Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


Rivista Anarchica Online

A che serve un convegno?
di Maria Teresa Romiti

E anche il convegno sull'Utopia è finito lasciandosi dietro il solito strascico di polemiche, che, almeno in parte, brillano solo per il loro ripetersi, anche nei contenuti. Non che le critiche siano "criticabili", tutt'altro: stimolanti, utili, sono un aspetto irrinunciabile della nostra ideologia, ma alcune critiche che si ripetono ultimamente sembrano invece essere dettate solo dalla sterile polemica. Paradossalmente sono proprio le critiche utili, costruttive quelle che invece mancano. Pare quasi che il divertimento maggiore in un convegno sia quello di poterne parlare male: in generale, come nei particolari, dagli organizzatori ai relatori, e ora, per buona misura, gli strali hanno colpito anche i semplici intervenuti al dibattito, colpevoli se non altro di essere "noti".
D'altra parte esistono anche quelli che escono dal convegno soddisfatti o, perlomeno, convinti di avere partecipato a qualcosa di utile.
Il divario è veramente troppo grosso per non meritare di soffermarcisi, sono atteggiamenti completamente opposti. Inutile e sterile polemizzare verso inesattezze e malignità soprattutto verso organizzatori e relatori, che più che altro dimostrano la non-conoscenza dell'attività quotidiana dei compagni chiamati in causa, che all'attività intellettuale affiancano operazioni molto più prosaiche e manuali, specie nell'organizzare i convegni. D'altra parte è altrettanto inutile precisare inesattezze, si fa per dire, nelle critiche alle relazioni, quasi da far pensare un ascolto impreciso, o la rimasticazione di interventi precedenti. Quello che merita di essere discusso è l'atteggiamento di fondo che sottende alcune critiche di carattere generale.
La prima e fondamentale critica che si riscontra riguarda la funzione dei convegni, la loro inutilità pratica e la loro separazione dalla realtà. Difficile discutere in ogni caso gli ambiti della teoria e della pratica, visto che s'intersecano spesso e dovrebbero essere un'unità organica, ma ciò che si può semplificare da questa critica è la delusione di aver trovato "solo chiacchere, nient'altro che chiacchere". L'atteggiamento è infantile, in effetti, convegno di studi vuol dire discussione su un tema, cioè parole, idee, concetti; ed è perlomeno assurdo pretendere di trovare altro in un convegno. Sarebbe come pretendere di sciare sulla neve andando a Ischia in pieno agosto! Si può essere o meno d'accordo sulla utilità dei convegni, ma lamentarsi perché un convegno è stato solo teoria è una pura assurdità. Un convegno è questo e niente altro. Se invece si è convinti dell'inutilità pratica dei convegni è meglio non parteciparvi, sapendo inoltre che i compagni del Centro Studi non hanno mai fatto mistero del loro impegno culturale e della loro convinzione dell'importanza di una cultura libertaria.

Un altro discorso merita un'altra critica quasi generale: la mancanza delle conclusioni: "il convegno è stato confuso, la discussione si è spezzettata, gli interventi sono stati contraddittori, ecc.". Questo non è solo un atteggiamento infantile è indice di una vera e propria dipendenza culturale. Una partecipazione che è soprattutto delega verso i relatori e gli organizzatori, costringendoli ad un ruolo di intellettuali, pretendendo da loro addirittura non varie soluzioni, ma "la soluzione". Nonostante lo stupore bisogna dire che questo atteggiamento di delega è presente fra gli anarchici, esce proprio da queste critiche, con cui si mette sotto accusa il relatore/padre perché non ha dato la "soluzione", sgombrando il campo dalle possibili alternative, permettendo al cervello dell'ascoltatore di non faticare. Non solo si pretendono cibi cotti, ma anche pre-digeriti! È una dipendenza intellettuale tanto più pericolosa perché è l'aspetto interiorizzato dell'ideologia del dominio: ci si sente incapaci di trovare la soluzione o le soluzioni da soli, si cerca la "certezza", quindi si pretende che "il noto compagno" la produca per noi, pronti nello stesso tempo ad aggredirlo perché la sua è una posizione di potere. Un rapporto dipendenza/aggressività da far felice uno psicanalista. Del resto usare il proprio cervello è la conquista più difficile in questa società segnata dal dominio e dal consenso, anche se gli anarchici puntano proprio ad una società dove tutti usino il proprio materiale cerebrale sempre.
Altra critica molto generale e, secondo me, ancora più pericolosa per il suo autoritarismo è quella del "è sbagliato fare in questo modo, i convegni vanno fatti in quest'altro". A parte l'ovvia considerazione che ognuno di noi farebbe un convegno in modo diverso (voglio almeno sperare) e che quindi non ci si riconosce mai fino in fondo in iniziative che non si sono organizzate di persona, il discorso sembra più sottendere un atteggiamento di autorità. Il "critico" è convinto di sapere come va fatto un convegno, non lo sfiora il dubbio di poter sbagliare; inoltre pretende che altri compagni, magari anche andando contro le proprie convinzioni, organizzino il convegno secondo le sue idee. E se questi critici provassero libertariamente a farsi il loro convegno o seminario, invece di pretendere in modo autoritario che altri facciano ciò che a loro pare giusto? È pretendere troppo sperare che gli anarchici si comportino da anarchici, lasciando anche agli altri quella libertà che tutti consideriamo un fondamento delle nostre idee e della nostra pratica?
Ma il problema rimane: perché io esco soddisfatta dagli stessi convegni dove ho sentito le stesse parole? Forse proprio perché io non pretendo di trovare ciò che convegni e seminari non possono dare, li considero per quello che sono, strumenti da usare. Se è vero che un convegno di studi è staccato dalla pratica è anche vero che quelle idee, maturate attraverso quegli studi, saranno quelle che guideranno la mia pratica giorno dopo giorno. È chiaro che un convegno ha limiti e problemi, in parte organizzativi (siamo tutti esseri umani), in parte strutturali, ma è abbastanza sterile discutere su questi ultimi, considerando che è uno strumento tra tanti, tutti usabili proficuamente.
La cultura è il grande strumento/utensile inventato dagli uomini per affrontare il mondo, talmente importante da permeare tutto il nostro vivere, da condizionare le nostre convinzioni in campi completamente diversi, da rendere impossibile una distinzione tra ciò che è culturale e ciò che è naturale nell'essere umano. La crescita della cultura libertaria è per me fondamentale proprio perché attraverso una cultura diversa è possibile una realtà diversa. Non credo che sia possibile abbattere lo stato senza nel contempo costruire una cultura che non lo preveda; d'altra parte proprio in noi si possono ritrovare la delega, la dipendenza: lo stato curva tutto il nostro spazio simbolico rendendo difficile se non impossibile modelli diversi. Un convegno è il confronto/scontro (nei limiti del civile, altrimenti il discorso, lo scambio diventano impossibili) di atteggiamenti, di modi di vedere diversi. Per usare un esempio dalla relazione di Lanza all'Utopia è il mercato delle idee, lo scambio reciproco, in cui i pensieri, le teorizzazioni personali si confrontano su un terreno comune mostrando i punti deboli, le analogie, i punti di forza, le contraddizioni.
Non esistono soluzioni o peggio ancora "la soluzione", ma solo confusione, impatto di fronte a mille idee, messa in discussione personale. È un punto di partenza, una raccolta di idee, dalle quali poi nasceranno le soluzioni, ma solo se gli individui affronteranno il duro lavoro di pensare e ripensare, dibattere e costruire sull'argomento. Un lavoro duro, stancante che può durare mesi o anni, che è la realtà più vera del convegno: andare ad un convegno per risposte precotte è una perdita di tempo. Ecco perché un convegno con le risposte già pronte non mi sta bene; mi stanno bene i dubbi, le difficoltà, le perplessità alla fine dei quali io potrò trovare delle strade, neppure tanto certe, neppure per sempre, altri punti di partenza per una strada più difficile che è la propria via all'Anarchia, strada sempre nuova e sempre in costruzione.