Rivista Anarchica Online
Napoli emergenza continua
di Gruppo di studio "Vai mo'"
Napoli dopo l'unificazione, Napoli del dopo-guerra, Napoli del dopo colera, ed ora... Napoli del
dopo terremoto. Ora? Qui il terremoto c'era anche prima di quella domenica sera. Il terremoto del
brigantaggio, il terremoto della "liberazione"... il terremoto dell'emigrazione. Letterati,
antropologi, sociologi, psicologi sociali hanno sprecato fiumi d'inchiostro per descrivere queste
Napoli. Descrizioni apparentemente precise, puntuali e facili su un popolo che ha vissuto le sue tragedie
"per la strada", ma esse non sono altro che immagini proiettive di desideri egualitari: espiazione
dei propri sensi di colpa a basso prezzo. È ora di finirla con i facili pietismi meridionalistici di
carattere catto-comunista, è tempo di smetterla di proiettare le nostre paranoie ed i nostri miti da
intellettuali su coloro che non hanno gli strumenti per ribellarsi. Qui non esistono né classi elette,
né anime da redimere; i colpiti di sempre sono solo povera gente che si crede furba per la sua
"arte di arrangiarsi", gente del sud da sempre in lotta per la sopravvivenza. All'indomani dell'evento sismico,
dalle dichiarazioni dei politici, sembrava quasi che dovessimo
ringraziare il padreterno per aver scosso la terra. Necrofili variamente colorati inscenarono
orgiastici riti, summit, dibattiti, conferenze, comizi ed altri momenti di "confronto democratico",
il tutto per concludere che: i cadaveri non ancora estratti dalle macerie; il panico ed il terrore
stampati sui volti della gente; l'atmosfera della provvisorietà-permanente, delle "solite" valigie
chiuse con "spezzoni di spago" che, sui portabagagli delle auto, attraversano il centro cittadino,
non erano altre che provvidenziali occasioni per sottrarre il Sud da secoli di arretratezza! È dal
male che nasce il bene! Che idioti, come avevamo fatto a non pensarci prima? Per fortuna c'è chi con
abnegazione e competenza pensa a noi. Con procedura d'urgenza in soli
quattro mesi viene emanato il decreto legge n° 75, caratteristiche del procedimento: "Procedure
agili, termini abbreviati, controlli rapidi...". L'obiettivo in esso contenuto? La ricostruzione?!
Troppo ovvio, troppo poco; ricostruzione più sviluppo! Lo sviluppo è rimasto sulla carta. La
ricostruzione anche. L'immagine che Napoli dà di sé ad un anno dal terremoto è quella
dell'emergenza. Lo scenario
urbano, sconvolto dai containers e dalle roulottes, è quello di una metropoli del terzo mondo. Lo
spazio cittadino è un'immagine eterogenea, ma politicamente coerente, di edifici collocati dalle
"mani sulla città" e di campi di prefabbricati. Quest'ultimi, vere e proprie bidonvilles infestate da
assistenti sociali, hanno "colmato" gli ultimi spazi verdi "scampati" dall'inurbamento selvaggio.
Convivono così negli stessi quartieri individui con stipendi medio alti, stabili e sicuri ed attori
sociali la cui attività vitale è un'affannosa ricerca di reddito da qualunque attività che sia
in grado
di produrlo, sia essa illecita, nera, sommersa e/o precaria-legale. La mobilitazione subita dai gruppi sottoproletari
e proletari dal centro storico verso la periferia
ha prodotto ulteriori modificazioni della già composita realtà napoletana. Questi gruppi hanno
reagito allo sradicamento riproducendo il proprio habitat socio-economico, le proprie tecniche di
sopravvivenza, ma nelle nuove zone di residenza l'economia del vicolo è sconvolta, sono in
frantumi i referenti sociali e psicologici, i criteri di codificazione e interpretazione della realtà
sono ormai molto labili. La violenza comune diventa sempre più diffusa: si commette un
omicidio ogni 38 ore, alle faide dei gruppi camorristici (gli unici veramente impegnati nella
ricostruzione), si sommano tipi di violenze diverse: dal truffatore vecchio stile che ti propina lo
"scartiloffio" allo "scippo" della collanina, fino al "folle" che ti taglia il dito per rubarti l'anello.
Di questo scenario urbano e sociale, in un solo anno, anche le transenne e le teorie di tubi
innocenti sono diventate parte integrante. Nei quartieri spagnoli, queste strutture si sono
trasformate in "bancarelle" per l'esposizione della merce degli ambulanti, degli abusivi, dei
contrabbandieri; in nascondiglio inaccessibile per occultare droga, armi, sigarette; in un punto di
incontro per puttane e travestiti. Negli edifici, puntellati alla meno peggio, in attesa degli
interventi promessi, è ripresa la vita di sempre. In ogni casa lo sguardo continua a scrutare, quasi di
nascosto, il lampadario, sismografo alla
portata di tutti; si mangia "il parmigiano gratuito per le zone terremotate del sud", lo si consuma
con molta voracità, a morsi, forse per rimuovere in fretta l'ennesima umiliazione inflittaci. Per le
strade, nei vicoli gli scugnizzi giocano all'interno dei muretti che dovrebbero vietare l'accesso
alle zone di pericolo. È questo il segno di una volontà di sopravvivere della gente che come
un'onda travolge l'impotenza delle istituzioni, l'incapacità dei plenipotenziari, l'inefficacia delle
leggi speciali. È la Napoli delle 60.000 domande per il sussidio di disoccupazione inoltrate oltre i
termini previsti e giustificate con altrettanti certificati medici; è la Napoli dei cortei senza
bandiere per il lavoro e per la casa; ma è anche la Napoli dove il lavoro nero è diventato un
secondo lavoro, dove la marginalità è un nuovo status privilegiato, dove la disoccupazione è
un
nuovo mestiere. È la Napoli con la sua dimensione sacro-magica della rinascente festa di
Piedigrotta, è la Napoli con la rabbia inesplosa dei 200.000 al concerto di Pino Daniele. È la
Napoli che si agita, ma che resta immobile. Protagonista di questa rappresentazione ambigua
dell'emergenza-permanente è il popolo
napoletano; non quello descritto dai partiti e dai sindacati, né quello sottovalutato dalle istituzioni
nazionali e relegato al ruolo di stereotipo elemento folclorico a scopi turistici. Forse il popolo
napoletano corrisponde alla massa descritta da Baudrillard: la massa che assorbe tutto e non
esplode, ma implode e si nega, esercitando così il suo "potere reale", non essere riducibile né
comprensibile per nessuno, ponendo con la sua sola esistenza i problemi di Napoli.
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