Rivista Anarchica Online
L'opinione di un marxista
di Enzo Santarelli
A cinquant'anni dalla morte di Malatesta ci sorprende - ancora una volta - che dopo
la
precoce biografia di Max Nettlau e l'opera di Luigi Fabbri, la conoscenza critica di una
personalità così importante per il movimento italiano in una lunga fase di transizione sia
rimasta affidata a contributi il più delle volte parziali e frammentari, quasi al margine
della nostra cultura politica e storica. Ma la realtà non si spiega da sola; e un
programma scientifico di ricognizione sull'arco di tempo e sulla vita sociale che
Malatesta rappresenta ed esprime appare - a prima vista - innanzitutto condizionato
dalle difficoltà intrinseche allo studio dell'anarchismo (e perciò richiederebbe il
superamento di opposti e non neutrali pregiudizi), in secondo luogo, nel caso specifico,
dall'ampiezza e dalla dispersione delle fonti, infine dalla singolarità del percorso
malatestiano in un certo senso ripetitivo e cresciuto su se stesso, immutato per tanti anni
nel pensiero eppure ricchissimo di azione, su un teatro che va dall'Italia al Sud e al Nord
America, all'Europa continentale e insulare, legandosi alle strutture e agli atteggiamenti
di notevoli fasce del popolo italiano e - per una parte non minore - alle vicende
dell'emigrazione non solo politica dei lavoratori italiani fra il 1878 e il 1919. Oltre questo rilievo - che
sottintende una critica-autocritica, un auspicio e persino una
nostalgia - non è possibile nella presente occasione né specificare un bilancio degli studi,
né formulare ipotesi di ricerca. Mi limiterò quindi a coordinare due o tre punti di
riflessione. 1. La formazione del giovane Malatesta. Nel 1925 - in polemica col direttore di
Conscentia - Malatesta scrisse che "l'anarchismo è nato dalla rivolta contro le ingiustizie
sociali"; e altrove, in un senso più immediatamente autobiografico: "Osservai più
attentamente e mi accorsi che un'enorme ingiustizia, un sistema assurdo opprimevano
l'umanità, condannandola a soffrire (...) Il cuore mi si gonfiò d'indignazione (...) e sentii
in me l'anima di un tribuno e di un ribelle" (1884). Nettlau è stato attento a collocare
questo intreccio di idee e di sentimenti in una certa cultura meridionale dell'epoca
postunitaria e ci testimonia, direttamente o indirettamente, delle letture esperite dal
giovane Malatesta: la storia della rivoluzione francese del Mignet, la storia delle
repubbliche italiane di Sismondi, forse la Città del sole di Campanella e I pensieri
politici di Vincenzo Russo e infine, punto di raccordo verso altri e più vasti orizzonti,
Pisacane; vengono più tardi Bakunin, Proudhon e Kropotkin, come fonti dell'anarchismo
europeo. Fino al 1889 non conobbe Stirner neppure di nome. Ma Malatesta non era un
uomo di studi e la sua vocazione anarchica, per quanto straticata e continua, come
quella di un perpetuo autodidatta, ragionatore e maestro, fu prevalentemente empirica e
pratica. L'abbozzo delle sue matrici meridionali, in qualche modo precapitalistiche,
sarebbe stato essenziale.... 2. Malatesta interrompe al terzo anno il corso di medicina. A Napoli si era
imbattuto
nella prima sezione italiana dell'Internazionale. A suo modo opta per una vita che più
tardi si sarebbe detta di agitatore e rivoluzionario militante. In esilio sopravvive
esercitando l'umile mestiere di meccanico-elettricista. Da tutto ciò deriva il suo
permanente contatto con le masse popolari, che cerca reiteratamente di sollevare,
convinto che siano e debbano essere padrone dei propri destini, votandosi alla pari con
esse alla loro emancipazione - senza pervenire tuttavia a una precisa dottrina della
rivoluzione, dei mezzi necessari a consolidare la rivolta e a stabilire la società futura.
Per un lungo periodo - grosso modo il cinquantennio che va dal 1871 al 1921, dal
superamento dell'influenza mazziniana ai fatti del Diana e al conseguente processo -
Malatesta esprime una diffusa istanza progressiva ed emancipatoria di diversi strati
sociali della popolazione italiana, le loro spinte a sottrarsi all'egemonia dello stato, della
chiesa e del capitale. L'abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime
e degli strumenti di lavoro è e diviene il perno principale del suo programma anarchico.
La ricostruzione anarchica passerà attraverso la messa in comune, la gestione, a diversi
livelli, degli strumenti di produzione. La liberazione dell'uomo muove dall'iniziativa
popolare e questa può cominciare ad esprimersi solo mediante l'avvio dell'insurrezione. 3.
È evidente la semplicità, quindi il fascino, il significato anche rappresentativo di questi
schemi di volta in volta elaborati e rielaborati in più mature articolazioni. In Italia non a
caso, anche se in modi talora fortunosi, Malatesta è partecipe in prima persona dei più
importanti moti insurrezionali che scandiscono il rapporto degli strati popolari
subalterni con lo stato: nel 1874, 1877, 1894, 1898, 1914, 1919. Ma in questa traiettoria
emerge una crescente sfasatura non tanto politica quanto ideologica e sociale. Rimane
lontano dalle esperienze operaie e bracciantili della Valle padana della metà degli anni
ottanta come dai fasci siciliani degli anni novanta. In questo ultimo decennio, con
Merlino, Cipriani ecc. tenta di organizzare il partito socialista rivoluzionario anarchico,
la cui sfera d'azione tende a caratterizzarsi nell'antielezionismo abbracciando
essenzialmente il centro-sud. Importante l'influenza esercitata su frange tutt'altro che
secondarie dell'emigrazione, specialmente nell'America latina e in quella anglosassone;
e qui con la particolare cultura da cui deriva un proletariato che si innesta nei rapporti
di produzione e nelle società dei paesi transoceanici. Il culmine dell'azione politica
malatestiana - e Malatesta fu prima di tutto uomo d'azione calato nel popolo e ad esso
mescolato - cade nel momento della Settimana rossa, quando contribuisce alla più vasta
insurrezione di massa dell'Italia prebellica, egemonizzando di fatto gruppi di sindacalisti
rivoluzionari, di socialisti e di repubblicani di sinistra. Da allora, manifestamente ha
inizio un'altra fase della sua fortuna, proprio perché il proletariato italiano si va
completamente distaccando dalle esperienze e dalle condizioni postunitarie e si va
unificando - sia pure fra le più acute contraddizioni e in mezzo ai gravi errori e limiti
delle sinistre di ispirazione marxista - nelle diverse parti del paese. Un siffatto "schema" interpretativo
mira innanzitutto a inquadrare ciò che è noto o
saliente nella vicenda di Malatesta, nella sua epoca e nello sviluppo della società
italiana. Ma esso andrebbe poi articolato e sviluppato per non ricadere in una slegata
storia degli anarchici: da un lato non ignorando le giunture e il senso degli interventi
localizzati sintomaticamente in aree periferiche del paese, dall'altro non limitandosi a
una grezza storia del movimento operaio. Il messaggio di Malatesta, anche se
storicamente circoscritto e fondato, presenta infatti una sua specifica validità, che merita
di essere sottoposta a verifica davanti a una tavola di valori sempre attuale e dai risvolti
tanto nazionali quanto internazionali. Lungo il filo rosso seguito e tracciato da questo
protagonista, così insolito e così emblematico e così profondamente italiano (non meno
di un Pisacane e di un Garibaldi) si delinea rispetto allo stato, alla chiesa, al capitale il
messaggio di un socialismo libertario e liberatore che giunge fino al nostro tempo. Nella
valutazione di Malatesta il pendolo ha troppo oscillato fra l'apologia e la critica di
parte; da questa stretta non meritata e scarsamente feconda sarebbe il caso di uscire,
allargando senza riserve gli orizzonti.
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