Rivista Anarchica Online
A che serve un convegno?
di Maria Teresa Romiti
E anche il convegno sull'Utopia è finito lasciandosi dietro il solito strascico di polemiche, che,
almeno in parte, brillano solo per il loro ripetersi, anche nei contenuti. Non che le critiche siano
"criticabili", tutt'altro: stimolanti, utili, sono un aspetto irrinunciabile della nostra ideologia, ma
alcune critiche che si ripetono ultimamente sembrano invece essere dettate solo dalla sterile
polemica. Paradossalmente sono proprio le critiche utili, costruttive quelle che invece mancano.
Pare quasi che il divertimento maggiore in un convegno sia quello di poterne parlare male: in
generale, come nei particolari, dagli organizzatori ai relatori, e ora, per buona misura, gli strali
hanno colpito anche i semplici intervenuti al dibattito, colpevoli se non altro di essere "noti". D'altra parte
esistono anche quelli che escono dal convegno soddisfatti o, perlomeno, convinti di
avere partecipato a qualcosa di utile. Il divario è veramente troppo grosso per non meritare di
soffermarcisi, sono atteggiamenti
completamente opposti. Inutile e sterile polemizzare verso inesattezze e malignità soprattutto
verso organizzatori e relatori, che più che altro dimostrano la non-conoscenza dell'attività
quotidiana dei compagni chiamati in causa, che all'attività intellettuale affiancano operazioni
molto più prosaiche e manuali, specie nell'organizzare i convegni. D'altra parte è altrettanto
inutile precisare inesattezze, si fa per dire, nelle critiche alle relazioni, quasi da far pensare un
ascolto impreciso, o la rimasticazione di interventi precedenti. Quello che merita di essere
discusso è l'atteggiamento di fondo che sottende alcune critiche di carattere generale. La prima e
fondamentale critica che si riscontra riguarda la funzione dei convegni, la loro
inutilità pratica e la loro separazione dalla realtà. Difficile discutere in ogni caso gli ambiti della
teoria e della pratica, visto che s'intersecano spesso e dovrebbero essere un'unità organica, ma ciò
che si può semplificare da questa critica è la delusione di aver trovato "solo chiacchere,
nient'altro che chiacchere". L'atteggiamento è infantile, in effetti, convegno di studi vuol dire
discussione su un tema, cioè parole, idee, concetti; ed è perlomeno assurdo pretendere di trovare
altro in un convegno. Sarebbe come pretendere di sciare sulla neve andando a Ischia in pieno
agosto! Si può essere o meno d'accordo sulla utilità dei convegni, ma lamentarsi perché un
convegno è stato solo teoria è una pura assurdità. Un convegno è questo e niente
altro. Se invece
si è convinti dell'inutilità pratica dei convegni è meglio non parteciparvi, sapendo inoltre
che i
compagni del Centro Studi non hanno mai fatto mistero del loro impegno culturale e della loro
convinzione dell'importanza di una cultura libertaria.
Un altro discorso merita un'altra critica quasi generale: la mancanza delle conclusioni: "il
convegno è stato confuso, la discussione si è spezzettata, gli interventi sono stati contraddittori,
ecc.". Questo non è solo un atteggiamento infantile è indice di una vera e propria dipendenza
culturale. Una partecipazione che è soprattutto delega verso i relatori e gli organizzatori,
costringendoli ad un ruolo di intellettuali, pretendendo da loro addirittura non varie soluzioni, ma
"la soluzione". Nonostante lo stupore bisogna dire che questo atteggiamento di delega è presente
fra gli anarchici, esce proprio da queste critiche, con cui si mette sotto accusa il relatore/padre
perché non ha dato la "soluzione", sgombrando il campo dalle possibili alternative, permettendo
al cervello dell'ascoltatore di non faticare. Non solo si pretendono cibi cotti, ma anche pre-digeriti! È una
dipendenza intellettuale tanto più pericolosa perché è l'aspetto interiorizzato
dell'ideologia del dominio: ci si sente incapaci di trovare la soluzione o le soluzioni da soli, si
cerca la "certezza", quindi si pretende che "il noto compagno" la produca per noi, pronti nello
stesso tempo ad aggredirlo perché la sua è una posizione di potere. Un rapporto
dipendenza/aggressività da far felice uno psicanalista. Del resto usare il proprio cervello è la
conquista più difficile in questa società segnata dal dominio e dal consenso, anche se gli
anarchici puntano proprio ad una società dove tutti usino il proprio materiale cerebrale sempre. Altra
critica molto generale e, secondo me, ancora più pericolosa per il suo autoritarismo è quella
del "è sbagliato fare in questo modo, i convegni vanno fatti in quest'altro". A parte l'ovvia
considerazione che ognuno di noi farebbe un convegno in modo diverso (voglio almeno sperare)
e che quindi non ci si riconosce mai fino in fondo in iniziative che non si sono organizzate di
persona, il discorso sembra più sottendere un atteggiamento di autorità. Il "critico" è
convinto di
sapere come va fatto un convegno, non lo sfiora il dubbio di poter sbagliare; inoltre pretende che
altri compagni, magari anche andando contro le proprie convinzioni, organizzino il convegno
secondo le sue idee. E se questi critici provassero libertariamente a farsi il loro convegno o
seminario, invece di pretendere in modo autoritario che altri facciano ciò che a loro pare giusto?
È pretendere troppo sperare che gli anarchici si comportino da anarchici, lasciando anche agli
altri quella libertà che tutti consideriamo un fondamento delle nostre idee e della nostra pratica? Ma il
problema rimane: perché io esco soddisfatta dagli stessi convegni dove ho sentito le stesse
parole? Forse proprio perché io non pretendo di trovare ciò che convegni e seminari non possono
dare, li considero per quello che sono, strumenti da usare. Se è vero che un convegno di studi è
staccato dalla pratica è anche vero che quelle idee, maturate attraverso quegli studi, saranno
quelle che guideranno la mia pratica giorno dopo giorno. È chiaro che un convegno ha limiti e
problemi, in parte organizzativi (siamo tutti esseri umani), in parte strutturali, ma è abbastanza
sterile discutere su questi ultimi, considerando che è uno strumento tra tanti, tutti usabili
proficuamente. La cultura è il grande strumento/utensile inventato dagli uomini per affrontare il mondo,
talmente
importante da permeare tutto il nostro vivere, da condizionare le nostre convinzioni in campi
completamente diversi, da rendere impossibile una distinzione tra ciò che è culturale e ciò
che è
naturale nell'essere umano. La crescita della cultura libertaria è per me fondamentale proprio
perché attraverso una cultura diversa è possibile una realtà diversa. Non credo che sia
possibile
abbattere lo stato senza nel contempo costruire una cultura che non lo preveda; d'altra parte
proprio in noi si possono ritrovare la delega, la dipendenza: lo stato curva tutto il nostro spazio
simbolico rendendo difficile se non impossibile modelli diversi. Un convegno è il
confronto/scontro (nei limiti del civile, altrimenti il discorso, lo scambio diventano impossibili)
di atteggiamenti, di modi di vedere diversi. Per usare un esempio dalla relazione di Lanza
all'Utopia è il mercato delle idee, lo scambio reciproco, in cui i pensieri, le teorizzazioni
personali si confrontano su un terreno comune mostrando i punti deboli, le analogie, i punti di
forza, le contraddizioni. Non esistono soluzioni o peggio ancora "la soluzione", ma solo confusione, impatto di
fronte a
mille idee, messa in discussione personale. È un punto di partenza, una raccolta di idee, dalle
quali poi nasceranno le soluzioni, ma solo se gli individui affronteranno il duro lavoro di pensare
e ripensare, dibattere e costruire sull'argomento. Un lavoro duro, stancante che può durare mesi o
anni, che è la realtà più vera del convegno: andare ad un convegno per risposte precotte
è una
perdita di tempo. Ecco perché un convegno con le risposte già pronte non mi sta bene; mi stanno
bene i dubbi, le difficoltà, le perplessità alla fine dei quali io potrò trovare delle strade,
neppure
tanto certe, neppure per sempre, altri punti di partenza per una strada più difficile che è la propria
via all'Anarchia, strada sempre nuova e sempre in costruzione.
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