Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 97
dicembre 1981 - gennaio 1982


Rivista Anarchica Online

Ma quella sera uccisero Pinelli
di Gabriele R.

Quella sera decidemmo di andare da Maurizio. Passai a prendere non mi ricordo più chi e caricammo in spalla parole e gesti nuovi per la sera che ci attendeva, beh io ero irrequieto come un bambino che sa che da qualche parte è nascosto un dono per lui e finge goffamente di non saperlo e ride e fa cose sceme, per sembrare buono. Ecco io volevo sembrare buono con la vita, quella sera. Una intera sera nuova, tutta per me, sì, una sera di un giorno qualsiasi, senza neanche scusa da sabato del villaggio, sì una sera fiammante da riempire con battute e risate e gesti di chi vive. Invece quella sera uccisero Pinelli. Lo uccisero prima di sera in realtà, ma noi lo sapemmo solo allora. E stavamo seduti con l'imbarazzo di chi doveva divertirsi con un morto nel sangue uno scomodo atroce morto di ferroviere anarchico steso tra noi con il suo semplice sangue a colare sul selciato della questura, a colare lentamente, assieme alle idee, ai sogni alle utopie, assieme agli ultimi brandelli di respiro, se mai ne avesse avuti ancora, se mai, voglio dire, non li avesse lasciati su, ancora prima, oltre quella finestra.

Veramente aleggiavano su di noi ombre di giovani col cranio spaccato, le sentivamo passare, sentivamo i passeri blu frusciare uscendo dal loro petto sentivamo il gemito atroce di passeri straziati volare lugubri portando con sé i fiotti di vita incandescente, senza più ponti di parole da stendere tra noi che in fondo non sapevamo ancora non eravamo ancora arrivati con gli occhi a vedere il nido del serpente del mondo. Su tutti il peso della menzogna il peso dell'enorme menzogna del corpo putrido di chi voleva che così fosse sempre, di chi giostrava con la nostra anima inerme.

Forse sarebbe toccato a noi vederci morire su un qualche selciato anonimo aprendo lentamente le mani per liberare uno spago e due biglie scheggiate, una figurina di marx, socchiudendo gli occhi lontani ormai dai rumori del mondo, forse sarebbe toccato a noi prima o poi sentire una pallottola sventrarci o schiantarci il cranio sempre più forte, sempre più forte, sempre più lontano. Stavamo lì forse come tanti altri a Milano quella sera increduli, angosciati, ignorando che qualcosa si stava allontanando con il corpo di Pinelli tra le mani pelose di scimmieschi infermieri, nei meandri da macelleria di un qualche obitorio.
- Lo vendicheremo - disse qualcuno debolmente. Ma nessuno ci ha mai creduto.
- Forse la morte è qualcosa di noi, è qualcosa che cammina fianco a fianco a noi ogni giorno, dietro ogni angolo ci spia dissi io. Già mi arrogavo la licenza di poeta ma in realtà non volevo nessuna cattedra in quel momento.
Sogno e realtà incrociarono le dita facendo scrocchiare le nocche nella mia testa e allora a cavallo del mio secchio di carbone porto con me gli oggetti utili per il viaggio e i regali per i miei amici gnomi, sì. Come quando il vecchio cavallo di mio zio decise di schiattare nel bel mezzo del campo e la enorme carcassa cadde a nascondermi il sole e accidenti se me lo nascondeva fino a che si formò la brina ed eravamo in piena estate e l'ombra si proiettò sulla casa quando il sole fu al tramonto e faceva così freddo che tutti i miei innumerevoli cugini e me compreso dovemmo metterci il maglione e scaldare i letti con la brace e ancora non lo sapevo allora di come la morte popolasse allegramente le fiabe e il mondo.
Mi parve giusto che quel vecchio cavallo ricoprisse di brina acuta le pesche di velluto che già erano mature. Fino a che di notte di nascosto vennero piccoli gnomi a trasportare le enormi bianche ossa che balenavano come lame di spade in una battaglia al chiarore della luna e lentamente lo smontarono.
La luna si era fermata per favorire il loro lavoro e lo seppellirono di fianco al campo di patate sotto una quercia che tanti cavalli e uomini aveva seppellito, scavando con piccole pale e io vedevo tutto dai vetri appannati della finestra al primo piano fino a che corsi nel letto tra mia nonna che russava e mia cugina. Ma la mia testa era rimasta là al funerale del cavallo con gli ultimi gnomi che si attardavano a rientrare dicendo cose egregie sul defunto e che era stata una brava bestia sempre silenziosa, gran lavoratore, sempre gentile con tutti elfi e ninfe di provincia che vivevano lì sulla sponda del lago d'Iseo facendo incantesimi con accento bresciano finché il camping costruito per i turisti olandesi non spazzò tutto, ma questa è un'altra storia. Punto.

Fatto sta che stranamente ricordai tutto questo mentre ero mesto chinato la sera che uccisero Pinelli e non avevo in mente altro se non aggiungere tristezza a quella che già mi teneva la mano sulla spalla pensando a dove erano ora gnomi elfi ed altri abitanti simili sfrattati dal camping, profughi lontani dalle tombe millenarie dei loro avi millenari sepolti sotto i ciotoli tondi del lago come si conviene ad uno gnomo lacustre ed ora devastate dai piedi verrucosi e bianchicci di stupidi bambini olandesi con il salvagente che si lega in vita e che annegavano lo stesso ogni anno per emergere gonfi più vicino alle canne. Tanti che una sera non fecero neanche i fuochi d'artificio di Ferragosto per il lutto e la gente stava cupa a parlare ai crocicchi del paese commentando i fatti e del perché avessero permesso loro di allontanarsi così tanto dalla riva col canotto che erano ancora bambini e che i tempi non sono più quelli di una volta ecc. ecc..
- Il funerale di Pinelli non interromperà nessun fuoco d'artificio, no, neanche quello - Tutti guardano interrogativi.
- Eppure le ossa di un ferroviere anarchico valgono di più di quelle di un cavallo, anche se questo era sempre stato buono con tutti e aveva sempre lavorato sodo -
- Ma che cazzo stai dicendo -
- Voglio dire che a Milano probabilmente non ci sono più neanche gnomi notturni e cittadini per seppellirlo di nascosto, con gli onori che gli competono -
- Ma checcazzo dici?! -
- Eh? Niente. Stavo seguendo un filo mio -
Eppure era tutto così falso così grottesco. Silenti mani callose di ferroviere che si protendono per proteggersi dai pugni, dai calci nelle palle, per proteggersi dal selciato che si avvicina sempre di più. Ho presente solo le sue mani, l'avevo visto solo un paio di volte nei miei rari vagabondaggi da via Scaldasole al Ponte della Ghisolfa. Ed ora riesco ad immaginare solo le mani. Sporche di inchiostro oleoso mentre di notte finisce di stampare volantini con la vecchia stampatrice del Ponte. Volantini pieni di parole anarchiche. Non è questo un reato abbastanza grave per precipitarlo da una finestra di un immobile dello Stato? Mani stanche che reggono il pacco dei suddetti volantini per distribuirli il giorno dopo davanti a qualche fabbrica a qualche scuola, per lasciarle di nascosto nelle tasche dei compagni di lavoro, magari del delegato sindacale. Era uno che seminava il disordine che predicava l'anarchia. Non è un reato abbastanza grave per gettarlo da una finestra della questura? Mani legnose che agitavano la pipa che non fumava mai, ostinate mani di anarchico. Mani ribelli che avrebbero prima o poi colpito qualche rappresentante del potere liberamente eletto. Oh se lo avrebbero fatto volentieri. Non è questo un reato abbastanza grave per ucciderlo, eliminarlo, annientarlo? In fondo era solo un ferroviere sognatore, che magari ogni tanto si appoggiava al vetro della cabina dello scambista sforzandosi di immaginare come avrebbe potuto funzionare tutto quel complicato meccanismo che muoveva treni carichi di facce anonime che lo guardavano dai finestrini, senza il peso di una piramide di potere. Che spesso affondava la testa nelle mani chiedendosi se valeva la pena di agitarsi tanto per qualcosa che probabilmente non avrebbe visto mai. Era solo un ferroviere ubriacato dal peso della vita e del mondo che cercava di berla tutto di un fiato ingozzandosi di rabbia e lacrime feroci. Che cercava di slegarsi dai lacci di parole d'altri, dai secolari nodi di Gordio costruiti con tanta pazienza da chi voleva la sua anima in baratto con una vita di felicità alla bakelite, una vita di polistirolo. Era uno a cui non ci si poteva avvicinare poiché l'immane calore del proprio amore, denaro mai accettato, l'avrebbe sciolto rivelando l'intelaiatura misera e contorta delle menzogne su cui si regge il mondo. Non era forse un essere pericoloso da eliminare?