci. Per le strade, nei vicoli gli scugnizzi giocano all'interno dei muretti che dovrebbero vietare l'accesso alle zone di pericolo. È questo il segno di una volontà di sopravvivere della gente che come un'onda travolge l'impotenza delle istituzioni, l'incapacità dei plenipotenziari, l'inefficacia delle leggi speciali. È la Napoli delle 60.000 domande per il sussidio di disoccupazione inoltrate oltre i termini previsti e giustificate con altrettanti certificati medici; è la Napoli dei cortei senza bandiere per il lavoro e per la casa; ma è anche la Napoli dove il lavoro nero è diventato un secondo lavoro, dove la marginalità è un nuovo status privilegiato, dove la disoccupazione è un nuovo mestiere. È la Napoli con la sua dimensione sacro-magica della rinascente festa di Piedigrotta, è la Napoli con la rabbia inesplosa dei 200.000 al concerto di Pino Daniele. È la Napoli che si agita, ma che resta immobile.
Protagonista di questa rappresentazione ambigua dell'emergenza-permanente è il popolo napoletano; non quello descritto dai partiti e dai sindacati, né quello sottovalutato dalle istituzioni nazionali e relegato al ruolo di stereotipo elemento folclorico a scopi turistici. Forse il popolo napoletano corrisponde alla massa descritta da Baudrillard: la massa che assorbe tutto e non esplode, ma implode e si nega, esercitando così il suo "potere reale", non essere riducibile né comprensibile per nessuno, ponendo con la sua sola esistenza i problemi di Napoli.