Rivista Anarchica Online
Un discorso aperto
di Gino Cerrito
In occasione del 50 anniversario della morte di Errico Malatesta, la redazione della
rivista ha deciso di dedicare a questa prestigiosa personalità dell'anarchismo, peraltro
poco conosciuta dagli stessi italiani, un numero speciale che preannunci il "convegno di
studi" che il "Centro di studi libertari G. Pinelli" ha deciso di tenere nel settembre del
corrente anno. Sono stato perciò invitato a collaborare a questo numero speciale,
rispondendo brevemente a due domande oltremodo impegnative, riguardanti: 1)
l'influenza eventuale del pensiero e dell'opera di Malatesta sull'anarchismo di lingua
italiana e più in generale sul movimento operaio socialista del nostro paese; 2) i filoni più
originali e ancora oggi suscettibili di più proficuo approfondimento del suo pensiero e, in
altre parole, in che cosa risiede l'attualità del suo pensiero e del suo insegnamento. Confesso di trovarmi
confuso e sostanzialmente impreparato di fronte ai quesiti postimi,
che sono poi tre e non due. E non perché non vi abbia ripetutamente pensato o perché non
abbia cercato già altre volte di rispondere ai medesimi. Ma perché ritengo di dover
ulteriormente ripensare e approfondire per potere, forse, con più coscienza dei miei limiti,
rispondere agli interrogativi in occasione del prossimo convegno di studi su Errico
Malatesta. Fra l'altro, mi sembra impossibile esaurire il primo argomento, per la carenza di strumenti
atti a "misurare" l'influenza del pensiero di Malatesta sul pensiero operaio e socialista del
nostro paese e le stesse oscillazioni di tale influenza. È invece più semplice soffermarsi
sull'influenza del pensiero e dell'opera di Malatesta nel movimento anarchico di lingua
italiana, particolarmente incisiva e visibile in determinati periodi, che per la loro
discontinuità dovuta a motivi generalmente obiettivi non hanno consentito quegli effetti
che il pensiero e l'azione di Malatesta concretamente promettevano. A causa di questa
discontinuità e di altri seri motivi, che non è possibile esporre in questa sede con
quell'ampiezza che sola può evitare negative impressioni e favorire invece la riflessione e
lo studio, mi sembra che sul movimento anarchico di lingua italiana e in generale sul
movimento socialista e operaio del nostro paese, gli stessi filoni più originali e più attuali
del pensiero di Malatesta abbiano riscosso ed abbiano lasciato effetti piuttosto limitati e
contingenti. Tanto è vero che non è raro il caso che scoperte (o riscoperte) ideologiche e politiche
spacciate come il frutto di ripensamenti originali e attuali, siano perfettamente
riscontrabili non soltanto negli scritti del Malatesta di 60 anni fa, ma anche nel suo modo
di porre i problemi, nei suoi concreti suggerimenti per risolverli, nelle considerazioni che
erano il frutto non tanto e non solo di buonsenso, di profonda umanità, di piena
comprensione teorica e pratica dell'anarchia come anarchismo, ma fondamentalmente
della riconsiderazione delle esperienze e dei fatti vissuti e che Malatesta, almeno dal
1921, si sforzava di tenere sempre presenti. Ma anche allora, nel primo dopoguerra, nonostante lo sforzo di conciliare
tendenze e
orientamenti diversi entro un'organizzazione che si dava un programma teorico e pratico
uniformi, gli anarchici rimanevano generalmente fermi all'evoluzionismo kropotkiniano,
come del resto prova la loro biblioteca del periodo assai scarsamente aggiornata. La
costituzione dell'Unione Anarchica Italiana, con i suoi progetti rivoluzionari e con il suo
impegno propagandistico a vasto raggio, era il frutto non tanto dell'adesione ripensata alle
teorie malatestiane, quanto della certezza che la rivoluzione fosse imminente e che con la
rivoluzione si potessero risolvere dall'oggi al domani tutti i problemi. Lo stesso Malatesta del resto, che pure si era
reso conto dell'inattualità del patrimonio
ideologico del movimento, fin dal momento in cui, alla fine del secolo precedente, aveva
denunciato il determinismo fatalista e l'evoluzionismo positivista, aveva continuato a
preferire la posizione poco chiara di chi cerca di correggere la stasi del movimento, prima
con il silenzio e poi mediante una propaganda che solo di riflesso toccava i sacri testi, e
che si incentrava principalmente sul problema dell'organizzazione del partito e su quello
di un programma che, partendo dalle supposte istanze finaliste delle masse, tenesse solo
parzialmente conto della mutevole realtà. L'organizzazione e il programma erano perciò
condizionati da convinzioni fondate, più che sulla necessità di una rivoluzione sociale
mediata da un lungo processo di lotte e di educazione popolare, dal desiderio della
palingenesi sociale a breve scadenza. Partendo però dalla riconsiderazione degli avvenimenti internazionali
del periodo
(rivoluzione russa, schiacciamento delle istanze rivoluzionarie in Germania, affacciarsi
prepotente del fascismo in Italia e incapacità di un'adeguata risposta delle masse
soggiogate dai capi socialdemocratici), dall'interpretazione dell'anarchismo come unità
dialettica di teoria e pratica, di volontà e realtà storica; e come relazione dell'ipotesi
rivoluzionaria con la volontà e con l'azione della grande maggioranza della popolazione
interessata, Malatesta giungeva quindi a riconsiderare l'anarchismo rivoluzionario come
processo gradualista, e rendendosi conto delle difficoltà della trasformazione respingeva
l'utopia del tutto e subito e sollecitava perciò lo studio dei problemi sociali, in modo che
gli anarchici non affrontassero impreparati le crisi rivoluzionarie, evitando così i vuoti di
potere che gli autoritari si affretterebbero a colmare. Egli denunciava perciò come
negativa la teoria del caos creatore, e metteva praticamente in dubbio le capacità
rivoluzionarie delle masse su cui si fondavano le deliberazioni di Saint-Imier; e
ridimensionando il rapporto uomo-società, rifiutava il concetto di società come aggregato
di individui completi in se stessi. Le ultime osservazioni di Malatesta determinavano nel movimento anarchico
internazionale un'eco non abbastanza incisiva, vuoi per le difficoltà relative ai tempi, vuoi
perché si erano presentate con l'accorta moderazione di chi conosceva profondamente le
chiusure del movimento e non intendeva perdere ogni credibilità e provocare insanabili
fratture. Il discorso più chiaro, in ordine a questi problemi, fu comunque da lui fatto nel
1931, cioè in uno dei periodi più difficili attraversati dal movimento anarchico
internazionale. Esso enumerava gli aspetti più sorpassati delle teorie kropotkiniane e
sosteneva, contrariamente agli illusi, che "la rivoluzione non può cominciare con il
comunismo, o sarebbe, come in Russia, un comunismo da convento, da caserma e da
galera, peggiore dello stesso capitalismo. Essa deve attuare subito quello che si può (...) e
badare a non distruggere se non quello che si può sostituire con qualche cosa di migliore.
Poi si procederà verso l'organizzazione del comunismo volontario o quelle altre forme,
probabilmente varie e multiple, di convivenza sociale che i lavoratori, illuminati
dall'esperienza, preferiranno". Senonché Malatesta non affrontava con argomentazioni
esaustive la questione del ruolo degli anarchici durante il periodo transitorio: per lui gli
anarchici dovevano mantenersi all'opposizione, al di fuori e contro ogni eventuale
responsabilità di governo; dovevano restare anima delle masse, come se l'esperienza non
avesse già denunciato che le masse potrebbero condividere volenti o nolenti l'isolamento
o lo sterminio dell'opposizione libertaria cui procederebbe indubbiamente il nuovo potere
"rivoluzionario", che si affermerebbe per la stessa carenza di coscienza politica delle
masse lavoratrici. La Russia e il fascismo e lo strapotere statale che si andavano
affermando in tutto il mondo, ridimensionando la vita degli uomini, sconvolgendo
principi e rovesciando forze politiche ieri considerevoli, avevano insegnato e insegnavano
molte cose di cui Malatesta non ritenne opportuno tener conto. La concezione bakuninista
della dittatura segreta rimaneva in lui sempre presente, impedendogli di recepire
l'insegnamento che scaturiva vuoi dalla sua sfiducia nelle connaturate capacità
rivoluzionarie delle masse, vuoi dalla sua convinzione sui limiti invalicabili della
diffusione dell'anarchismo e dell'organizzazione anarchica nella società attuale;
impedendogli di scorgere o di approfondire l'unica alternativa possibile per la validità e
l'incisività dell'azione politica del movimento anarchico nella società. Un'alternativa
fondata ovviamente su una sistematica azione di sollecitazione e di propaganda teorica,
ma richiedente altresì opere concrete, azioni politiche, alleanze: un'alternativa
organizzativa che mirasse perciò a dare al movimento un programma correlativo al tempo
ed allo spazio; ma che fosse anche l'effetto della soluzione - all'interno
dell'organizzazione - del rapporto minoranza-maggioranza, prima ancora di porre e
risolvere il rapporto minoranza-masse. Comunque, il discorso di Malatesta fu un discorso fatto ai sordi. Il movimento
era
impegnato da tutt'altri problemi e non recepì affatto la "provocazione" malatestiana,
oppure non ritenne opportuno reagire al "revisionismo" del vecchio anarchico. Malatesta
è indubbiamente un mito ed era per chiunque impensabile muovere contro di lui accuse di
moderatismo deteriore e di rammollimento. Tanto più che il discorso di Malatesta
lasciava la possibilità di interpretazioni tutt'altro che rigide, non essendo pervenuto a
conclusioni che uscissero fuori dai canoni tradizionali stabiliti a Saint-Imier. Mi sembra che siano proprio questi i
filoni del pensiero malatestiano che occorrerebbe
oggi studiare ulteriormente. Sono originali e ancora oggi attuali, come prova la stessa
crisi che in quest'ultimo ventennio ha investito tutta la sinistra socialista e lo stesso
movimento operaio internazionale, ponendo grossi interrogativi sul ruolo del sindacato e
neutralizzando le medesime illusioni che negli anni cinquanta si fecero strada sulla
funzione nuova dell'organizzazione operaia nella "società del benessere".
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