Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 100
aprile 1982


Rivista Anarchica Online

Un discorso aperto
di Gino Cerrito

In occasione del 50 anniversario della morte di Errico Malatesta, la redazione della rivista ha deciso di dedicare a questa prestigiosa personalità dell'anarchismo, peraltro poco conosciuta dagli stessi italiani, un numero speciale che preannunci il "convegno di studi" che il "Centro di studi libertari G. Pinelli" ha deciso di tenere nel settembre del corrente anno. Sono stato perciò invitato a collaborare a questo numero speciale, rispondendo brevemente a due domande oltremodo impegnative, riguardanti: 1) l'influenza eventuale del pensiero e dell'opera di Malatesta sull'anarchismo di lingua italiana e più in generale sul movimento operaio socialista del nostro paese; 2) i filoni più originali e ancora oggi suscettibili di più proficuo approfondimento del suo pensiero e, in altre parole, in che cosa risiede l'attualità del suo pensiero e del suo insegnamento.
Confesso di trovarmi confuso e sostanzialmente impreparato di fronte ai quesiti postimi, che sono poi tre e non due. E non perché non vi abbia ripetutamente pensato o perché non abbia cercato già altre volte di rispondere ai medesimi. Ma perché ritengo di dover ulteriormente ripensare e approfondire per potere, forse, con più coscienza dei miei limiti, rispondere agli interrogativi in occasione del prossimo convegno di studi su Errico Malatesta.
Fra l'altro, mi sembra impossibile esaurire il primo argomento, per la carenza di strumenti atti a "misurare" l'influenza del pensiero di Malatesta sul pensiero operaio e socialista del nostro paese e le stesse oscillazioni di tale influenza. È invece più semplice soffermarsi sull'influenza del pensiero e dell'opera di Malatesta nel movimento anarchico di lingua italiana, particolarmente incisiva e visibile in determinati periodi, che per la loro discontinuità dovuta a motivi generalmente obiettivi non hanno consentito quegli effetti che il pensiero e l'azione di Malatesta concretamente promettevano. A causa di questa discontinuità e di altri seri motivi, che non è possibile esporre in questa sede con quell'ampiezza che sola può evitare negative impressioni e favorire invece la riflessione e lo studio, mi sembra che sul movimento anarchico di lingua italiana e in generale sul movimento socialista e operaio del nostro paese, gli stessi filoni più originali e più attuali del pensiero di Malatesta abbiano riscosso ed abbiano lasciato effetti piuttosto limitati e contingenti.
Tanto è vero che non è raro il caso che scoperte (o riscoperte) ideologiche e politiche spacciate come il frutto di ripensamenti originali e attuali, siano perfettamente riscontrabili non soltanto negli scritti del Malatesta di 60 anni fa, ma anche nel suo modo di porre i problemi, nei suoi concreti suggerimenti per risolverli, nelle considerazioni che erano il frutto non tanto e non solo di buonsenso, di profonda umanità, di piena comprensione teorica e pratica dell'anarchia come anarchismo, ma fondamentalmente della riconsiderazione delle esperienze e dei fatti vissuti e che Malatesta, almeno dal 1921, si sforzava di tenere sempre presenti.
Ma anche allora, nel primo dopoguerra, nonostante lo sforzo di conciliare tendenze e orientamenti diversi entro un'organizzazione che si dava un programma teorico e pratico uniformi, gli anarchici rimanevano generalmente fermi all'evoluzionismo kropotkiniano, come del resto prova la loro biblioteca del periodo assai scarsamente aggiornata. La costituzione dell'Unione Anarchica Italiana, con i suoi progetti rivoluzionari e con il suo impegno propagandistico a vasto raggio, era il frutto non tanto dell'adesione ripensata alle teorie malatestiane, quanto della certezza che la rivoluzione fosse imminente e che con la rivoluzione si potessero risolvere dall'oggi al domani tutti i problemi.
Lo stesso Malatesta del resto, che pure si era reso conto dell'inattualità del patrimonio ideologico del movimento, fin dal momento in cui, alla fine del secolo precedente, aveva denunciato il determinismo fatalista e l'evoluzionismo positivista, aveva continuato a preferire la posizione poco chiara di chi cerca di correggere la stasi del movimento, prima con il silenzio e poi mediante una propaganda che solo di riflesso toccava i sacri testi, e che si incentrava principalmente sul problema dell'organizzazione del partito e su quello di un programma che, partendo dalle supposte istanze finaliste delle masse, tenesse solo parzialmente conto della mutevole realtà. L'organizzazione e il programma erano perciò condizionati da convinzioni fondate, più che sulla necessità di una rivoluzione sociale mediata da un lungo processo di lotte e di educazione popolare, dal desiderio della palingenesi sociale a breve scadenza.
Partendo però dalla riconsiderazione degli avvenimenti internazionali del periodo (rivoluzione russa, schiacciamento delle istanze rivoluzionarie in Germania, affacciarsi prepotente del fascismo in Italia e incapacità di un'adeguata risposta delle masse soggiogate dai capi socialdemocratici), dall'interpretazione dell'anarchismo come unità dialettica di teoria e pratica, di volontà e realtà storica; e come relazione dell'ipotesi rivoluzionaria con la volontà e con l'azione della grande maggioranza della popolazione interessata, Malatesta giungeva quindi a riconsiderare l'anarchismo rivoluzionario come processo gradualista, e rendendosi conto delle difficoltà della trasformazione respingeva l'utopia del tutto e subito e sollecitava perciò lo studio dei problemi sociali, in modo che gli anarchici non affrontassero impreparati le crisi rivoluzionarie, evitando così i vuoti di potere che gli autoritari si affretterebbero a colmare. Egli denunciava perciò come negativa la teoria del caos creatore, e metteva praticamente in dubbio le capacità rivoluzionarie delle masse su cui si fondavano le deliberazioni di Saint-Imier; e ridimensionando il rapporto uomo-società, rifiutava il concetto di società come aggregato di individui completi in se stessi.
Le ultime osservazioni di Malatesta determinavano nel movimento anarchico internazionale un'eco non abbastanza incisiva, vuoi per le difficoltà relative ai tempi, vuoi perché si erano presentate con l'accorta moderazione di chi conosceva profondamente le chiusure del movimento e non intendeva perdere ogni credibilità e provocare insanabili fratture. Il discorso più chiaro, in ordine a questi problemi, fu comunque da lui fatto nel 1931, cioè in uno dei periodi più difficili attraversati dal movimento anarchico internazionale. Esso enumerava gli aspetti più sorpassati delle teorie kropotkiniane e sosteneva, contrariamente agli illusi, che "la rivoluzione non può cominciare con il comunismo, o sarebbe, come in Russia, un comunismo da convento, da caserma e da galera, peggiore dello stesso capitalismo. Essa deve attuare subito quello che si può (...) e badare a non distruggere se non quello che si può sostituire con qualche cosa di migliore. Poi si procederà verso l'organizzazione del comunismo volontario o quelle altre forme, probabilmente varie e multiple, di convivenza sociale che i lavoratori, illuminati dall'esperienza, preferiranno". Senonché Malatesta non affrontava con argomentazioni esaustive la questione del ruolo degli anarchici durante il periodo transitorio: per lui gli anarchici dovevano mantenersi all'opposizione, al di fuori e contro ogni eventuale responsabilità di governo; dovevano restare anima delle masse, come se l'esperienza non avesse già denunciato che le masse potrebbero condividere volenti o nolenti l'isolamento o lo sterminio dell'opposizione libertaria cui procederebbe indubbiamente il nuovo potere "rivoluzionario", che si affermerebbe per la stessa carenza di coscienza politica delle masse lavoratrici. La Russia e il fascismo e lo strapotere statale che si andavano affermando in tutto il mondo, ridimensionando la vita degli uomini, sconvolgendo principi e rovesciando forze politiche ieri considerevoli, avevano insegnato e insegnavano molte cose di cui Malatesta non ritenne opportuno tener conto. La concezione bakuninista della dittatura segreta rimaneva in lui sempre presente, impedendogli di recepire l'insegnamento che scaturiva vuoi dalla sua sfiducia nelle connaturate capacità rivoluzionarie delle masse, vuoi dalla sua convinzione sui limiti invalicabili della diffusione dell'anarchismo e dell'organizzazione anarchica nella società attuale; impedendogli di scorgere o di approfondire l'unica alternativa possibile per la validità e l'incisività dell'azione politica del movimento anarchico nella società. Un'alternativa fondata ovviamente su una sistematica azione di sollecitazione e di propaganda teorica, ma richiedente altresì opere concrete, azioni politiche, alleanze: un'alternativa organizzativa che mirasse perciò a dare al movimento un programma correlativo al tempo ed allo spazio; ma che fosse anche l'effetto della soluzione - all'interno dell'organizzazione - del rapporto minoranza-maggioranza, prima ancora di porre e risolvere il rapporto minoranza-masse.
Comunque, il discorso di Malatesta fu un discorso fatto ai sordi. Il movimento era impegnato da tutt'altri problemi e non recepì affatto la "provocazione" malatestiana, oppure non ritenne opportuno reagire al "revisionismo" del vecchio anarchico. Malatesta è indubbiamente un mito ed era per chiunque impensabile muovere contro di lui accuse di moderatismo deteriore e di rammollimento. Tanto più che il discorso di Malatesta lasciava la possibilità di interpretazioni tutt'altro che rigide, non essendo pervenuto a conclusioni che uscissero fuori dai canoni tradizionali stabiliti a Saint-Imier.
Mi sembra che siano proprio questi i filoni del pensiero malatestiano che occorrerebbe oggi studiare ulteriormente. Sono originali e ancora oggi attuali, come prova la stessa crisi che in quest'ultimo ventennio ha investito tutta la sinistra socialista e lo stesso movimento operaio internazionale, ponendo grossi interrogativi sul ruolo del sindacato e neutralizzando le medesime illusioni che negli anni cinquanta si fecero strada sulla funzione nuova dell'organizzazione operaia nella "società del benessere".